Ruanda: la guerra dimenticata
Cento giorni di barbarie in cui i bambini si uccidevano tra di loro, mariti che massacravano le proprie mogli, con le donne Tutsi violentate e riempite di chiodi al loro interno (peacereporter.net). La guerra si sviluppò tra le milizie e bande Hutu e la minoranza Tutsi: oggi il Ruanda vive in uno stato di democrazia, governato da una forma presidenziale guidata da Paul Kagame e sulla carta d'identità dei cittadini c'è scritto solo “ruandese”, senza nessun riferimento all'etnia.
Prima del 1994 invece l'etnia divideva i Ruandesi in due grandi gruppi, gli Hutu e i Tutsi, frutto della colonizzazione belga, avvenuta al termine della Prima Guerra Mondiale: furono proprio i colonizzatori a inventare la carta d'identità etnica. Prima dell'indipendenza ruandese, avvenuta il primo luglio del 1962, i colonizzatori appoggiarono con trattamenti di favore prima i Tutsi, poi quando quest'ultimi cominciarono a chiedere l'indipendenza, le attenzioni si spostarono sugli Hutu. Tutto ciò contribuì esclusivamente ad alimentare l'odio e la contrapposizione tra le due etnie. Infatti, la Repubblica del Ruanda nacque sulla scia di un colpo di stato guidati da gruppi Hutu che spodestarono i dirigenti filocoloniali Tutsi. Da quel giorno il Ruanda, descritto come il paese delle mille colline, assistette all'esodo di migliaia di cittadini Tutsi verso il vicino Congo, la Tanzania o L'Uganda. Fino al 6 aprile del '94, quindi in un arco temporale di trent'anni, il paese era inerme di fronte a un governo apparentemente democratico la cui principale attività era quella di reprimere i Tutsi, con quest'ultimi che dai confini del Ruanda cercavano con azioni armate di rientrare ma l'unico risultato che ottennero è stato il massacro di centinaia di Tutsi che vivevano in Ruanda. Proprio in questi anni nasce il Fpr, il Fronte Patriottico Ruandese, che si rese protagonista di diversi massacri (italymedia.it).
L'allora presidente ruandese Haboyarimana, Hutu, pensò di abolire la carta d'identità etnica, non facendo nulla però per l'integrazione anzi favorì la nascita di nuove milizie, le Interahamwe, che avevano lo scopo non dichiarato di uccidere i Tutsi.
Il 6 aprile 1994 il conflitto etnico precipita rovinosamente, l'aereo presidenziale con a bordo Habyarimona viene abbattuto, e per il Ruanda cominciano i cento giorni più bui della propria storia. Vengono scavate le fosse comuni, il sangue scorre a fiumi. Lorenzo Cairoli, giornalista blogger giramondo, parla delle barbarie ruandesi cosi: “Sedicianni fa il Ruanda chiese time out alla storia, si allontanò dal parquet della razza umana e per cento giorni macellò la sua gente negli spogliatoi dell'inferno. Il 6 aprile di sedici anni fa un missile terra aria abbattè l'aereo del presidente Juvénal Habyarimana. Il giorno dopo i machete degli Hutu diedero vita a una delle pagine più aberranti della storia umana…“
Le immagini fecero il giro del mondo, agli occhi di una comunità internazionale non esente da colpe. L'ONU e gli Stati Uniti erano a conoscenza di quanto precaria fosse la situazione in Ruanda prima di quel 6 aprile, eppure non si fece nulla per evitare la carneficina. L'allora presidente Francese François Mitterand disse: “Un genocidio in Africa non è così terribile come altrove”. Il 25 febbraio 2010 Nicolas Srakozy, recatosi in visita ufficiale in Ruanda dopo il '94 disse: “Quanto accaduto qui è inaccettabile, ma costringe la comunità internazionale, inclusa la Francia, a riflettere sugli errori commessi al fine di prevenire e fermare questo abominevole delitto”(peacereporter.net).
Oggi in Ruanda, dove ci sono 40mila orfani e 500mila donne vedove, esiste il Gacaca, il tribunale di stato che mensilmente esprime sentenze sui vari leader resisi protagonisti in quei anni sanguinari, sono ancora diversi i latitanti. “Senza armi da fuoco, machete o altri oggetti, voi avete provocato la morte di migliaia di civili innocenti” parla così il giudice Navanathem Pilay che, per la prima volta, riconobbe in sede giuridica le responsabilità oggettive dei media nel veicolare e strumentalizzare idee estremiste, ed equiparò le responsabilità degli imputati a quelle degli organizzatori materiali del genocidio. (rs.infinitoedizioni.it)
Il 7 aprile è stato dichiarato dalle Nazioni Unite “giornata della memoria”, per ricordare il milione di vittime ruandesi massacrate.