Questioni di coraggio
La quarantesima edizione del festival internazionale del teatro in piazza, che si tiene ogni anno a Santarcangelo di Romagna, quest'anno riporta questo slogan: “PARTECIPA ANCHE TU se hai coraggio!”.
Un titolo provocatorio e anche un po' maraglio (come si direbbe qui in Emilia Romagna) ma che sicuramente pone sotto i riflettori un aspetto interessante dell'Arte contemporanea: la partecipazione. Ormai non ci accontentiamo più di sentire solo con lo sguardo e con l'udito ma sentiamo la necessità di coinvolgere anche gli altri sensi.
L'idea di fondo è molto attuale ma… quale sarà la resa?
Con un po' di coraggio prendo la macchina e faccio un po' di chilometri per andare a Santarcangelo e riscopro un paese delizioso nella sua perfetta commistione fra architettura umana e predisposizione naturale al bello.
Ad impreziosire questo gioiellino della Romagna i murales a cura di Ericailcane creano mistici percorsi di fantasticherie vitali.
Con un po' di coraggio m'iscrivo ad un laboratorio di “design urbano” tenuto dall'architetto Manolo Benvenuti che partendo da materiali di recupero (in questo caso i pallet) ha consentito a noi partecipanti di realizzare delle sfiziose sedute che sarebbero servite da arredo per la piazza principale del paese durante il festival.
Lo spirito audace fino a questo momento mi ha premiata con la scoperta di un paese affascinate e con un laboratorio ingegnoso.
Con un po' di coraggio decido allora di entrare nel vero cuore del festival: gli spettacoli teatrali; ma dopo i primi di rodaggio, comincio a domandarmi dove abbiano trovato il coraggio gli artisti e soprattutto i curatori per mostrare delle idee che nella migliore delle ipotesi sono solo abbozzate se non inesistenti o del tutto contorte ed inaffrontabili.
Quest'ultimo è il caso, ad esempio, di “Language” di Mihaylova Snejanka che in un folle tentativo di emancipare il linguaggio dalla rappresentazione, cercando di ridonargli la sua essenza, elabora un macchinoso “linguaggio delle farfalle” che ti fa balzare qualche dubbio sul senso che possa avere l'elaborazione di un tal codice.
In “Enimirc”, invece, di Fagarazzi & Zuffellato, la partecipazione del pubblico è una componente fondamentale per la realizzazione dello spettacolo stesso. Un film realizzato in estemporanea bendando e mascherando una decina di persone scelte dagli autori stessi dello spettacolo prelevandole da un pubblico in attesa di entrare nella Corderia per vedere.
Queste maschere una volta poste sotto i riflettori diventavano delle marionette alle quali veniva chiesto di compiere delle azioni o che venivano semplicemente trasportate come corpi inermi dai loro burattinai che li muovevano a piacimento all'interno del palcoscenico. L'audio era per lo più preregistrato, quindi ad alcuni di loro venivano attribuite per lo più voci che non corrispondevano alle proprie. Un momento interessante è stato sicuramente quello in cui dal pubblico qualcuno poneva delle domande agli attori sul palcoscenico: domande imbarazzanti e sfrontate alle quali loro in quanto maschere sentivano di rispondere in piena libertà. Un vero e proprio sfogo consentito.
Tutte le azioni sono state registrate e montate subito dopo la fine delle riprese e poi mostrate come un corto agli spettatori ed agli attori stessi che son stati sbendati alla fine di questa messa in scena. Senza dubbio un interessante esperimento legato alla psiche umana e al suo modo di interagire con oggetti e persone sotto la spinta di altri stimoli solitamente relegati su di un piano marginale.
Il resto degli spettacoli che ho potuto vedere mancavano di una trama, di una idea, di una semplice emozione, di una sensazione: insomma erano freddi, per non dire agghiaccianti.
Sembra che questi anni che viviamo ci sconvolgano perché ciò che si realizza è caratterizzato, nella sua sfaccettata diversità, da scompensi, da escursioni termiche che non riescono, tuttavia, a farci venire la pelle d'oca o a farci sudare la pelle.
Sembra di assistere ciclicamente a pure speculazioni nonsensical e a deboli azioni di spiriti depressi.
Ma allora, perché dare un senso a un non senso?
Non sarebbe meglio lasciarsi elettrizzare da una tempesta di sensazioni?