Sheakspeare e il popolo in rivolta
“La tua virtù mi rassicura: non è mai notte quando vedo il tuo volto; perciò ora a me non sembra che sia notte, né che il bosco sia spopolato e solitario, perché tu per me sei il mondo intero; chi potrà dunque dire che io sono sola se il mondo è qui a guardarmi?”
Quello di Shakespeare è uno dei nomi più importanti nella storia del teatro. Forse il più importante. Le sue opere sono conosciute in tutto il mondo; tradotte e ritradotte in numerosissime lingue, continuano ancora oggi a offrire infiniti spunti ai registi e agli sceneggiatori cinematografici che ne saccheggiano ogni giorno il genio. D'altronde, come dar loro torto? Non esiste e forse non è mai esistito un drammaturgo che possa reggere il confronto con Shakespeare e le sue idee e immagini, di straordinaria bellezza, sono molto difficili da eguagliare e praticamente impossibili da ignorare.
Forse però non sono molti quelli che sanno che Shakespeare nello scrivere non si limitò a inventare storie e creare ambientazioni magiche e accattivanti, ma nella sua opera di demiurgo prese numerosi spunti e addirittura intere vicende dalla cronaca della sua epoca. Consultava giornali di bordo, diari, cronache di viaggi, testimonianze, tutti i documenti insomma di cui poteva entrare in possesso e dai quali poteva ricavare informazioni utili e nuove immagini da usare. Ne sono un magistrale esempio i suoi drammi storici. Il Coriolano, Enrico VI, la Tempesta, sono tre opere per le quali il nostro autore prese esempi, spunti e situazioni dall'attualità che poteva osservare in prima persona. La sua abilità di osservatore è sorprendente, e doveva esserlo in quanto Shakespeare recitava una parte da protagonista negli eventi che si trovava a vivere. Gli storici hanno stimato che il grande drammaturgo visse tra il 1564 e il 1616. Quella fu un'epoca di importanza cruciale per l'Inghilterra e il mondo intero: non solo l'Inghilterra stava iniziando a virare verso la politica imperialista che la caratterizzerà per tutta l'età moderna, ma si veniva a sviluppare e a saldare proprio in questo periodo una nuova economia atlantica capitalista che fu alla base del capitalismo moderno. Shakespeare visse sia i momenti appena antecedenti ai nuovi sconvolgimenti economici, sia il cuore di questi, sperimentando in prima persona le reazioni della popolazione, non propriamente d'accordo con l'imposizione della nuova economia.
Nel Coriolano narra una rivolta dei plebei. Roma. Siamo nel 503 a.C. I plebei sono arrabbiati. Accusano i patrizi di gonfiare il prezzo del pane, di non dare ascolto alle loro richieste, di non considerarli propriamente cittadini romani. Non danno loro voce. Nelle assemblee i soli ad aver diritto di parola sono i Patrizi mentre il popolino, i plebei, non hanno potere alcuno. E' sciopero! Alla fine del dramma Coriolano è costretto a inginocchiarsi ai capricci dei plebei per poter ottenere il consolato. Ecco il primo riscontro storico. Le enclosure inglesi avevano creato una massa infinita di uomini senza lavoro né dimora che lo stato aveva deciso di “riassegnare” alle piantagioni americane e alla realizzazione di grandi opere di bonifica e deforestazione, riclassificando ogni uomo “senza padrone” come schiavo. Non è difficile comprendere come questa nuova condizione di totale privazione di diritti non piacesse alle classi più deboli. Gli uomini, costretti a lavorare contro la propria volontà, fianco a fianco nella fatica di ogni giorno, ben presto si resero conto che la cooperazione avrebbe potuto aiutarli a riscattarsi e escogitarono metodi nuovi per ottenere l'attenzione delle classi al potere. Nelle piantagioni e nelle fabbriche tessili, gli uomini, considerati alla stregua di animali da soma, semplici ingranaggi di un meccanismo più grande, si resero conto che l'unico modo che un ingranaggio ha per farsi sentire è quello di bloccare l'intero meccanismo e proclamarono i primi scioperi. Si ribellavano contro un sistema che andava contro di loro e lo facevano usando tutti i mezzi a loro disposizione (dalla raccolta di firme per petizioni da presentare al parlamento, alla ribellione violenta). Guarda caso, nel 1607, i contadini e gli espropriati delle Midlands inglesi, territori molto vicini ai possedimenti di Shakespeare, si erano ribellati e avevano protestato contro lo sfruttamento del loro lavoro. Il Bardo dell'Avon fu sicuramente molto attento a ciò che stava accedendo oltre la porta di casa sua e utilizzò quello che aveva osservato per descrivere la rivolta plebea del “Coriolano”. Anche in “Enrico VI” tratta il tema della rivolta del popolo, concentrando l'attenzione questa volta molto più sulla vacuità e sulla corruttibilità delle intenzioni e delle opinioni popolari.
Un caso del tutto particolare riveste invece la Tempesta. Shakespeare, in quanto azionista della Virginia Company, nuova potenza economica inglese che gestiva il commercio di beni e schiavi nella colonia americana della Virginia, era attentissimo a ciò che accadeva oltreoceano e per le sua opera si rifece a testimonianze dirette di marinai (Diari, giornali di bordo e resoconti). Il 25 luglio 1609, un vascello inglese che aveva fatto vela da Plymouth in direzione della Virginia, il Sea Venture, si imbatté in una spaventosa tempesta. Nonostante gli sforzi congiunti di tutti i passeggeri del naviglio, il Sea Venture naufragò due giorni dopo sulle rive di un'isola dell'arcipelago di Bermuda e lì iniziarono i guai. Già durante la tempesta, i confini tra le classi sociali dei passeggeri erano stati notevolmente sfumati. Shakespeare ne parla in maniera magistrale ne “la Tempesta”, quando il “buon” Gonzalo augura la forca ad un marinaio che ha osato dare ordini ai nobili. Una volta sull'isola gli interessi dei naufragi si trovarono in aperto conflitto: gli azionisti della Virginia company volevano rimettersi in mare e raggiungere le piantagioni della Virginia al più presto, mentre i lavoratori che avrebbero dovuto buttare sudore e sangue nel lavoro nei campi, si trovarono del tutto a loro agio sull'isola e non volevano barattare una vita agiata con una schiavitù forzata. I naufragi sperimentarono nuove forme di collaborazione, come fanno Calibano, Trinculo e Stefano sulla magica isola de “la Tempesta”, e si resero conto che lavorando insieme avrebbero potuto ottenere ciò che desideravano.
Purtroppo, con il senno di poi, possiamo dire che queste nuove forme di rivolta non furono molto utili. I potenti architetti della nuova economia, resisi conto del pericolo che questa nuova cooperazione poteva costituire, furono più che efficienti e non tardarono ad escogitare nuovi modi per opprimere e dividere il popolo. Con promesse ad alcuni, soppressioni di altri e campagne mediatiche mirate ottennero ben presto una divisione di intenti tra gli oppressi. E un popolo diviso è un popolo più facile da controllare. Così gli oppressi continuarono a essere oppressi e gli oppressori ad opprimere.
Fu uno sforzo inutile quindi? Non possiamo pensare che quegli uomini che tentarono di lottare con nuovi mezzi per la propria condizione fossero solo dei pazzi insensati. Scoprirono in
vece che la loro unione per una stessa causa faceva paura ai potenti più di qualsiasi altra arma potessero trovare. Già il solo mostrarsi uniti li poneva minacciosamente al centro dell'attenzione e amplificava la portata del loro messaggio. Se, in più, la loro protesta andava ad intaccare direttamente il portafoglio degli oppressori, l'effetto risultava quintuplicato. Nel “Coriolano”, è vero che Shakespeare descrive i plebei come una massa informe e disomogenea, disorganizzata e venale, ma è anche vero che, di fronte alla loro unione, non può negarne la straordinaria potenza e ammette che è grazie a questa che hanno potuto ottenere una voce nell'assemblea pubblica. Shakespeare nella vita quotidiana veste i panni dell'oppressore, ma nella sua opera l'amore per la verità non gli permette di nascondere le reali capacità di un popolo che, unito, protesta per una stessa causa.
Quello di Shakespeare è uno dei nomi più importanti nella storia del teatro. Forse il più importante. Le sue opere sono conosciute in tutto il mondo; tradotte e ritradotte in numerosissime lingue, continuano ancora oggi a offrire infiniti spunti ai registi e agli sceneggiatori cinematografici che ne saccheggiano ogni giorno il genio. D'altronde, come dar loro torto? Non esiste e forse non è mai esistito un drammaturgo che possa reggere il confronto con Shakespeare e le sue idee e immagini, di straordinaria bellezza, sono molto difficili da eguagliare e praticamente impossibili da ignorare.
Forse però non sono molti quelli che sanno che Shakespeare nello scrivere non si limitò a inventare storie e creare ambientazioni magiche e accattivanti, ma nella sua opera di demiurgo prese numerosi spunti e addirittura intere vicende dalla cronaca della sua epoca. Consultava giornali di bordo, diari, cronache di viaggi, testimonianze, tutti i documenti insomma di cui poteva entrare in possesso e dai quali poteva ricavare informazioni utili e nuove immagini da usare. Ne sono un magistrale esempio i suoi drammi storici. Il Coriolano, Enrico VI, la Tempesta, sono tre opere per le quali il nostro autore prese esempi, spunti e situazioni dall'attualità che poteva osservare in prima persona. La sua abilità di osservatore è sorprendente, e doveva esserlo in quanto Shakespeare recitava una parte da protagonista negli eventi che si trovava a vivere. Gli storici hanno stimato che il grande drammaturgo visse tra il 1564 e il 1616. Quella fu un'epoca di importanza cruciale per l'Inghilterra e il mondo intero: non solo l'Inghilterra stava iniziando a virare verso la politica imperialista che la caratterizzerà per tutta l'età moderna, ma si veniva a sviluppare e a saldare proprio in questo periodo una nuova economia atlantica capitalista che fu alla base del capitalismo moderno. Shakespeare visse sia i momenti appena antecedenti ai nuovi sconvolgimenti economici, sia il cuore di questi, sperimentando in prima persona le reazioni della popolazione, non propriamente d'accordo con l'imposizione della nuova economia.
Nel Coriolano narra una rivolta dei plebei. Roma. Siamo nel 503 a.C. I plebei sono arrabbiati. Accusano i patrizi di gonfiare il prezzo del pane, di non dare ascolto alle loro richieste, di non considerarli propriamente cittadini romani. Non danno loro voce. Nelle assemblee i soli ad aver diritto di parola sono i Patrizi mentre il popolino, i plebei, non hanno potere alcuno. E' sciopero! Alla fine del dramma Coriolano è costretto a inginocchiarsi ai capricci dei plebei per poter ottenere il consolato. Ecco il primo riscontro storico. Le enclosure inglesi avevano creato una massa infinita di uomini senza lavoro né dimora che lo stato aveva deciso di “riassegnare” alle piantagioni americane e alla realizzazione di grandi opere di bonifica e deforestazione, riclassificando ogni uomo “senza padrone” come schiavo. Non è difficile comprendere come questa nuova condizione di totale privazione di diritti non piacesse alle classi più deboli. Gli uomini, costretti a lavorare contro la propria volontà, fianco a fianco nella fatica di ogni giorno, ben presto si resero conto che la cooperazione avrebbe potuto aiutarli a riscattarsi e escogitarono metodi nuovi per ottenere l'attenzione delle classi al potere. Nelle piantagioni e nelle fabbriche tessili, gli uomini, considerati alla stregua di animali da soma, semplici ingranaggi di un meccanismo più grande, si resero conto che l'unico modo che un ingranaggio ha per farsi sentire è quello di bloccare l'intero meccanismo e proclamarono i primi scioperi. Si ribellavano contro un sistema che andava contro di loro e lo facevano usando tutti i mezzi a loro disposizione (dalla raccolta di firme per petizioni da presentare al parlamento, alla ribellione violenta). Guarda caso, nel 1607, i contadini e gli espropriati delle Midlands inglesi, territori molto vicini ai possedimenti di Shakespeare, si erano ribellati e avevano protestato contro lo sfruttamento del loro lavoro. Il Bardo dell'Avon fu sicuramente molto attento a ciò che stava accedendo oltre la porta di casa sua e utilizzò quello che aveva osservato per descrivere la rivolta plebea del “Coriolano”. Anche in “Enrico VI” tratta il tema della rivolta del popolo, concentrando l'attenzione questa volta molto più sulla vacuità e sulla corruttibilità delle intenzioni e delle opinioni popolari.
Un caso del tutto particolare riveste invece la Tempesta. Shakespeare, in quanto azionista della Virginia Company, nuova potenza economica inglese che gestiva il commercio di beni e schiavi nella colonia americana della Virginia, era attentissimo a ciò che accadeva oltreoceano e per le sua opera si rifece a testimonianze dirette di marinai (Diari, giornali di bordo e resoconti). Il 25 luglio 1609, un vascello inglese che aveva fatto vela da Plymouth in direzione della Virginia, il Sea Venture, si imbatté in una spaventosa tempesta. Nonostante gli sforzi congiunti di tutti i passeggeri del naviglio, il Sea Venture naufragò due giorni dopo sulle rive di un'isola dell'arcipelago di Bermuda e lì iniziarono i guai. Già durante la tempesta, i confini tra le classi sociali dei passeggeri erano stati notevolmente sfumati. Shakespeare ne parla in maniera magistrale ne “la Tempesta”, quando il “buon” Gonzalo augura la forca ad un marinaio che ha osato dare ordini ai nobili. Una volta sull'isola gli interessi dei naufragi si trovarono in aperto conflitto: gli azionisti della Virginia company volevano rimettersi in mare e raggiungere le piantagioni della Virginia al più presto, mentre i lavoratori che avrebbero dovuto buttare sudore e sangue nel lavoro nei campi, si trovarono del tutto a loro agio sull'isola e non volevano barattare una vita agiata con una schiavitù forzata. I naufragi sperimentarono nuove forme di collaborazione, come fanno Calibano, Trinculo e Stefano sulla magica isola de “la Tempesta”, e si resero conto che lavorando insieme avrebbero potuto ottenere ciò che desideravano.
Purtroppo, con il senno di poi, possiamo dire che queste nuove forme di rivolta non furono molto utili. I potenti architetti della nuova economia, resisi conto del pericolo che questa nuova cooperazione poteva costituire, furono più che efficienti e non tardarono ad escogitare nuovi modi per opprimere e dividere il popolo. Con promesse ad alcuni, soppressioni di altri e campagne mediatiche mirate ottennero ben presto una divisione di intenti tra gli oppressi. E un popolo diviso è un popolo più facile da controllare. Così gli oppressi continuarono a essere oppressi e gli oppressori ad opprimere.
Fu uno sforzo inutile quindi? Non possiamo pensare che quegli uomini che tentarono di lottare con nuovi mezzi per la propria condizione fossero solo dei pazzi insensati. Scoprirono in
vece che la loro unione per una stessa causa faceva paura ai potenti più di qualsiasi altra arma potessero trovare. Già il solo mostrarsi uniti li poneva minacciosamente al centro dell'attenzione e amplificava la portata del loro messaggio. Se, in più, la loro protesta andava ad intaccare direttamente il portafoglio degli oppressori, l'effetto risultava quintuplicato. Nel “Coriolano”, è vero che Shakespeare descrive i plebei come una massa informe e disomogenea, disorganizzata e venale, ma è anche vero che, di fronte alla loro unione, non può negarne la straordinaria potenza e ammette che è grazie a questa che hanno potuto ottenere una voce nell'assemblea pubblica. Shakespeare nella vita quotidiana veste i panni dell'oppressore, ma nella sua opera l'amore per la verità non gli permette di nascondere le reali capacità di un popolo che, unito, protesta per una stessa causa.
Oltre che “uno dei nomi più importanti nella storia del teatro”, Shakespeare può essere definito anche come uno importanti autori occidentali in generale:
E vedi anche “Il canone occidentale” di H. Bloom.
Per il resto, molto interessante.