Contro i diritti umani
Con il Trattato di Maastricht, l'UE ha reso la promozione della democrazia e dei diritti umani l'obiettivo fondamentale della sua neonata politica estera. Pur essendo una scelta assai coerente con l'aspirazione comunitaria di trasformarsi in un'atipica e innovativa “potenza civile”, è indubbio che questa nuova strategia creerà molte polemiche. In particolare, è importante parlare di due questioni: la relazione tra politica e diritti umani universali, e la conflittualità che spesso si riscontra tra i vari diritti sanciti dalla Carta dell'ONU.
Sulla relazione tra diritti universali e politica, illuminante è un pamphlet di Slavoj Zizek – “Contro i diritti umani” – nel quale l'autore investiga questo complesso rapporto, evidenziandone i problemi ma anche le potenzialità.
Tra le critiche, in primis vi è la classica – ma sempre attuale – impostazione marxista-leninista, che segnala lo scarto tra l'apparenza ideologica della forma legale universale e gli interessi che realmente la sorreggono. I diritti umani sarebbero così una semplice giustificazione del diritto dei poteri occidentali e capitalisti di intervenire a loro favore nei paesi del Terzo Mondo, promuovendo i loro interessi e la “cristallizzazione” delle disuguaglianze interne al sistema economico globale. Non a caso, l'attualità politica mostrerebbe chiaramente che i diritti dei dissidenti iraniani siano piu' importanti di quelli dei cittadini pakistani, e che diritti civili siano ben piu' fondamentali di quelli sociali, difesi soltanto quando si tratta di chiedere alla Cina un rallentamento della sua crescita.
Una seconda critica, invece, è di natura più filosofica e si concentra sulla conflittualità tra l'universalità dei diritti umani e la natura stessa della politica, che stabilisce confini e si basa sulla nozione – escludente ma necessaria – della cittadinanza. La politica puramente umanitaria – antipolitica volta semplicemente a evitare la sofferenza – equivarrebbe così ad un implicito divieto di elaborare un progetto politico collettivo e le necessarie scelte dolorose che questo implica. Come già sostenuto da Hegel, l'universalità diventerebbe importante “solo quando gli individui non identificano più il nucleo del loro essere con la particolare situazione sociale… La comparsa dell'universalità, la sua entrata nell'esistenza effettiva, è quindi un atto estremamente violento di distruzione del precedente equilibrio armonico”. Come proposto dagli economisti neo-liberali, politica e cittadinanza dovrebbero ritirarsi, e i loro posto dovrebbe essere occupato dal mercato e dall'astratta nozione di diritti validi universalmente.
D'altra parte, però, nell'ultimo capitolo l'autore sloveno riconosce che, nonostante i problemi, la politica non può essere totalmente slegata da un concetto – come quello dei diritti umani universali – che è ormai entrato a far parte della cultura – anche politica – del mondo contemporaneo. I diritti umani, infatti, non sarebbero più solo un'espressione e uno strumento della società borghese occidentale, ma anche principi che, attraverso la loro “politicizzazione”, hanno avuto effetti concreti nella riarticolazione dei rapporti socio-economici reali. Nati come “finzione simbolica” per espandere l'egemonia del capitalismo liberale, i diritti umani si sono evoluti in maniera spesso autonoma e “non-voluta”, acquisendo un'efficacia concreta e diventando una base etica imprescindibile per una politica “giusta”. Se, infatti, si cercasse di concepire i diritti dei cittadini senza fare riferimento a questi valori universali, si perderebbe la politica stessa, che sarebbe ridotta a un semplice gioco “post-politico” basato sulla negoziazione di interessi particolari.
Se perfino un autore come Zizek, considerato uno dei pochi intellettuali “sopravvissuti” all'egemonia liberale e al dogmatismo dei diritti umani che ha caratterizzato gli ultimi 20 anni, ha ammesso il valore di questi principi, sembra scontato che l'Europa debba dare seguito alla sua aspirazione di trasformarsi una “potenza civile” dedicata alla promozione della pace, della democrazia e del rispetto della Carta dell'ONU. Purtroppo, però, sembra quasi impossibile dare a questa promozione dei diritti una dimensione internazionale credibile, e non solo per l'inverosimilitá di una politica estera realmente libera dall'influenza degli interessi particolari dei governi e dei gruppi di potere. Anche una classe politica realmente compromessa con la promozione dei diritti umani troverebbe, infatti, grandi problemi nel navigare in un mare di diritti civili, politici, sociali, individuali, collettivi che entrano in conflitto tra loro e per i quali spesso non esiste una definizione univoca. Come conciliare il diritto allo sviluppo della Cina, che effettivamente sta facendo passi di gigante anche nel migliorare il benessere dei suoi cittadini, con i diritti individuali dei cinesi, quotidianamente calpestati sia nell'ambito della libertà di espressione che in quello del lavoro? Come garantire il diritto del mondo islamico a seguire le proprie tradizioni, preservando la facoltà per i non-musulmani di muoversi in un ambiente non dominato dalla religione? Come evitare che l'espansione delle libertà individuali minacci il godimento dei diritti sociali, e viceversa?
La nozione di diritti umani pone questioni controverse e l'universalità è una prospettiva inadatta ad affrontare un mondo dove la diversità rimane la norma. Una politica estera basata sulla protezione della Carta ONU obbligherebbe l'Europa a decidere unilateralmente quali debbano essere i diritti umani più importanti e quale definizione di essi sia la più appropriata. Ciò genererebbe acute tensioni diplomatiche e confermerebbe la tesi secondo la quale l'universalismo sarebbe un semplice strumento della politica neo-imperialista occidentale, equivalente allo spirito missionario che legittimò la colonizzazione nei secoli passati.
Anche se è sicuramente auspicabile che l'Europa continui a finanziare una fitta rete di ONG “umanitarie” e a dare spazio al dibattito pubblico sui diritti umani, non è quindi altrettanto auspicabile che Bruxelles si faccia prendere dal messianismo statunitense. Giustificare la propria politica estera nei termini della promozione della democrazia e dei diritti universali avrebbe, infatti, paradossali effetti controproducenti e renderebbe ancora più evidente l'aspetto “imperialista” della politica umanitaria. Almeno nei paesi extra-europei, i diritti umani universali sarebbero sempre più identificati con gli interessi politici ed economici dei paesi ricchi e non con gli importanti principi che dovrebbero dare una dimensione “etica” alla politica.
Sulla relazione tra diritti universali e politica, illuminante è un pamphlet di Slavoj Zizek – “Contro i diritti umani” – nel quale l'autore investiga questo complesso rapporto, evidenziandone i problemi ma anche le potenzialità.
Tra le critiche, in primis vi è la classica – ma sempre attuale – impostazione marxista-leninista, che segnala lo scarto tra l'apparenza ideologica della forma legale universale e gli interessi che realmente la sorreggono. I diritti umani sarebbero così una semplice giustificazione del diritto dei poteri occidentali e capitalisti di intervenire a loro favore nei paesi del Terzo Mondo, promuovendo i loro interessi e la “cristallizzazione” delle disuguaglianze interne al sistema economico globale. Non a caso, l'attualità politica mostrerebbe chiaramente che i diritti dei dissidenti iraniani siano piu' importanti di quelli dei cittadini pakistani, e che diritti civili siano ben piu' fondamentali di quelli sociali, difesi soltanto quando si tratta di chiedere alla Cina un rallentamento della sua crescita.
Una seconda critica, invece, è di natura più filosofica e si concentra sulla conflittualità tra l'universalità dei diritti umani e la natura stessa della politica, che stabilisce confini e si basa sulla nozione – escludente ma necessaria – della cittadinanza. La politica puramente umanitaria – antipolitica volta semplicemente a evitare la sofferenza – equivarrebbe così ad un implicito divieto di elaborare un progetto politico collettivo e le necessarie scelte dolorose che questo implica. Come già sostenuto da Hegel, l'universalità diventerebbe importante “solo quando gli individui non identificano più il nucleo del loro essere con la particolare situazione sociale… La comparsa dell'universalità, la sua entrata nell'esistenza effettiva, è quindi un atto estremamente violento di distruzione del precedente equilibrio armonico”. Come proposto dagli economisti neo-liberali, politica e cittadinanza dovrebbero ritirarsi, e i loro posto dovrebbe essere occupato dal mercato e dall'astratta nozione di diritti validi universalmente.
D'altra parte, però, nell'ultimo capitolo l'autore sloveno riconosce che, nonostante i problemi, la politica non può essere totalmente slegata da un concetto – come quello dei diritti umani universali – che è ormai entrato a far parte della cultura – anche politica – del mondo contemporaneo. I diritti umani, infatti, non sarebbero più solo un'espressione e uno strumento della società borghese occidentale, ma anche principi che, attraverso la loro “politicizzazione”, hanno avuto effetti concreti nella riarticolazione dei rapporti socio-economici reali. Nati come “finzione simbolica” per espandere l'egemonia del capitalismo liberale, i diritti umani si sono evoluti in maniera spesso autonoma e “non-voluta”, acquisendo un'efficacia concreta e diventando una base etica imprescindibile per una politica “giusta”. Se, infatti, si cercasse di concepire i diritti dei cittadini senza fare riferimento a questi valori universali, si perderebbe la politica stessa, che sarebbe ridotta a un semplice gioco “post-politico” basato sulla negoziazione di interessi particolari.
Se perfino un autore come Zizek, considerato uno dei pochi intellettuali “sopravvissuti” all'egemonia liberale e al dogmatismo dei diritti umani che ha caratterizzato gli ultimi 20 anni, ha ammesso il valore di questi principi, sembra scontato che l'Europa debba dare seguito alla sua aspirazione di trasformarsi una “potenza civile” dedicata alla promozione della pace, della democrazia e del rispetto della Carta dell'ONU. Purtroppo, però, sembra quasi impossibile dare a questa promozione dei diritti una dimensione internazionale credibile, e non solo per l'inverosimilitá di una politica estera realmente libera dall'influenza degli interessi particolari dei governi e dei gruppi di potere. Anche una classe politica realmente compromessa con la promozione dei diritti umani troverebbe, infatti, grandi problemi nel navigare in un mare di diritti civili, politici, sociali, individuali, collettivi che entrano in conflitto tra loro e per i quali spesso non esiste una definizione univoca. Come conciliare il diritto allo sviluppo della Cina, che effettivamente sta facendo passi di gigante anche nel migliorare il benessere dei suoi cittadini, con i diritti individuali dei cinesi, quotidianamente calpestati sia nell'ambito della libertà di espressione che in quello del lavoro? Come garantire il diritto del mondo islamico a seguire le proprie tradizioni, preservando la facoltà per i non-musulmani di muoversi in un ambiente non dominato dalla religione? Come evitare che l'espansione delle libertà individuali minacci il godimento dei diritti sociali, e viceversa?
La nozione di diritti umani pone questioni controverse e l'universalità è una prospettiva inadatta ad affrontare un mondo dove la diversità rimane la norma. Una politica estera basata sulla protezione della Carta ONU obbligherebbe l'Europa a decidere unilateralmente quali debbano essere i diritti umani più importanti e quale definizione di essi sia la più appropriata. Ciò genererebbe acute tensioni diplomatiche e confermerebbe la tesi secondo la quale l'universalismo sarebbe un semplice strumento della politica neo-imperialista occidentale, equivalente allo spirito missionario che legittimò la colonizzazione nei secoli passati.
Anche se è sicuramente auspicabile che l'Europa continui a finanziare una fitta rete di ONG “umanitarie” e a dare spazio al dibattito pubblico sui diritti umani, non è quindi altrettanto auspicabile che Bruxelles si faccia prendere dal messianismo statunitense. Giustificare la propria politica estera nei termini della promozione della democrazia e dei diritti universali avrebbe, infatti, paradossali effetti controproducenti e renderebbe ancora più evidente l'aspetto “imperialista” della politica umanitaria. Almeno nei paesi extra-europei, i diritti umani universali sarebbero sempre più identificati con gli interessi politici ed economici dei paesi ricchi e non con gli importanti principi che dovrebbero dare una dimensione “etica” alla politica.
Beh si, è fuor di dubbio che salvo lodevoli e numerose eccezioni delle organizzazioni indipendenti, la promozione dei diritti umani universali da parte dei Paesi ricchi attraverso la loro politica estera non è altro che uno strumento della loro politica estera, per l'appunto. è imperialismo contemporaneo. diritti umani senza umanità!