Rosie the Riveter
Rosie è un’icona culturale degli Stati Uniti d’America che rappresenta le donne americane che diedero un contributo decisivo al proprio paese lavorando nelle fabbriche belliche alla costruzione di navi, aerei, armi, munizioni e quant’altro.
Rosie the Riveter raffigurata da Norman Rockwell nella copertina del
The Saturday Evening Post del 1943
Gli Stati Uniti non erano preparati a partecipare al conflitto. Il paese soffriva ancora la grave recessione economica del Ventinove e non disponeva di un apparato industriale orientato alla produzione bellica. La loro entrata in guerra fu quindi accompagnata da una radicale trasformazione della società e della produzione – che in tempi record passò dal produrre prodotti civili come le automobili a prodotti bellici – che permisero l’uscita definitiva dalla crisi economica, nonché l’entrata in massa delle donne nel mondo del lavoro. La propaganda fu fattore decisivo a innescare un così radicale cambiamento all’interno della società, al principio fortemente contraria a qualsiasi coinvolgimento militare, ed era pregna della retorica internazionalista tipica dell’eccezionalismo americano, come evidenzia, tra gli altri, il discorso sulle quattro libertà fondamentali – di parola, di culto, dal bisogno e dalla paura – pronunciato da Roosevelt nel 1941. La propaganda si espandeva in maniera pervasiva, passando dal mobilitare l’opinione pubblica a sostegno del proprio esercito, fino a giustificare severe limitazioni alle libertà civili, considerate misure necessarie per la sicurezza (giungendo a creare vere e proprie discriminazioni verso americani di origine tedesca o giapponese). Tra i vari ambiti grandissima risonanza ebbe la propaganda indirizzata alle donne, e in particolare Rosie the Riveter.
Rosie è protagonista di una canzone di Redd Evans e John J. Loeb a cui da il nome e che ritrae una donna americana che lavorando alla catena di montaggio aiuta il suo paese nello sforzo bellico mentre il suo ragazzo è al fronte.
Una delle sue raffigurazioni più note è stata dipinta da Norman Rockwell – illustratore del “The Saturday Evening Post” che dipinse anche la serie di quadri denominati The Four Freedoms con riferimento al discorso di Roosevelt – e la ritrae nel momento del pasto mentre, tenendo con una mano il sandwich e con l’altro possente braccio la saldatrice ferma sulle gambe, calpesta una copia del Mein Kampf di Hitler. La propaganda ebbe un effetto sorprendente tanto che la partecipazione femminile alla forza lavoro nazionale aumentò di quasi il 60 % tra il 1940 e il 1944 e Rosie the Riveter divenne un vero e proprio fenomeno. Nel 1945, 19 milioni di donne, comprese milioni di donne afroamericane, lavoravano fuori dalle mura domestiche.
“We can do it!” di J. Howard Miller, generalmente scambiata per Rosie
Sebbene l’immagine di Rosie facesse riferimento alle operaie che lavoravano nell’industria bellica – all’incirca due milioni, di cui la metà nel solo aerospaziale – la maggior parte della forza lavoro femminile venne impiegata nel settore dei servizi, non solo in posti “tipicamente femminili”, ma irrompendo in ambiti, come il lavoro in banca o nel governo federale, prima a loro preclusi. Ciò che accomunava le esperienze di tutte queste donne era, come ben espresso dall’immagine di J. Howard Miller, l’idea e la riprova che fossero in grado di fare “lavori da uomini” e che probabilmente fossero in grado di farli meglio!
Le donne negli Stati Uniti parteciparono alla Seconda Guerra Mondiale principalmente attraverso sforzi civili e sacrifici personali che, come spesso ripetuto dal presidente Franklin D. Roosevelt, furono fondamentale supporto al paese in guerra e alla sua vittoria. Ma tali sforzi segnarono un progresso decisivo non solo per l’esito della guerra, in quanto permisero alla popolazione femminile statunitense di elevare il proprio status all’interno della società e di emanciparsi dalle mura domestiche.