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XXX – L'indovino di Delfi a Itaca



Capitolo Trentesimo

Fantastiche rivelazioni dell'indovino di Delfi

Avendo preso in breve Zenone la via del mare, per salvarsi la vita e per l'insofferenza del vedere in quello stato Itaca e la casa reale, e la piazza con la quercia ridotta a carnaio, lascia nelle mani di Penelope lo scriba amico suo, salutandolo con abbracci e lacrime calde, e con il rituale scambio del simbolo: una pietra spezzata in due parti che per tutte le generazioni a venire sarebbe stata la prova di un'antica amicizia da rispettare.

Sia Laerte come anche Palemede, al rimaner dello scriba nell'isola non c'avevano nulla in contrario a ché dire, una volta cavato di mezzo quell'altro. E il fatto è che, passati gli anni e rendendosi con la crescita Telemaco molto meno merdoso di quel che l'abbiamo visto nei precedenti capitoli, prende corpo tra i due un intendersi e un far lega contro i pretendenti, che anche Laerte non poteva che approvare. Per via che Penelope da anni si cullava nell'indecisione e ne provava un giorno uno e un giorno un altro, senza mai risolversi – e in tutto quel tempo s'era dato fondo a tutte le riserve alimentari, a tutte le riserve di vino, e la città era lercia da far schifo.

Telemaco e lo scriba avevano, a questo proposito, meditato un'offesa che avrebbe tolto da quei furfanti ogni dubbio sull'essere o meno graditi lì nella casa reale. Era un piano studiato da anni, ormai, e che si basava sull'arte dei lirici, mescolata a una rappresentazione fisica, insomma quello che oggi chiamiamo teatro – anche se in una forma primitiva. L'idea era venuta in mente allo scriba, ad ascoltar tutte le lamentele di Telemaco, lamentele quotidiane d'una sofferenza impotente. Avrebbe avuto un qualche effetto, il loro piano? La loro mess'in scena? Non ne avevano idea. Fatto è che nel mentre che gli attori venivano preparati a ché dire e a ché fare, bussa alla porta di Telemaco un vecchio barbuto, che come indica il titolo di questo trentesimo capitolo, a prima vista lo si riconosce come l'indovino della città di Delfi – quello stesso indovino che ormai vent'anni addietro aveva lanciato una terribile maledizione a Odisseo. Ti ricordi, buon lettore? Ma ormai di quella maledizione non è tempo d'interessarci, per cui proseguiamo con la nostra storia: arriva l'indovino, in gran fretta per parlare però non con Telemaco – come tutti lì s'aspettavano – ma invece con lo scriba, e appartato da orecchie indiscrete.

  • Sei tu il babilonese che Zenone ha trovato a Troia, giusto o no?

Perché l'indovino, da quella visita che vent'anni prima aveva originato la maledizione, o meglio la predizione (erano conosciuti, gli indovini, non tanto per sapere il futuro, ma per il potere di determinarlo con le loro parole), nella sua visione che tutto vede e tutto indovina, aveva tenuto d'occhio sia il re di Itaca che Zenone, e così anche aveva notato quel giovane scriba che adesso gli stava davanti.

  • Ti faccio una confidenza, ragazzo: tutto qui sarà distrutto; tutto andrà bruciato. Fa
    parte della mia maledizione su Odisseo. Ma tu: le tue doti non andranno
    sprecate, tu potrai salvarti: e tu solo.

  • Aspetta aspetta, cosa mi dici? Non posso portar nemmeno Penelope con me?

  • Penelope, vedrai, avrà d'altri pensieri.

  • Né Telemaco?

  • Né Telemaco. Ti spiego come ti salverai: c'è una barchetta, alla Baia delle Baccanti,
    che usa uno speziale per smerciar le sue merci. Quando verrà il giorno che t'ho detto, la troverai lì, pronta per te.

  • E quale sarà questo giorno?

  • Ecco come riconoscerai quel giorno: all'ombra di un ciliegio, nel frutteto, sarai
    impegnato a scriver il principio di una nuova opera: quella sarà l'opera che ti renderà
    indimenticato per sempre, lungo i millenni. Quel giorno in cuor tuo rileggerai gli
    ultimi versi appena scritti e ne sarai così innamorato che capirai che quello è l'inizio
    della tua Opera, il vero inizio, e ti ricorderai il nostro incontro di oggi: prendi allora i
    tuoi papiri e corri alla Baia senza voltarti indietro, prendi la barca e vattene lontano.

Finita la sua divinazione e i suoi consigli, l'indovino s'inchina allo scriba, per un rispetto e una benevolenza che solo lui, nel suo veder che tutto vede e tutto indovina, può capir perché. E mentre che l'indovino se ne va, arriva correndo Telemaco: Gli attori sono pronti! – dice – e i pretendenti son riuniti: è il momento! – il teatro che da tempo quei due avevano preparato come un'arma di battaglia, è l'ora di metterlo in scena.

(continua…)

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