Ricordo di Monicelli
Per tutti quelli si sono rivisti un po' cialtroni in Brancaleone, un po' ladri nei Soliti Ignoti, un po' eroi mancati nella Grande Guerra, un po' buffoni nel Marchese del Grillo, e un po'zingari in Amici Miei, ieri s'è spento con socratico coraggio, uno dei migliori (se non il migliore) regista italiano del secolo scorso.
La visionaria capacità artistica di Monicelli, non ha certo stemperato la propria linfa nella commedia all'italiana, ed anzi, l'elegante Metteur en scène ha avuto l'indubbio merito, di non confondere mai nella propria arte l'ironia con il dileggio, la virilità con il maschilismo, la bellezza con l'imbellettamento e le regine con le troie.
In poche parole, ha saputo dipingere con rara maestria i molti vizi e le poche virtù dell'Italia a lui contemporanea. Una contemporaneità, durata del resto quasi un secolo.
La cattiveria che tanto amava, si staglia come il filo rosso capace d'unire i suoi migliori personaggi. Questa è sempre beffarda e tagliente, a volte crudele, ma mai banale: il riso malcelato ai funerali di Noiret in Amici miei, è un esempio tipico da cui emana l'amaro sorriso della tragicommedia, in una certa misura, sempre riconducibile ad una dolorosa consapevolezza esistenziale.
Se la vita rappresenta una tragedia, e questo era uno degli archetipi di Monicelli, occorre tutta la genialità e la grandezza di cui l'uomo dispone per provare a renderla una tollerabile mis en scène. In questa coraggiosa prospettiva, laica ed immanente, il divino non trova spazio: vengono santificati gli amici e la risata, unica compagna fedele a cui consacrare le proprie pasquinate.
In tale ottica, le zingarate possono essere lette come un godereccio ed eversivo rifiuto del precetto, come l'estrema e paradossale risposta di coloro, che pur rifiutando ontologicamente le regole del gioco, vi si trovano comunque invischiati. Forse, è in virtù di questa “predisposizione” che i suoi personaggi risultano infinitamente grandi nonostante la loro umana piccolezza.
Del resto, è cosa nota che dai tempi della Grecia, ironia e paradosso rappresentino molto più di un semplice epifenomeno in una cultura che si vorrebbe di matrice classica, anche se molti dei suoi “migliori” esponenti continuano a non accorgersene…
L'ultima lezione sulla propria concezione esistenziale, il regista toscano sembra avercela fornita proprio con il suicidio: se nonostante la presenza del tragico, la vita è vissuta alla stregua di una gioiosa commedia, con socratico coraggio dovrà esserla anche nell'ultimo atto, alla chiusura del sipario. Forse, è proprio questo istante supremo che con un pizzico d'ironia può conferire retrospettivamente l'immortalità, a chi, come un grande regista, ha saputo danzare sul palcoscenico dell'esistenza.
Chissà quale pensiero ha sfiorato il terribile vecchio del cinema italiano quando ha deciso di spiccare il volo… Forse, che come c'ha insegnato, il genio: è fantasia, intuizione, decisione e velocità di esecuzione!