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Scritto da nel Numero 75 - 1 Dicembre 2010, Politica | 0 commenti

Nuovi fermenti meridionali tra orgoglio e rancore

Negli ultimi mesi stiamo assistendo ad un clamoroso successo editoriale, quello del libro di Pino Aprile “Terroni. Tutto quello che è stato fatto perchè gli italiani del sud diventassero meridionali”. Pubblicato nel marzo 2010, ha già superato le 7 milioni di copie vendute, con più di venti ristampe in meno di un anno.

Il libro ripercorre alcuni episodi estremamente cruenti di quella che l’autore definisce guerra d’annessione portata avanti dai Savoia nel Regno dei Borboni. Egli sostiene che, di fatto, il divario tra nord e sud al momento dell’unità d’Italia non esisteva, ma è stato imposto attraverso l’uso delle armi, della politica, dell’economia. La stessa guerra civile che si è combattuta per anni nel Mezzogiorno dopo il 1861, tra briganti, o meglio, ex soldati del Regno Borbonico e militari italiani, spiegherebbe come la lotta di Liberazione del sud dalla povertà, dall’arretratezza e dall’inciviltà fosse in realtà pienamente avversata dai meridionali stessi in quanto tali condizioni non sussistevano.
Aprile racconta come l’industria borbonica, prima della formazione dell’Italia unita, fosse sviluppata almeno quanto quella sabauda nel campo della siderurgia o della metallurgia o della cantieristica navale. Tante grandi fabbriche vennero quindi chiuse con una serie di motivazioni discutibili. L’autore ricorda come il Piemonte prima dell’unità fosse lo Stato più indebitato d’Italia mentre il Regno Borbonico fosse lo stato più solvibile. 
Il giornalista pugliese non manca di ricordare i nefasti effetti (anche) sul meridione della sciagurata politica economica del Ventennio fascista, e, nel Dopoguerra, la marcata differenza tra nord e sud nella distribuzione, da parte dello Stato centrale, degli investimenti nelle scuole, nelle strade, nella sanità.
Secondo l’autore, questo pamphlet ha molto successo, specie nel meridione, perchè intercetta un fermento che al sud esiste da un po’ di tempo e che rischia in qualche modo di esplodere. La prova di ciò si rintraccia facilmente nel proliferare di associazioni, leghe e partitini neoborbonici e anti-nordisti.  Inoltre egli sostiene che il libro fa riemergere un aspetto della storia del Risorgimento, quello più sanguinoso, che gli storici hanno spesso ignorato.
Su questo ultimo punto, invero, le critiche non sono mancate. In particolare, Francesco Merlo (La Repubblica) ricorda come la storiografia italiana si sia ampiamente occupata degli aspetti sociali del cosiddetto brigantaggio. Del resto lo stesso Gramsci ha scritto della ferocia inaudita del nascente Stato italiano, nella parte dei suoi “Quaderni del Carcere” dedicata al Risorgimento (che è un documento fondamentale per comprendere la storia dell’unità d’Italia).
Bisogna inoltre aggiungere che non si può definire libro di storia il testo in considerazione: pur trattando temi storici, non presenta una vera e propria bibliografia, in questi casi indispensabile, ma solamente vi sono nel testo citazioni sommarie di autori e relative pubblicazioni.
Ad ogni modo, é innegabile che la popolarità del libro sia legata ad una corrente di pensiero incentrata su una certa insofferenza da parte dei meridionali nei confronti di un’azione di governo che ha il suo baricentro a nord del Po e che considera il Mezzogiorno una zavorra per  il Paese.
In sintesi si può ritenere che tale risentimento sia conseguenza dell’esplosione della Lega Nord che, dal canto suo, vanta un forte radicamento sul territorio e sfrutta pienamente a fini di propaganda gli enormi spazi televisivi offerti dalle reti pubbliche e, soprattutto, da quelle di proprietà del Presidente del Consiglio.

In particolare, l’ossessiva richiesta da parte della Lega Nord di un federalismo che liberi le regioni settentrionali, definite virtuose, dalle spese e dai debiti causati dall’inettitudine di quelle meridionali, causa una reazione uguale e contraria da parte dei movimenti meridionalisti.
Questi mettono in risalto che effettivamente nella fantomatica Padania non tutto giri per il meglio. Anzi, sottolineano come l’evasione fiscale in termini di quantità è presente maggiormente al settentrione e che gli investimenti dei governi italiani nel corso degli anni siano stati minori ed erogati in modalità differenti al sud rispetto che a nord. Un esempio potrebbe essere costituito dagli stanziamenti per le infrastrutture, che al sud vengono effettuati spesso tramite provvedimenti d’emergenza o d’eccezione.

Tuttavia è certo che questi fermenti anti-settentrionali non rappresentino un buon viatico per migliorare le condizioni economico-sociali delle regioni del sud. Il libro di Aprile, a cui sono legati, è da elogiare in quanto alimenta un dibattito storico interessante (ripeto, pur non essendo propriamente un testo storico). Ma l’enfasi posta dagli ammiratori del pamphlet e dallo stesso autore sulle questioni trattate rischia di sviare le (poche) forze progressiste presenti dai veri problemi che attanagliano il territorio, la popolazione e la classe politica del Mezzogiorno: l’assoluta mancanza di senso civico, di etica, di senso dello Stato e lo strapotere della mafia.

Dunque è auspicabile che i promotori di questo nuovo orgoglio meridionale concentrino tutte le loro energie nel cercare di combattere le ingiustizie e la cattiva amministrazione nel territorio in cui vivono. Trasformare la fierezza di appartenere alla propria terra in risentimento e rancore vorrebbe dire scendere nello stesso squallido terreno della Lega di Bossi.

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