Kirghizistan: il conflitto etnico che (forse) non c'è
Così come altri paesi asiatici post-sovietici, anche il Kirghizistan fu attraversato e sconvolto nel 2005 dalla sua rivoluzione colorata, sotto il nome di Rivoluzione dei Tulipani: un movimento, forte del sostegno occidentale, che si scagliò contro il presidente in carica Akayev. Leader dell'opposizione era Bakiyev, eletto poi presidente; ma la fiducia riposta nei suoi confronti dalla popolazione è andata nel corso degli anni affievolendosi fino a sfociare in una nuova rivoluzione. Poca democrazia, accentramento del potere, legami con organizzazioni criminali: il risultato è stato una nuova protesta lo scorso aprile che ha portato alla deposizione e all'esilio del presidente, affidando le sorti del paese a un debolissimo governo ad interim.
Una situazione figlia di una politica scellerata che ha portato a estreme contrapposizioni tra nord e sud del paese ovvero tra Kirghisi (65% della popolazione) e Uzbeki (14%).
Da allora, negli ultimi mesi, un susseguirsi di violenze ha fatto sprofondare il paese nel sangue e anarchia: tumulti, omicidi e stupri, città devastate e profughi, con più di 2mila vittime. Secondo testimonianze locali (Washington Post) dietro agli scontri ci sarebbero fedelissimi alleati dell'ex presidente, che avrebbero orchestrato il tutto facendolo apparire erroneamente come conseguenza di tensioni etniche. Si tratterebbe quindi di un tipico caso in cui speculazioni politiche, lotte di potere e colpi di coda di politici deposti, approfittano del pretesto “etnico” per indebolire il governo in carica.
Il futuro del paese è più incerto che mai: l'attuale presidente provvisorio Otunbaeva invoca l'intervento della comunità internazionale. Alcune regioni sono completamente in mano a organizzazioni criminali con totale assenza dello stato; si temono inoltre infiltrazioni di cellule di Al Qaeda.
Si rimane quindi in attesa delle lente decisioni di Russia e Stati Uniti entrambi presenti sul territorio kirghiso con basi aeree (in particolare quella statunitense è un avamposto fondamentale per la guerra in Afghanistan).
Ancora una volta le tensioni etniche sono comunque il risultato d'instabilità sociale, zero sviluppo economico, disoccupazione, povertà diffusa e soprattutto squilibri tra le regioni.