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Scritto da nel Economia e Mercati, Numero 70 - 1 Giugno 2010 | 0 commenti

La politica europea della concorrenza in tempi di crisi: passato, presente e futuro

Nell'aprile 2009, la Commissione Europea stimava di aver approvato i piani elaborati dai governi degli Stati membri per il salvataggio delle banche europee colpite dalla crisi finanziaria per un totale di circa 3.000 miliardi di Euro, pari al 24% del PIL europeo.

Molti di questi pacchetti – ma non tutti – costituiscono aiuti di stato.

Un aiuto di stato è un contributo – nella forma di sussidio, di esenzione fiscale, o di prestito monetario – conferito dallo Stato ad un'impresa, che, come tale, può causare distorsioni alla concorrenza nel mercato interno e influenzare il flusso del commercio crossborder. Per questo motivo, la Commissione Europea, responsabile della corretta applicazione delle norme che presidiano l'integrità del mercato interno, ha il potere di vigilare sulla legittimità di tali aiuti, ed eventualmente di bloccarne l'erogazione o di imporne la restituzione.

All'inizio della crisi, quando i governi iniziarono ad intervenire per salvare alcuni istituti finanziari dal fallimento, a Bruxelles si riteneva che le attuali Linee Guida sugli aiuti di Stato1 fossero uno strumento di disciplina appropriato, come avevano dimostrato di essere, ad esempio, nel 2003 in occasione del salvataggio da parte del governo britannico del gigante dell'elettricità British Energy.

Tuttavia, dopo il collasso di Lehman Brothers nel settembre 2008 fu chiaro che queste regole erano inadeguate per far fronte alla gravissima crisi di liquidità che, a causa dell'erosione generale della fiducia del mercato, minacciava anche l'esistenza di istituti altrimenti fundamentally sound. E fu presto evidente anche che aiutare i singoli istituti finanziari, in un contesto di forte interdipendenza dei mercati, significava ripristinare la stabilità e la fiducia nel sistema bancario europeo nel suo complesso e aiutare l'economia europea ad affrontare la crisi.

Così la Commissione si trovò davanti alla scelta, peraltro da prendere in tempi molto brevi, tra la preservazione di un settore bancario immune da ingerenze statali potenzialmente distorsive della concorrenza e la salvaguardia della stabilità finanziaria degli istituti ivi operanti. La scelta del giusto compromesso non era facile: da un lato c'era chi – come il governo italiano – invocava una deroga alle norme del Trattato e la legittimità tout court di qualsiasi tipo di aiuto; dall'altro lato c'era chi, purista, riteneva che la situazione non richiedesse alcuna modifica delle norme. La Commissione scelse una via di mezzo: l'applicazione temporanea ed eccezionale di disposizioni ad hoc.

A partire dal 13 ottobre 2008, la Commissione ha emanato una serie di Comunicazioni sull'applicazione delle norme sugli aiuti di stato al settore bancario per far fronte alla crisi che lo aveva colpito2. In conformità a queste Comunicazioni, la Commissione ha approvato 50 piani nazionali di salvataggio nell'arco di 9 mesi.

Ad un anno e mezzo dallo scoppiare della crisi, la decisione della Commissione sembra essere stata saggia. Infatti, un atteggiamento eccessivamente lassista avrebbe determinato la perdita di credibilità dell'intero establishment ed avrebbe pericolosamente consentito la prevalenza di interessi nazionali a discapito del tanto agognato level playing field. D'altro canto, una posizione troppo restrittiva si sarebbe rivelata miope ed avrebbe ingigantito i danni già prodotti. Un esempio può aiutare a chiarire quest'ultimo punto: mentre in altri mercati, la scomparsa di un'impresa avvantaggia i rivali perché dà loro la possibilità di espandere la propria quota di mercato, nel settore bancario il fallimento di una banca non arreca alcun beneficio ai suoi concorrenti. Al contrario, essi ne sono danneggiati, direttamente, se creditori della fallita, e/o indirettamente, in quanto il pregiudizio subito dai suoi clienti genera sfiducia nel mercato e nuoce all'intera economia di un Paese.

Certo la Commissione non è andata esente da critiche nella gestione delle richieste degli Stati membri che si affannavano a salvare i propri campioni nazionali. Qualcuno, come i francesi e i tedeschi, ha puntato il dito contro l'ex Commissaria Kroes, accusandola di certi favoritismi che odoravano di 'nazionalismo'.

Sta di fatto che la Commissione, nonostante la pressione politica degli Stati membri, è riuscita a barcamenarsi e lo sforzo è stato premiato: gli ultimi studi indicano che le banche europee stanno riprendendo a camminare con le proprie gambe e fanno sempre meno uso degli aiuti statali3.

Tuttavia, la Commissione si trova ora davanti ad una fase, quella di ritorno al mercato, che è delicata tanto quanto, se non di più, quella precedente. Infatti, con l'attenuarsi della crisi (a livello finanziario) e il venir meno dell'eccezionalità, è necessario che la disciplina generale degli aiuti di stato trovi nuovamente applicazione.

Una volta fuori pericolo, ad esempio, non è più giustificato che anche banche fundamentally sound beneficino ancora degli aiuti.

Allo stesso tempo, è opportuno un coordinamento (già in parte fornito dalle scadenze stabilite dalla Commissione) dei governi nazionali nel revocare i benefici concessi, in modo da evitare il rischio che alcune banche li perdano prima di altre e si trovino svantaggiate rispetto a queste ultime.

Inoltre, è certamente necessario vigilare per evitare un'influenza indebita dei governi sulla politica degli investimenti delle beneficiarie, in modo da scongiurare distorsioni della concorrenza nel mercato interno.

Se, dunque, l'emergenza può ritenersi cessata, il lavoro della Commissione è ben lontano dalla fine. Il nuovo Commissario Almunia ha il compito fondamentale di assicurare che la fase di ritorno al mercato avvenga sotto la guida dell'Europa e non diventi monopolio degli Stati membri né serva esclusivamente interessi particolaristici nazionali.

1 V. Linee Guida per il salvataggio e la ristrutturazione delle imprese in difficoltà, secondo le quali, solo imprese in difficoltà possono beneficiare degli aiuti, i quali obbediscono al principio 'one time, last time' e non durano più di sei mesi.

2 V.

3 V.

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