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Scritto da nel La Cantina del Viaggiatore, Numero 65 - 1 Dicembre 2009 | 0 commenti

Merano Wine Festival





Sorprende quanto sia vicino Merano a Bologna.

Autostrada del sole, autostrada del Brennero dopo Modena Nord e in circa due e mezza tre ore sei già arrivato.

Sorprende “scoprire” che Bologna è veramente al nord, sorpresa per uno come il sottoscritto che sostiene di vivere in centro Italia.

Ma sorprende anche per le differenze che in sole tre ore di viaggio si trovano arrivando a Merano.

Lingua, cultura e struttura della città.

Ed infine sorprende per l’organizzazione il Merano Wine Festival. Un servizio d’ordine che non crea disordine con inutili file e comportamenti arroganti; un servizio di supporto ai produttori in massa; una cornice decisamente azzeccata: principalmente l’ottocentesco palazzo del Kurhaus nelle cui diverse sale vengono ospitati i vari produttori di vino, ma non solo, vista la massiccia presenza di produttori di tutto l’arco enogastronomico (gastronomici, birrifici, olio, distillati…) il festival è fuoriuscito nelle piazze vicino fino a guadare il Passirio, fiume che taglia il centro di Merano, con numerosi stand, rigorosamente chiusi e ben sorvegliati.

Vi è da dire che l’ingresso singolo di una giornata costava ben 80 euro con una punta di 85 per la domenica: con un prezzo del genere la ricerca della perfezione (si può ancora migliorare) è il minimo che ci si possa aspettare.

Biglietto d’entrata che porta ad una netta selezione del pubblico, praticamente solo operatori, giornalisti e super appassionati, col vantaggio (non economico…) che tutti i produttori sono alla portata: non si assiste a quelle odiose scene stile Vinitaly, con stand formato castello con tanto di cavalieri sul ponte levatoio a difendere la principessa dai draghi che affollano l’evento veronese.

Ho avuto il piacere di starci un giorno e mezzo: per l’anteprima di Bio&dinamica, nome che lascia ben poco all’immaginazione, e il primo giorno della fiera.

Tanti assaggi, proviamo a fare un po’ d’ordine.

Se il buongiorno si vede dal mattino…il primo produttore che ho avvicinato è stato il giovane Hartmann Donà, che giocava quasi in casa. Tre vini, nell’ordine di preferenza un grandissimo Pinot Nero, una versione originale di Schiava (uva che solitamente non mi entusiasma) che unisce alla solita bevibilità maggiore struttura e un piacevole blend di Pinot Bianco e Chardonnay.

Cambiando regione e seguendo apollo nel suo migrare quotidiano, ci troviamo nelle Langhe della cantina Punset, a Neive, dove ci ospita un principe di nome Barbaresco.

Vari vini in cui si alternano le varie tipologie langarole, tutti piacevoli e dall’ottimo rapporto qualità prezzo, ma quando arriviamo nei pressi del Barbaresco Riserva alle papille non può non scappare un salutare “oppalà”: vino che riesce ad unire forza ed eleganza, bella persistenza e ampio ventaglio di profumi e sapori.

Senza rincamminarmi per centinaia di chilometri ma andando semplicemente dall’altra parte della sala, ho incontrato altre due aziende piemontesi degne di nota: la nuova avventura dell’eccentrico (a dir poco) Claudio Icardi, vini ben fatti accusati della più svariate dicerie, dall’essere vini chimici ad essere vini con un impronta eccessiva di legno (come d’altronde i vini dell’azienda di famiglia di Icardi), secondo il sottoscritto semplicemente un bel bere.

A fianco invece ho fatto la piacevolissima conoscenza dell’azienda Forteto della Luja, media dei vini altissima nella quale spiccava su tutti il moscato dolce al cui assaggio le papille gustative si son lasciate scappare un sacrosanto “socmel”: bella dolcezza accompagnata da una grande freschezza, morbidissimo, discreta sapidità, luuuuunga persistenza, decisamente avvolgente. 

Cambiando giornata da segnalare su tutte due aziende: Edi Kante e Lieselehof.

Partiamo dalla più conosciuta: Kante si presenta come un giocatore di basket in pensione, altissimo e piuttosto longilineo, in tuta e occhialini con montatura nera, e presenta due vini decisamente interessanti, la Vitoska soprattutto, vino dotato di grande freschezza coadiuvata da una bella sapidità.

Lieselehof, e qui torniamo a giocare in casa, presenta una super rarità enologica: vino Solaris, da uve omonime provenienti da un vigneto che si trova ben 1.300 metri sul livello del mare. Limpidezza inesistente (vino non filtrato), un giallo che non si può definire paglierino ma con decisi riflessi verdi, ancora molto giovane in cui si evidenziavano principalmente sentori di frutta molto giovane.





E prima di partire, come mi ha insegnato da poco un simpatico vignaiolo piemontese, una bella cura “omeopatica”: un sorso si birra! In questo caso birra emiliana, del birrificio Statale 9.

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