La scala del successo: mobilità sociale e criminalità organizzata
“Contentati di quel che t'ha fatto tuo padre, se non altro non sarai un birbante“. Questo il motto di Padron 'Ntoni, uno dei personaggi de i Malavoglia, col quale Giovanni Verga sintetizzava la visione statica della gerarchia sociale nella Sicilia di fine '800. E verrebbe da pensare che non sia cambiato poi molto se si guarda al dinamismo sociale nella Sicilia di oggi. Tanto la percezione comune quanto le statistiche dell'ISTAT mostrano una società ancora immobile, in cui le opportunità di ascesa per chi viene da umili origini sono praticamente nulle sul territorio e spesso l'unica speranza di riscatto è nell'emigrazione verso il Nord.1 Eppure qualcosa è cambiato: il bracciantato di un tempo è quasi scomparso, il sottoproletariato si è urbanizzato andando a riempire le periferie degradate, e la disperazione contadina è stata sostituita con l'emarginazione sociale, in una regione in cui la disuguaglianza nei redditi (misurata con l'indice di Gini) raggiunge valori che non si riscontrano in nessun'altra area dell'Europa Occidentale.2
E poi, rispetto alla Sicilia di fine Ottocento, c'è Cosa Nostra. Intendiamoci, le origini della mafia sono ben precedenti all'epoca dei Malavoglia: il primo documento ufficiale che ne attesta l'esistenza risale al 1837. Ne è autore il procuratore generale di Trapani, che segnala ai suoi superiori l'opera di imprecisate “frattellanze criminali” sul territorio. Ma il crimine organizzato allora era cosa ben diversa dalla gigantesca macchina economica che è diventato oggi. Secondo la relazione annuale della Direzione Investigativa Antimafia, nel 2001 il 10% della popolazione siciliana era affiliata o fiancheggiava Cosa Nostra.3 Un rapporto dell'Eurispes ha stimato che il giro di affari della mafia è superiore ai 26 miliardi di euro l'anno, pari al 38% del PIL siciliano.
Dunque la Sicilia di oggi vede la coesistenza di forti squilibri sociali e del fenomeno mafioso. Simili considerazioni possono essere fatte anche per le altre regioni del Mezzogiorno: la Campania, la Calabria e la Puglia, in particolare, detengono insieme alla Sicilia il non ambito primato di società più immobili e diseguali d'Italia, e sono caratterizzate da una forte penetrazione della criminalità organizzata che pervade la vita economica, sociale, e politica.
Viene dunque da pensare che i due fenomeni siano collegati tra loro, ed in effetti vi sono almeno due punti di contatto tra mobilità sociale e criminalità organizzata. Da una parte uno scarso dinamismo sociale può rafforzare la criminalità organizzata, dall'altra le mafie possono ridurre le opportunità legali di ascesa sociale, così riducendo la mobilità. Guardiamo separatamente a ciascuno di questi possibili nessi causali.
Dalla bassa mobilità sociale al crimine organizzato
Sono almeno due secoli che la società meridionale è caratterizzata da forti disuguaglianze nei redditi e nelle opportunità di ascesa sociale. Le origini di questo scarso dinamismo sono molteplici: la forte concentrazione nella distribuzione della terra, le inefficienze del governo borbonico, un ceto medio non adeguatamente sviluppato, ed ancora i grandi errori di politica economica e sociale fatti dal governo italiano dopo l'Unità. In una società tradizionale in cui gli individui non bramano alcun riscatto sociale, la bassa mobilità non è però di per sé fattore di crisi. Ma, come sottolineato dallo stesso Verga nella sua prefazione a i Malavoglia, è il progresso economico e tecnologico che apre una nuova finestra di speranze nella coscienza degli individui, generando “la vaga bramosia dell'ignoto, l'accorgersi che non si sta bene, o che si potrebbe star meglio”. È allora che si genera un contrasto tra le aspirazioni e le opportunità concrete, ed emergono spinte da parte degli esclusi al superamento dello status quo.
Nella società contadina queste spinte hanno preso la forma delle rivolte e delle lotte tra lavoratori della terra e proprietari. L'esito di tali lotte è dipeso molto dalle condizioni di forza dei due schieramenti: nell'Italia centrale, ad esempio, dove la mezzadria era l'istituto più diffuso ed i proprietari terrieri non eccessivamente potenti, la soluzione del conflitto è stata sostanzialmente politica e si è concretizzata nella riforma agraria del dopoguerra. In Sud Italia, invece, dove il potere dei grandi latifondisti era ben più forte, non vi è stato accordo politico, ma repressione violenta: il conflitto si è esteso fino agli anni '70 del ventesimo secolo, e si sono moltiplicate le stragi operate dai proprietari terrieri nei confronti dei braccianti.
Nel Meridione, dunque, la potenza delle forze conservatrici ha impedito una riforma istituzionale che garantisse maggiore uguaglianza e dinamismo sociale. Se d'altra parte non vi è spazio di riforma per le istituzioni legali, gli individui che vedono le loro aspirazioni frustrate possono rivolgersi alle organizzazioni che operano nell'ambito delle istituzioni illegali. E' così che la criminalità organizzata è diventata per buona parte degli esclusi una vera e propria opportunità di riscatto sociale.
In un contesto in cui una larga fetta della popolazione vive in condizioni di emarginazione economica, sociale e politica, la criminalità organizzata svolge dunque, per dirla con le parole del giudice Alfonso Lamberti, “due importanti funzioni di regolazione sociale: 1) assicurare le aspettative di lavoro, di carriera, di promozione sociale dei ceti marginali, attraverso la distribuzione controllata di opportunità illegittime, anche criminali; 2) operare il controllo della potenziale conflittualità dei soggetti e dei gruppi sociali esclusi dall'accesso diretto alle opportunità legittime.“4
Dal crimine organizzato allo scarso dinamismo sociale
La funzione di controllo della conflittualità sociale da parte della mafia avviene con due strumenti: da una parte l'organizzazione criminale dà vita ad un distorto welfare state, grazie al quale gli affiliati ed i fiancheggiatori beneficiano di ingenti trasferimenti di reddito; dall'altra la mafia svolge un ruolo reazionario e conservatore, combattendo tutti i movimenti (politici e sindacali) animati da istanze egualitarie e progressiste.
Reprimendo con la violenza coloro che cercano di modificare lo status quo ed emancipare gli strati marginali della popolazione, la criminalità organizzata conserva il proprio potere, poichè rimane l'unica istituzione in grado di fornire un futuro agli emarginati.
E' dunque vero che lo scarso dinamismo rafforza il ruolo sociale della mafia, ma è anche vero che è è la mafia mantenere una società sostanzialmente immobile, in cui le opportunità di miglioramento nello status economico per gli emarginati passano soltanto attraverso l'adesione alla criminalità organizzata.
L'alternativa americana
Nel 1835 Alexis de Tocqueville diede alle stampe il suo più importante trattato sociologico La democrazia in America. In esso egli riportava le sue riflessioni sulla società americana, che aveva conosciuto nel suo viaggio del 1831. Gli Stati Uniti, secondo Tocqueville, erano caratterizzati da una straordinaria mobilità sociale, da una forte democrazia, e da una diffusa etica del lavoro e del successo personale. Tocqueville riconosceva l'origine di questi caratteri (che lui contrapponeva al Vecchio Continente dove la società era immobile, e “nessuno voleva lavorare”) nelle condizioni di origine degli USA: la grande disponibilità di terre libere e coltivabili aveva generato una distribuzione delle risorse più equa, opportunità di miglioramento per la gran parte della popolazione, e dunque una diffusa legittimazione del lavoro onesto come strumento di ascesa sociale.
L'analisi di Tocqueville è forse uno dei contributi più influenti della letteratura sociologica. Essa può essere utilizzata proprio in un'ottica comparativa per comprendere come le organizzazioni criminali sia cresciute e si siano diffuse sempre più in profondità all'interno della società italiana, mentre in quella americana sono rimaste più marginali. Tanto in Italia quanto negli USA, le mafie sono impegnate nel commercio dei beni e servizi che sono dichiarati illegali dall'Autorità (droga, prostituzione, ecc.), e ciò rappresenta la principale fonte di reddito per l'organizzazione.
La precedente analisi ci ha mostrato però che in una società asfittica, come quella del Mezzogiorno, dove le disuguaglianze si trasmettono di generazione in generazione, la criminalità organizzata fornisce anche le uniche opportunità concrete di affermazione individuale per la gran parte degli esclusi.Nella realtà americana, viceversa, tali opportunità sono più facilmente garantite dall'economia legale. Come risultato l'organizzazione mafiosa ottiene nel Mezzogiorno una legittimazione sociale che non ha alcun paragone con quanto avviene Oltreoceano. Là il crimine organizzato è un veicolo di inserimento sociale per i nuovi flussi migratori, ma appena il sistema americano riesce ad integrare tali immigrati le mafie perdono attrattiva e si indeboliscono.
Favorire la mobilità sociale per combattere la mafia?
L'analisi dell'esempio americano potrebbe far concludere che le politiche volte al miglioramento della mobilità sociale possano essere un elemento decisivo nella lotta alla mafia. Vi sono però degli elementi che bisogna sottolineare a questo riguardo. Le politiche per la mobilità sociale possono essere distinte in politiche di liberalizzazione e politiche attive di intervento statale. Le prime mirano ad aumentare la competizione tra gli attori economici, ad esempio favorendo l'ingresso sul mercato di nuove imprese; le seconde invece prevedono interventi sociali volti al miglioramento delle opportunità individuali. Un esempio di quest'ultima tipologia di politiche è la proposta fatta dalla Fondazione Italia Futura di un fondo opportunità da destinare ad ogni bambino e legato ai suoi conseguimenti scolastici.5
E' evidente che favorire l'accesso all'istruzione senza rendere più dinamica l'economia con interventi di liberalizzazione non può garantire un efficace aumento del dinamismo sociale. D'altra parte gli interventi di liberalizzazione possono comportare, nel breve periodo, la perdita di sicurezza economica per ampi strati della popolazione. Per evitare che gli “sconfitti” della competizione si rivolgano all'organizzazione criminale per migliorare la loro condizione, è importante affiancare dunque alle riforme di mercato investimenti in reti pubbliche di sicurezza sociale, spesso inefficaci al Sud e sostituite dalle reti assistenziali mafiose.
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2 La Sicilia è la Regione d'Italia con il più elevato indice di Gini, pari al 35.7%, seguita dalla Campania con il 33.9%, quindi dalla Basilicata e dalla Calabria (32.3%). Per avere un raffronto si consideri che il Nord Italia ha un Gini medio inferiore al 30%, e che in Europa valori simili sono presenti solo tra i Paesi dell'Est.
3 Citato da N. Gratteri e A. Nicaso, Fratelli di sangue, Mondadori 2009.
4 A. Lamberti “La camorra: nuove strategie di governo del territorio e nuovi assetti organizzativi”, in F. Occhiogrosso (a cura di) Ragazzi della mafia, Franco Angeli: Milano 1993.
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