L'animale donna
“Ogni donna ha un bel corpo, bello perché è il brillante risultato di milioni di anni di evoluzione”. E' questa una delle tesi dalle quali Desmond Morris parte per il suo difficile viaggio alla scoperta del corpo femminile. Dopo “La scimmia nuda”, nel quale il grande etologo analizza la specie umana come se stesse analizzando una qualsiasi altra specie animale, rintracciandone i caratteri comuni con gli altri primati e le qualità animalesche dell'animale uomo, la sua lente di ingrandimento di sposta sopra su un oggetto molto più interessante e complesso, “l'animale donna”.
Il libro è strutturato come un viaggio, con un itinerario che parte dai capelli e, passando attraverso tutto il corpo femminile, si conclude con i piedi. In questo lungo viaggio, che si estende anche nel tempo e nello spazio, attraverso tutte le epoche e le regioni del mondo, Morris illustra di ogni parte del corpo gli aspetti biologici, quelli che le donne condividono con le altre, gli usi e tutte le pratiche che le diverse società hanno imposto per aumentarne la “bellezza” o la “femminilità”. E' un libro interessantissimo che, attraverso una narrazione mai noiosa e alla portata di tutti, aiuta a comprendere meglio la donna, il suo ruolo nella società e a superare quegli assurdi luoghi comuni e stereotipi che ancora oggi affliggono alcune delle società che si dichiarano più evolute.
Cos'è la femminilità e perché nella storia dell'umanità le società hanno sempre cercato di sottolinearla e aumentarla, anche ricorrendo all'uso di pratiche dolorose e violente? Nella sezione in cui viene trattata l'evoluzione, Morris parla di un particolare fenomeno evolutivo che solo la specie umana possiede e che fa si che i suoi individui mantengano anche nell'età adulta caratteristiche infantili: la neotenia. L'uomo infatti, a differenza degli altri animali, ama giocare e continua a farlo per tutta la durata della sua vita, anche se in età adulta chiama il gioco in modi diversi: sport, arte, musica, filosofia, lavoro, viaggi. Noi non li consideriamo “giochi” ma in effetti lo sono, hanno quella mescolanza di rischio, inventiva, immaginazione, piacere e scoperta che sono proprie di tutti i giochi dell'infanzia. L'uomo quindi si evolve secondo questo meccanismo di neotenia. L'uomo e la donna tuttavia non si sono evoluti nello stesso modo, hanno preso una strada leggermente diversa che li ha portati a evolversi uno più nel comportamento e l'altra più nel fisico. L'uomo infatti conserva anche in età adulta una mentalità molto più infantile di quella della donna, è più impulsivo e soggetto a incidenti e il bisogno di svago è molto più forte. La donna al contrario ha sviluppato un'anatomia molto più infantile di quella dell'uomo: quasi priva di peli, un fisico più minuto e arrotondato, la voce più acuta, gli occhi più grandi e tante altre caratteristiche proprie del “bambino”. Morris rintraccia le cause di questa differenza nei ruoli che i due generi avevano nelle società preistoriche. L'uomo era addetto alla caccia e quindi è logico che avesse bisogno di sviluppare un corpo più grande e resistente e un carattere più impulsivo e avventuroso, mentre la donna era a capo dell'insediamento ed era lei che aveva il compito di governare il villaggio e di crescere ed educare i bambini della tribù. Essa dunque aveva bisogno di un corpo con maggiore riserva di lipidi (per la gravidanza e l'allattamento), più piccolo e meno peloso di quello maschile, in quanto non aveva bisogno di particolari protezioni, un aspetto più fanciullesco, per indurre l'uomo a proteggerla e un carattere meno infantile, più razionale e generoso. In pratica evolvendosi gli uomini presentavano un aspetto quasi immutato e una mentalità sempre più infantile, mentre le donne un aspetto sempre più infantile e minori qualità mentali infantili. Ed è l'insieme di questi aspetti che costituisce quello che noi, più o meno consapevolmente, intendiamo per femminilità. Un concetto questo però, che nella storia è stato reso ambiguo e controverso. Nella femminilità in sé infatti non c'è nulla di sbagliato o negativo. Il problema nasce quando si vuole esagerare e esasperare questa femminilità, aggiungendo una femminilità “artificiale” andando ad agire direttamente sul corpo. La motivazione di questa esagerazione è piuttosto semplice da capire: la femminilità (l'aspetto tipico della donna) è ciò che in una donna attrae immediatamente un uomo. Ma i gusti non hanno solo cause biologiche, posseggono anche una forte componente culturale, e quindi variano in relazione all'epoca, la geografia e la religione. Sono le culture che impongono ideali di bellezza diversi e quindi la tendenza ad accentuare alcuni aspetti della femminilità di una donna, in modo da aumentarne l'impatto visivo e l'appetibilità sessuale. Nei secoli le mode hanno imposto alle donne ideali di femminilità che le hanno costrette a indossare dolorosi abiti correttivi, a sottoporsi a violente mutilazioni di ogni tipo e a ricorrere a una vastissima varietà di trucchi. Tra questi non possiamo non citare la moda del corsetto, le donne “dal collo lungo” della Birmania, le Paduang, i dischetti alle labbra di alcune tradizioni africane, l'assurda moda delle labbra “a canotto” che oggi è molto diffusa e la disumana pratica dell'infibulazione, purtroppo praticata ancora oggi. Di queste usanze la storia è talmente tanto ricca che la parola femminilità è stata indissolubilmente legata all'uso di questi espedienti, come il trucco e particolari capi di vestiario. E' forse per questo che nel XIX e XX secolo, i movimenti femministi, che in questa epoca erano nati e si erano sviluppati, assunsero come cavallo di battaglia la rinuncia a qualunque tipo di manifestazione di femminilità. Fu una scelta difficile e radicale, che le costringeva a rinunciare a tutta la propria femminilità per scrollarsi di dosso anche quegli altri stereotipi dei quali si volevano liberare in nome dell'uguaglianza e l'emancipazione. Per quanto radicale, questa presa di posizione risultò necessaria e incredibilmente efficace nello scuotere le fondamenta di una società fino ad allora sorda e insensibile alle richieste delle donne. Avevano bisogno di dimostrare che, al di là dell'aspetto, esse avevano le stesse capacità e diritti di un uomo e, essendo l'uomo prima di tutto un animale visivo, il modo migliore per colpire l'immaginario collettivo era quello di rinunciare alla propria “forma” di donna.
Questo però è un estremo che, nonostante sia risultato utile in un determinato contesto, va evitato normalmente. Una donna non può e non deve rinunciare alla propria femminilità. Non sarebbe giusto. La femminilità è biologica, è ciò che biologicamente distingue un uomo da una donna. Quello al quale si può rinunciare sono tutte quelle pratiche aggiuntive che la cultura impone, quella femminilità superflua che rende le donne schiave dei gusti della comunità e esaspera il loro corpo, un “organismo altamente evoluto e incredibilmente raffinato” che è già perfetto così com'è.
molto interessante questo punto di vista. avrei, però, un paio di cosette da obiettare e/o commentare. spunti di riflessione direi. in primo luogo, in quanto donna, mi dà leggermente fastidio che un uomo dica “una donna non può e non deve perdere la sua femminilità”, io non mi permetterei mai di dire che un uomo non deve perdere la sua “mascolinità”, ognuno fa quel che gli pare e se una persona non mi piace, al massimo non risulterà attraente ai miei occhi, ma potrebbe esserlo agli occhi di altri. In secondo luogo, tu dici che la femminilità è biologica alla fine del tuo articolo, ma in realtà prima la definisci come qualcosa che è venuto da una serie di usanze culturalmente condizionate, ruoli sociali come ad esempio la cura del villaggio e dei bambini che l'hanno portata a diventare quella che è. Quella che tu chiami femminilità, non è biologica dunque. Infine, dire che la femminilità è ciò che distingue l'uomo dalla donna, come concetto mi può stare anche bene, ma il modo in cui tu la poni ricade in uno stereotipo, ovvero quello di prendere sempre il maschio come modello di partenza a cui avvicinarsi o da cui distinguersi e soprattutto come l'animale che la donna deve impegnarsi a conquistare e in virtù del quale deve fare tutte le sue scelte (esteriori e non), anche la scelta di apparire brutta pur di non essere femminile. Sono solo alcune idee che mi sono venute in mente nel leggere questo articolo che sicuramente è in buona fede ma che mi sembra ricadere, in parte, nei vecchi stereotipi.
mi piace il percorso storico da te sottolineato..è bello viaggiare nel tempo per riscoprire le proprie origini!!convengo con te quando dici che gli estremismi non sono mai la soluzione migliore: le donne devono cercare la forza per difendere se stesse e le proprie idee nella loro femminilità senza cercare di sbarazzarsene, come se ciò fosse possibile..
Articolo davvero interessante. Credo che metta in luce esaurientemente in cosa consista in realtà la femminilità oggi fraintesa e forzata in molte forme a volte decisamente poco attinenti. Si riesce a comprendere quale sia l'origine di questa e come da un adattamento preistorico puramente sociale essa si sia manifestata in fine nell'assetto biologico dei due sessi. Per questo mi sembra del tutto fuori luogo la protesta di alessia, in quanto non vedo alcuna contraddizione nel concetto di femminilità espresso in questo articolo: si comprende bene nel leggerlo che questa ha sì avuto origine da una condizione sociale e culturale primitiva ma poi, proprio a causa di questa, i due sessi hanno preso strade evolutive diverse, e, spolverando Darwin, la selezione naturale, o meglio quella sessuale, ha portato uomo e donna inizialmente considerevolmente simili biologicamente a distinguersi promuovendo quella che noi chiamiamo “femminilità” nella donna e la cosiddetta “mascolinità” nell'uomo. Quindi la “femminilità” e la “mascolinità” sono biologiche, ma hanno avuto origine da quel lontano assetto sociale adottato dai nostri lontani antenati della preistoria. Oltretutto non mi sembra proprio che si ripiombi nei vecchi stereotipi. Ma è un'opinione.
Mi dispiace che sia stato frainteso. Allora… Posso essere d'accordo sul fatto che un'affermazione del tipo “una donna non può e non deve perdere la sua femminilità” può essere troppo forte e non sempre condivisibile, ma io intendevo parlare proprio della libertà di scelta di una donna e del fatto che troppo spesso gli vengono imposti concetti di femminilità non adeguati. Privare una donna della femminilità (la femminilità alla quale mi riferisco nell'articolo, quella biologica, ciò che la rende unica e la distingue fisiologicamente dall'uomo) è un atto di prevaricazione inaccettabile. Certo, se è una sua scelta allora sicuramente è insindacabile. Lo stesso valga per l'uomo. Però forse l'ho posto in maniera sbagliata e me ne scuso.
Secondo.Come ho spiegato nell'articolo, la differenza tra donna e uomo è nata nella preistoria come una differenza sociale, poi però, come insegna darwin, si è tramutata in una differenziazione biologica nei secoli. A funzioni diverse corrispondevano modificazioni anatomiche diverse. Con questo non intendo certo dire che inizialmente c'era solo l'uomo e che poi da questo si sia sviluppata a donna! Quello che ho detto, e forse non sono stato abbastanza chiaro, è che agli inizi della storia dell'umanità, fisicamente, tra uomo e donna non c'era tutta questa gran differenza, ma che il loro aspetto è mutato con i secoli a seconda della funzione che nelle antiche tribù svolgevano. Non ci vedo nessun discorso sessista… prima né l'uomo né la donna assomigliavano a quelli che noi conosciamo come tali, ma attraverso i secoli e progressive modificazioni evolutive si sono differenziati.
Infine, quando dici: “il maschio come modello di partenza a cui avvicinarsi o da cui distinguersi e soprattutto come l'animale che la donna deve impegnarsi a conquistare e in virtù del quale deve fare tutte le sue scelte (esteriori e non), anche la scelta di apparire brutta pur di non essere femminile.”, tagliando la parte del maschio come modello di partenza, che penso di aver già spiegato, il mio non voleva essere assolutamente un discorso miope o sessista. Mi sono limitato a criticare le società nella storia… effettivamente le modificazioni del corpo o i trucchi che alle donne venivano (e vengono) imposte dalle culture dominanti non è che avessero (e abbiano) una finalità diversa da quella di apparire più piacevole agli occhi degli altri. So che fare questo discorso oggi è complicato, perché abbiamo raggiunto alcuni traguardi nella parità dei sessi che rendono difficile comprendere ancora questi discorsi. Ma adottando un punto di vista esterno ai sistemi “società” il discorso si riduce a questo. Io non posso negare assolutamente che i trucchi, gli orecchini e via dicendo siano nati per questa finalità. All'interno della società, certo, questa finalità non viene percepita. Siamo troppo abituati a queste pratiche per accorgercene e giudicarle con uno sguardo imparziale. Ma questo non è un discorso limitato alle donne. Anche per l'uomo valgono le stesse regole, anche all'uomo nella storia sono stati imposti “plus” di mascolinità (parrucchini, muscoli, capelli in un certo modo, tutto ciò che una moda impone insomma).
Da come viene presentato, questo libro sembra davvero interessante, soprattutto il fatto che viene utilizzato il corpo per spiegare tutto il resto, penso sia profondamente vero. Di certo leggerò questo libro!
Parli di agire sul proprio corpo per raggiungere un ideale di femminilità che risulta artificiale, noi siamo il nostro corpo, quale modo è più diretto di questo per produrre un cambiamento?! Credo che la condizione della donna sia strettamente legata all'ideale di femminilità della società in cui essa vive, e oggi, in questa società troppo interessata all'immagine, molte donne non possono fare a meno di farsi ritoccare il proprio corpo per raggiungere il proprio ideale di bellezza. Ora che abbiamo potenti mezzi a disposizione siamo più che mai schiavi di noi stessi, non siamo poi così evoluti!!
Bellissimo articolo.
Ciao Alberto, premetto che si vede che sei in buona fede, ma quando dici che è sbagliato rinunciare alla femminilità, secondo me fai un errore comune, ovvero confondi femminilità con manifestazione della stessa. Ovvero: se il femminismo ha voluto rinunciare a rossetti e reggiseni, questo non significa rinunciare alla femminilità (che appunto, secondo Morris, è data dal corpo più piccolo con meno peli eccetera: salvo rare terapie ormonali, è impossibile rinunciarvi), piuttosto significa rinunciare alla manifestazione esteriore della femminilità, e sono due cose diverse. Poi si può essere d'accordo o meno, io personalmente mi ritengo femminista ma il rossetto me lo metto lo stesso, ma questo non toglie che essendo nata femmina, resto ugualmente femminile (da non confondersi, altro errore comune, con attraente) a prescindere da come mi vesto o come mi atteggio. Dal punto di vista culturale e non biologico, poi, le definizioni di femminili date dagli uomini secondo me sono sempre un po' ridicole, sembra di sentire un cane che spiega a un gatto come si fanno le fusa, per fare un esempio scemo, e sarebbe ora di chiedere alle donne, e non più agli uomini, cosa intendono per “femminile”. Io mi arrabbio moltissimo quando sento dire dagli uomini frasi bar come “quella lì non è femminile”, che novanta casi su cento vuol dire semplicemente “non è sexy”, come se l'unica particolarità del femminile fosse l'essere arrapante. Per quanto, ai fini riproduttivi, il “farsi belle” è presente in tantissime speci animali, femminilità non è soltanto essere più appariscenti, ma include altre caratteristiche anche psicologiche (presupposto biologico delle cure materne) che possono essere spiccatissime anche nelle donne più lontane dal prototipo di femminilità maschile.
ps. non metto in dubbio che il libro sia bello ma prima di prendere queste teorie per oro colato, ricordiamo che Desmond Morris è un grandissimo etologo, ma quando parla dell'uomo rischia di fare, per ideologia, vistose pisciate fuori dal vaso: dovrei andare un po' a memoria, ma “la scimmia nuda” lo mollai a metà perché mi infastidiva parecchio come l'esemplare occidentale, nella fattispece britannico, venisse sempre presentato come il più elevato rappresentante della razza umana.