Salviamo la polis: nuova politica dal sud del mondo
Negli ultimi anni in Europa si assiste a un progressivo allontanamento di noi giovani dalle forme tradizionali di fare politica: elezioni, partiti e unioni sindacali. Sono sempre più diffusi atteggiamenti anti-politici e di sfiducia verso quelle istituzioni le cui decisioni tuttavia si ripercuotono nella nostra quotidianità.
Tutto ciò è comprensibile di fronte allo spettacolo degradante che ci offrono ogni giorno i nostri governanti. Eppure, lo scarso impegno e la pressoché nulla partecipazione al processo politico che caratterizza le nostre vite ci ha portato a essere, a mio avviso, inghiottiti in un circolo vizioso di passività e impotenza.
Se anche fosse sensato ripudiare la vecchia politica, incapace di generare un vero benessere sociale e garantire un riconoscimento effettivo tra governanti e governati, non sarebbe meglio agire più costruttivamente? Non sarebbe forse preferibile re-inventarsi la politica e liberarla da logiche partitiche e dalle catene del clientelismo?
Forse la risposta a queste domande risiede in un altro interrogativo: Perchè fare politica è così importante per il nostro vivere bene in comunità?
Ripercorrendo a ritroso nel tempo, lungo i cammini tracciati da una Grande Maestra, la Storia, è più facile darsi delle risposte e capire perché la politica non può essere separata dalle nostre azioni.
Nel IV secolo a.C., Aristotele definì l'uomo come “un animale politico”, portato per natura a vivere in comunità, nella polis, con altri uomini. Dunque, per il filosofo greco, la politica fa parte della vita stessa degli esseri viventi e del loro relazionarsi gli uni con gli altri e non si può prescindere da essa nella ricerca del vivere bene e della felicità.
Il binomio politica e felicità oggi però risulta essere piuttosto un ossimoro, così come pure democrazia rappresentativa. Più semplicemente, la parola politica è associata a corruzione, mafia e cattiva gestione della “cosa” pubblica. E c'è chi arriva addirittura a mettere in discussione la stessa democrazia, sottoposta sempre più frequentemente a ripetuti attacchi da parte di governi, eserciti ed economisti.
Tuttavia mi sento di affermare che, pur considerando tutti i suoi limiti, il governo del popolo sia uno dei frutti più prelibati del progresso sociale dell'umanità e una conquista di noi tutti dopo secoli bui di dittature e monarchie. Quello che deve cambiare semmai è la nostra limitata concezione di democrazia e politica. Amartya Sen, premio Nobel per l'economia nel 1998, esprime chiaramente questo concetto quando afferma che democrazia non è solo il diritto di voto o il diritto ad essere eletti ma rappresenta molto di più. La democrazia e la politica devono essere intesi come un luogo simbolico di dialogo aperto su tutte le questioni che riguardano la nostra vita. Per far rinascere la politica è quindi necessario sperimentare nuove forme di cittadinanza attiva. E questo silenziosamente sta già avvenendo.
Nonostante sempre meno gente voti, o si tesseri a un qualche partito politico, stanno emergendo nuove configurazioni politiche che mostrano come l'amore per la polis non si sia affatto spento.Passando dalla storia alla geografia, sembrerebbe che questo cambio di rotta è già in atto in alcuni paesi del Sud del mondo.
Ad esempio, già da qualche decennio, in America Latina si stanno concretizzando nuove forme di partecipazione politica. Le recenti costituzioni dell'Ecuador e della Bolivia hanno recepito per la prima volta alcune delle istanze provenienti dai movimenti legati ai popoli indigeni, da sempre esclusi dal panorama politico. In particolare, il Sumak Kawsay o buenvivir, un concetto chiave nella cosmogonia dei popoli delle Ande, che si basa su un modello di sviluppo alternativo che vede tra i suoi pilastri non solo la crescita economica ma l'armonia con la Pacha Mama (la Madre Terra), la convivenza civile e i diritti individuali e collettivi. I due testi costituzionali prevedono accanto alle classiche forme di democrazia rappresentativa, numerose e diverse forme dirette e comunitarie di partecipazione pubblica alla vita politica. Nella costituzione ecuadoriana, la partecipazione cittadina si configura non solo come un diritto individuale e collettivo, ma addirittura come “quinto potere”(accanto a quello legislativo, esecutivo, giudiziario e dei mass media) grazie alla presenza di un Comitato di Partecipazione Cittadina e Controllo sociale e di altri enti preposti a garantire la trasparenza negli affari politici. Interessante appare anche la previsione dell'articolo 101 che stabilisce il meccanismo della “silla vacia”, letteralmente la sedia vuota, che permette ai cittadini di partecipare attivamente alle sessioni politiche dei governi locali.
Ancora una volta dal continente latinoamericano, proviene un'altra straordinaria forma di partecipazione politica degli ultimi anni. In Brasile, a Porto Alegre, nasce infatti la pratica del bilancio partecipativo, che oggi si è diffuso in diverse parti del mondo. I cittadini si riuniscono a livello territoriale per co-gestire delle quote dei bilanci degli enti locali e discutono con i loro rappresentanti politici su quali siano gli investimenti più urgenti ed efficaci per la comunità.
Anche se queste esperienze sono piccole luci in un panorama politico mondiale tinteggiato da numerose ombre, bisogna saperne cogliere la portata rivoluzionaria. Dopo anni di esportazione (o più spesso imposizione?) dei sistemi politici occidentali nel Sud del mondo, il processo potrebbe ribaltarsi. Dall'America Latina, così come da altri paesi cosiddetti in via di sviluppo, potrebbero giungere a noi giovani europei idee nuove, capaci di contaminare positivamente l'aria della Polis e ricostruirla con il cuore e l'etica.
Orsù dunque, Nuova vita alla Politica!