La crisi greca e le fragilità dell'Europa
La crisi di debito che sta investendo la Grecia e rischia di estendersi al resto dell' Europa Meridionale ha messo in luce alcune debolezze strutturali dell'Unione Europea e, più in particolare, dell'Unione Monetaria, che erano già state messe in luce da numerosi economisti, tra cui Barry Eichengreen, alla vigilia dell'introduzione dell'euro, ma finora non erano mai state all'ordine del giorno.
La peculiarità principale dell'area dell'euro rispetto a tutte le altre “aree monetarie” è che, nella prima, non c'è coincidenza tra Stato e valuta circolante: sedici Paesi condividono la stessa moneta. Inoltre, diversamente dalle aree a tasso di cambio fisso o aggiustabile, l'autorità monetaria è sovranazionale, per cui non c'è un Paese che funge da leader.
Conseguenza di ciò è che, mentre la politica monetaria è unica e definita, non senza critiche, da un'istituzione che tendenzialmente rispetta il suo mandato, stabilito a livello di Unione Europea, la politica fiscale, che è l'altro grande pilastro della politica economica, non lo è. Ogni Paese compie autonomamente le proprie scelte di politica fiscale, sulla base di obiettivi nazionali. Come è noto, il Trattato di Maastricht stabiliva diversi parametri per l'adesione all'euro, due dei quali di carattere fiscale: un rapporto deficit/PIL minore del 3% e un rapporto debito/PIL minore del 60% o comunque con una chiara tendenza alla diminuzione. I Paesi candidati che, fino ad allora, erano stati poco virtuosi, dovettero adottare forti manovre correttive per rientrare entro questi confini.
Il problema dei parametri di Maastricht è che, una volta adottato l'euro, i Paesi potrebbero non avere più l'interesse a mantenere la disciplina fiscale e di conseguenza violare i parametri stessi. Per evitare questo rischio si sono introdotti meccanismi, nel Patto di Stabilità e Crescita (PSC), di controllo preventivo e di sanzionamento per i paesi poco virtuosi (le cosiddette “Procedure di Deficit Eccessivo”, EDP). Quanto è accaduto alla Grecia, e la situazione critica in cui versano, nell'ordine, Portogallo, Spagna e Irlanda ha mostrato tutte le debolezze del PSC e l'inefficacia delle EDP, soprattutto da un punto di vista preventivo.
In altri termini, l'idea di un'Unione Monetaria disgiunta dall'Unione Fiscale è fallita sotto il peso del difficile bilanciamento tra interessi nazionali e interesse europeo.
Alcune recenti proposte della Commissione Europea finalizzate a superare la crisi attuale mirano a risolvere questa debolezza strutturale dell'euro: in particolare, è stato suggerito di introdurre nelle legislazioni nazionali gli obblighi previsti dal Trattato in termini di disciplina fiscale. Se questo, da un certo punto di vista, può essere visto come una limitazione della sovranità dei Paesi membri, dall'altro lato va proprio nella direzione del superamento della “disunione fiscale” che ha causato l'attuale crisi, anche se forse non è sufficiente.
Una seconda debolezza strutturale dell'Unione Monetaria risiede nei criteri stessi fissati per l'adesione. Dal 1999, hanno adottato l'euro paesi strutturalmente diversi, nonostante tutti rispettassero i cinque parametri di Maastricht, e che quindi sono stati influenzati in modo molto diverso dalla valuta comune. I Pigs, come oggi vengono chiamati Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna partivano da un reddito medio e un livello dei prezzi minore della media europea. La convergenza a bassi tassi d'interesse ha creato una sorta di “euforia economica” che ha comportato crescita sostenuta ma ha anche, in Spagna e in Irlanda, favorito l'insorgere della bolla immobiliare. Come in tutte le economie che convergono a standard di vita più elevati, la crescita è stata accompagnata da un aumento generalizzato dei prezzi – e quindi inflazione maggiore rispetto alla media europea – quello che gli economisti chiamano effetto Balassa-Samuelson. Con il boom di produttività ormai esaurito e i prezzi in aumento, i Pigs hanno gradualmente perso competitività, accumulando così deficit verso l'estero sempre maggiori e un debito estero insostenibile nel lungo periodo.
E' importante notare che tale situazione di debito eccessivo prescindeva dalla politica fiscale; infatti, ad indebitarsi, in Portogallo, Spagna e Irlanda sono stati soprattutto i privati. Dunque, per quanto prevedibile, un'eventualità di questo tipo non era neppure considerata dal PSC. Una riforma del Patto, di conseguenza, non può non tenere in conto questo aspetto, inserendo dunque un requisito di conti verso l'estero in ordine, o meccanismi di compensazione tra Paesi membri in surplus e in deficit di parte corrente, o ancora inserendo tra i parametri di Maastricht una forma di convergenza reale e non solo nominale.
Un ultimo elemento di criticità istituzionale che l'Europa dovrà affrontare ed è degno di nota riguarda il ruolo e l'indipendenza della BCE. La possibilità che la BCE possa iniziare a comprare bond “spazzatura” emessi dagli Stati Membri a rischio default ha spaventato i mercati e, nell'area euro, la Germania. Il problema è il seguente: per comprare titoli, la BCE dovrebbe immettere ingenti quantità di moneta sul mercato, il che determinerebbe una notevole spinta inflattiva e ciò mina la credibilità della BCE stessa. Inoltre, sarebbe un forte segnale di perdita di indipendenza. E' questo uno dei motivi dell'attuale deprezzamento dell'euro: gli investitori internazionali e le Banche Centrali estere vendono euro perché si aspettano perda valore in caso di elevata inflazione. In realtà, questi timori sono piuttosto infondati: ciò che la BCE sta facendo non è comprare Titoli di Stato stampando moneta, bensì comprare Titoli di Stato dei paesi “periferici” e sotto attacco vendendo titoli dei Paesi più forti, in modo da ridurre lo spread tra gli stessi, che stava crescendo notevolmente a causa della speculazione.
In queste settimane non è in gioco solo la sopravvivenza dell'euro o dell'Unione Europea. Gli euroscettici, dunque, dovrebbero aspettare prima di brindare alla fine della moneta unica perché, con l'euro, è in gioco l'economia di tutti i Paesi europei, e non è abbandonandolo che si risolveranno i problemi. A causa della profonda integrazione economica presente tra i paesi dell'Unione Monetaria e dell'UE, se fallisse un solo Paese, l'effetto contagio – i cui primi sintomi sono già visibili negli spread sui tassi di interesse – potrebbe investire anche Spagna, Portogallo, Irlanda e, in un secondo momento, Italia e Francia. Una crisi di debito pubblico di queste proporzioni non avrebbe precedenti; inoltre, dato il livello di integrazione finanziaria presente in Europa, i Titoli di Stato dei vari paesi membri sono detenuti dalle banche di tutta l'area euro e non solo, e gli effetti di un default (anche della sola Grecia) sarebbero devastanti sul sistema bancario. E' per questo che né si può lasciare la Grecia al suo destino, ad esempio “cacciandola” dall'eurozona, né si può con leggerezza ipotizzare di abbandonare la valuta comune.
Forse queste cose dovrebbero essere spiegate ad alcuni politici europei che, in queste settimane, riescono a fare (male) solo gli interessi nazionali.