Libertà d'impresa in Meridione: infrastrutture o sottosviluppo?
La costruzione di una centrale elettrica è un'operazione delicata, in un Paese come il nostro intrappolato dalle maglie burocratiche e delle cui procedure autorizzative si denunciano le lentezze e le farraginosità che impediscono all'Italia di rimanere al passo delle esigenze energetiche di un Paese moderno ed europeo. Questo succede negli editoriali, letti la mattina in ufficio.
La sera a casa, invece, veniamo diffusamente colti da una patologia che non è l'influenza suina ma la famigerata sindrome 'Nimby', not in my backyard. Guai alla centrale elettrica nel mio quartiere, nel mio Paese, nel mio giardino di casa.
Quando poi accendiamo la televisione la febbre della sera feriale raggiunge il suo apice: ci scandalizziamo di fronte alle inchieste sul malaffare, alle connivenze dei politici e degli imprenditori con le organizzazioni criminali, e troviamo particolarmente interessanti le inchieste del giornalismo di Travaglio e Santoro che scoprono che l'amico del socio, o il socio dell'amico, è colluso. Capita sempre se l'affare si è combinato nell'Italia meridionale. L'Italia del sud, dipinta dalla vulgata settentrionalista come un covo di briganti, una banda di mafiosi che non lavorano e non pagano le tasse: sviluppassero le loro ricchezze, la loro terra ricca di cultura e di storia, diciamo noi al Nord.
Quindi per sviluppare questa terra ricca di cultura e di storia, che cosa meglio che inquisire e infangare chi lavora e paga le tasse?
Il caso che coinvolge la società Hera spa, multiutility emiliana, nella realizzazione e gestione della centrale di Sparanise è molto semplice e illustra come si costruisce una centrale elettrica.
Si acquista un terreno, si ottiene l'autorizzazione a costruire una centrale, lo si rivende a una società che la costruisca e la gestisca, si vende l'energia prodotta. Su tutte queste operazioni che aumentano il patrimonio energetico nazionale si pagano le tasse, si fanno profitti che si dividono tra i soggetti che hanno partecipato all'affare e si pagano i dipendenti.
Fosse successo in un Comune del Nord saremmo di fronte ad un brillante successo e ad una crescita del tessuto imprenditoriale, grazie alla realizzazione di un impianto moderno e a basse emissioni che svecchia un comparto termoelettrico bruciando il pulito gas.
A Sparanise invece no. Come non trovare evidenti connivenze criminali nel fatto che un consigliere della società di vendita sia stato in passato presidente del collegio dei sindaci di una società il cui presidente è stato condannato per complicità con la camorra? O che sia perlomeno sospetto e degno di indagine giudiziaria e inchiesta giornalistica che nel comune dove abita Sandokan una legittima autorizzazione abbia creato profitti ad abitanti della zona? Per deduzioni elementari, appare evidente a chiunque di quanto questa centrale sia sporca di sangue. E inquini pure.
La storia dell'illegalità nel Meridione d'Italia affonda le radici nell'unità nazionale, quando le strutture legittime del Regno borbonico vennero considerate illegali dalla guerra dei Savoia, guerra tra l'altro che non fu neppure dichiarata con la scusa dell'Italia unita e sabauda. Alla faccia della legalità.
Dunque non è difficile immaginare come in queste terre si sia diffuso un sistema che, alle spalle di uno Stato nazionale che ne ha depredato le ricchezze e le risorse, ha proliferato facendo leva sul malcontento popolare e sulle inefficienze di un invasore incapace di ricostituirne un forte tessuto istituzionale, distrutto da una cieca furia di annessione.
Questo sistema che non si è in principio piegato all'invasore ha preso il nome di brigantaggio e realizzato una condizione di illegalità diffusa nella quale hanno proliferato le attività dei gruppi che hanno preso i nomi di mafie e camorre, affibbiati in maniera indistinta e retorica (come si è trovato a scrivere anche Leonardo Sciascia). Il cerchio si chiude con la fattispecie del reato associativo di 'mafia' che colpisce le persone che si trovano ad esse vicina a prescindere dall'aver commesso un reato gettando ombre sinistre, ad esempio, su chi si sposa con la figlia di un mafioso. Non sembra dunque strano a chi scrive che l'amico dell'amico, in questa situazione, si sia innamorato della ragazza sbagliata e si sia coinvolto nell'affare con i suoceri. Sembra la trama di un film che faremmo la fila al botteghino per vedere e imparare a memoria, o la storia di una normativa speciale contro il terrorismo. Sembra un sistema nel quale il magistrato difende la legge dell'invasore e opprime la popolazione.
La politica ci insegna che con queste premesse, un sottile filo rosso getterà su ogni profitto generato nell'Italia del sud l'ombra di un vulnus alla repubblica ed alla legalità. Renderà a queste terre più difficile lo sviluppo industriale ed insegnerà ai nostri figli meridionali ad emigrare al Nord per continuare ad imballare un sistema produttivo dove la manodopera costi poco e la concorrenza non ci sia. Altro che mafia, questo è business.
Se fossimo davvero uno Stato liberale, legalizzeremmo le attività lecite e le sottoporremmo a tassazione, colpiremmo le attività criminali come l'estorsione e la violenza, renderemmo finalmente libera una terra che da 150 anni non lo è.