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Scritto da nel Letteratura e Filosofia, Numero 66 - 1 Febbraio 2010 | 0 commenti

Storia di una donna…



Quella che vi sto per narrare è una storia di amore, valore, coraggio, umanità. La storia di una madre e due fratelli che lottarono strenuamente per sfuggire alle insidie della Storia. Una vicenda che ebbe luogo più di cinquant'anni fa, durante il regime fascista, e quel capitolo particolarmente triste che furono le leggi razziali. Decine di migliaia di italiani vennero deportati nei campi di concentramento e tra questi vi erano anche due giovani panteschi.

Tutto ha inizio durante la Prima guerra mondiale: un giovane soldato torinese di stanza a Pantelleria, che di cognome fa Todros, si innamora di una giovane pantesca. Finita la guerra, i due si sposano, e si trasferiscono a Torino. Il loro è un matrimonio misto, il giovane Todros è membro di un'importante famiglia ebraica, la giovane donna (di cui ancora non conosciamo il nome) è cattolica. Dal loro matrimonio nascono Carlo e Alberto, che vengono fatti nascere a Pantelleria, poiché, a quei tempi, si usava che una donna incinta trascorresse la gravidanza in casa dei propri genitori. Nel 1925, quando Alberto ha 5 anni e Carlo solo 2, il padre muore.

E' facile immaginare le difficoltà vissute da questa donna, che si ritrovò da sola, in una città straniera, a occuparsi di due figli piccoli. E' Alberto stesso, in un'intervista rilasciata anni fa, a raccontare di quel periodo, di una vita di stenti, difficile, perché - dice -senza padre a Torino non era facile vivere.

Nonostante le difficoltà, la famigliola riuscì a tirare avanti, fino a quando, nel 1938, non arrivarono le leggi razziali. Nati da un matrimonio misto, Carlo e Alberto non erano stati battezzati. I genitori avevano preso questa decisione perché da adulti, potessero scegliere da soli il proprio credo. L'assenza di un battesimo e la discendenza diretta da un ebreo bastò al regime per catalogarli come ebrei. Le leggi razziali si tradussero in una graduale esclusione da tutti gli ambiti della vita pubblica e per i due fratelli fu difficile anche continuare ad andare a scuola.

Scoppiata la guerra, la situazione a Torino diventava sempre più pesante: una serie di duri bombardamenti colpì la città a più riprese e questo fece decidere la madre a trasferire tutta la famiglia a Imperia, in Liguria, dove la situazione era più facile da affrontare.

Carlo e Alberto diedero ulteriori motivi di preoccupazione alla madre: presero parte a riunioni clandestine con altri giovani ebrei, e a operazioni di sabotaggio contro le truppe nazi-fasciste. Arrivò l'8 settembre 1943: le truppe tedesche occuparono il Nord Italia, applicando immediatamente il loro modello organizzativo che è molto più rigido rispetto a quello italiano. Dopo poche settimane, Carlo e buona parte dei componenti del gruppo clandestino, vennero arrestati. Alberto racconta: Io non c'ero perché ero a lezione di matematica. Quando torno e passo davanti al municipio d'Imperia li vedo tutti e sei arrestati con i carabinieri che vanno in carcere. Vado a casa, mia madre disperata dice: “Hanno arrestato tuo fratello, scappa almeno tu. Io vengo preso dal tormento: scappare non scappare? Alla fine vinse il senso di responsabilità, decise di non scappare e si consegnò ai carabinieri.

Vengono rinchiusi nel carcere di Imperia, poi a Savona, poi a Genova. A febbraio '44 vengono trasferiti nel campo di concentramento di Fossoli, in provincia di Modena, lo stesso campo che per un breve periodo ha ospitato Primo Levi. Rimangono a Fossoli fino al maggio '44, poi una mattina vengono svegliati presto e trasportati nella stazione di Carpi, dove vengono fatti salire su un carro bestiame per essere trasportati a Mauthausen, in Austria… ma questa è già un'altra storia, che racconteremo nei prossimi giorni.

Torniamo alla madre: l'avevamo lasciata in lacrime, a Imperia, pregando Alberto di scappare. In un attimo aveva perso entrambi i figli, quei figli per cui aveva lavorato e lottato per tanti anni, tutto ciò che le rimaneva nella vita. Non può starsene a casa, con le mani in mano, ad aspettare che tornino. Decide di stargli vicino, di seguirli, di provare ad aiutarli. A Imperia e a Savona, grazie alla complicità delle guardie carcerarie, riesce a fargli avere vestiti puliti e viveri. Poi, quando, a novembre vengono trasferiti a Genova, la situazione si complica: il carcere è sotto il controllo diretto delle SS, i carcerati sono tenuti in condizioni disumane. Non ci può essere nessuna comunicazione con l'interno. Nessuna notizia fino a febbraio. Quattro lunghi mesi di impotente attesa. Poi un bel giorno, arriva un ragazzo: dice di aver incontrato Alberto alla stazione di Genova e che stavano per essere trasferiti a Fossoli. Lei li raggiunge.

E' il 1944, il paese è spaccato a metà, con a un lato gli alleati e dall'altro i nazi-fascisti della Repubblica Sociale Italiana. Arrivare a Fossoli, a oltre 400 Km da Imperia, non deve essere un'impresa semplice. Come non deve essere semplice trovare alloggio, mangiare, trovare delle risorse. Ma lei lo fa, ci riesce, li raggiunge. Si trasferisce a Carpi, poco lontano, e ogni giorno provvede a rifornirli di viveri e roba. Questo dura tre mesi mesi, poi arriva il momento di una nuova partenza.

Carlo, in un'intervista fatta per Rai Educational, racconta: una mattina siamo stati svegliati, ci hanno fatto raggruppare nella piazza dell'appello, hanno chiamato i nomi di quelli che dovevano partire. La madre viene a sapere della partenza e si precipita in stazione, dove i figli stanno per essere messi su un carro bestiame. “Mia madre”, racconta Alberto, “aveva ottenuto a Verona dalle SS il permesso per venirci a trovare a Fossoli al campo di concentramento. Quando è arrivata le hanno detto che noi stavamo partendo per la Germania”. Racconta Carlo “mia madre ha sofferto come abbiamo sofferto noi[...] ci ha sempre seguito in tutte le traversie di questa nostra avventura. La mattina in cui siamo partiti da Fossoli, è venuta a sapere quando saremmo partiti e ce la siamo trovata nella stazione di Carpi. Noi eravamo già sul carro bestiame, era ancora aperto”. E ancora Alberto “è venuta alla stazione, tramite l'aiuto della popolazione di Carpi, ha raccolto viveri e vestiti ed è venuta alla stazione. Ha cercato di avvicinarsi al treno, inizialmente le SS non l'hanno lasciata venire, poi resistendo e scavalcando un muretto si è avvicinata al vagone e ci ha consegnato viveri e abiti.

Le porte del treno si chiusero, il treno si allontanò verso una destinazione ignota ai suoi passeggeri e a chi li aveva visti partire. Che cosa avrà provato vedendo quella scena? Forse avrà pensato di raggiungerli, forse avrà utilizzato tutti i suoi mezzi per scoprire dove erano andati a finire i suoi figli… ma Mauthausen era una destinazione troppo lontana anche per uno spirito tenace come quello di questa madre. Una donna di cui non conosciamo il nome, ma di cui bisogna salvare il ricordo, per la forza, il coraggio, l'eroicità con cui amò i suoi figli. Non sappiamo come abbia vissuto durante l'anno successivo, sappiamo che sopravvisse alla guerra e che un anno e mezzo dopo, vide tornare i propri figli, vivi e vegeti. Ma questa, come vi ho già detto prima, è un'altra storia…




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