La questione meridionale del PD
L'era berlusconiana non sta facendo bene all'Italia, è sotto gli occhi di tutti, e questa legislatura promette di lasciare un'eredità pesante ai futuri governanti. Conti pubblici sempre più in rosso, un piano energetico inesistente (il nucleare è una scelta insensata e onerosa), disoccupazione galoppante, riforme dell'istruzione e dell'università approssimative e portate avanti in maniera autoritaria senza dialogare con gli addetti ai lavori, una programmazione finanziaria che ha il suo punto di forza nello scudo fiscale: sono solo alcuni degli aspetti dell'attuale azione governativa che in prospettiva risulteranno oltremodo dannosi.
Ma il vero fardello che l'era berlusconiana si lascerà dietro le spalle è una società a pezzi. L'italiano medio prodotto degli ultimi venti anni è arrogante, ipnotizzato dalla televisione spazzatura, individualista all'ennesima potenza, insensibile all'ingiustizia, incapace di stupirsi, estraneo ai contenuti; riportarlo sulla retta via sarà la scommessa della futura classe dirigente.
Ma chi sarà in grado di assumersi la responsabilità politica di resuscitare una società civile moribonda? Non certo la destra appiattita sul suo leader e perciò terrorizzata dalla magistratura (o meglio, dalla giustizia), intollerante verso qualsivoglia forma di dissenso e assolutamente incapace di un minimo di autocritica. L'ipotesi di un «grande centro» con la complicità di Montezemolo e Fini, oltre ad essere difficilmente praticabile, non pare avere le carte in regola per realizzare un vero rinnovamento. E dall'altra parte le cose non vanno meglio. Tutti i partitini della sinistra cosiddetta «radicale» (disapprovo tale etichetta) sono riusciti, da fermi oppositori del sistema capitalista, a suicidarsi proprio nel periodo in cui questo palesa delle falle e presta il fianco a svariate critiche; d'altronde in Italia c'è l'unico partito verde al mondo che riesce a perdere consensi fin quasi a scomparire proprio nel momento in cui l'emergenza ambientale si manifesta in maniera mai così preoccupante. Infine, l'universo che ruota attorno a Grillo e Di Pietro, sebbene si renda protagonista nelle sue molteplici forme di battaglie civili interessanti, a volte addirittura provvidenziali, non sembra avere la maturità e la consistenza per tirar fuori l'intera società dal cul de sac in cui si trova. Per esclusione, rimane il PD.
Quindi, riprendendo il discorso iniziale, sono costretto a dare ragione a Bersani e a riporre tutte le speranze sul Partito Democratico. E mi duole scrivere queste cose: il mio pensiero, le mie convinzioni sono spesso distanti anni luce da questo partito (come da tutti gli altri).
Per la verità, ammetto che il confronto in diretta fra i tre candidati a segretario del partito che si è svolto il 16 ottobre non mi è dispiaciuto. Sono emersi temi interessanti. Cito a memoria la volontà comune di estromettere la politica dalla sanità (ad esempio nelle nomine di primari e dirigenti delle ASL); una grande ventata apparentemente autentica di laicità; spunti di provvedimenti di politica economica condivisibili (aumento della tassazione sulle rendite finanziarie e sui redditi alti, sostegno ai comuni per le migliaia di opere di manutenzione e la costruzione di piccole infrastrutture indispensabili); l'assoluta necessità di puntare sulle energie rinnovabili e l'economia «verde» in generale; la difesa dell'ambiente; una politica dell'immigrazione fondata realmente sull'integrazione e ovviamente nel pieno rispetto dei diritti umani (ma quando società e politica si renderanno conto che l'immigrazione è una vera ricchezza e non un fenomeno da combattere?)…
In definitiva, decido di andare a votare alle primarie. Senza leggere attentamente le mozioni e basandomi su interviste, articoli di giornale e il suddetto dibattito, opto per Ignazio Marino. Ho pensato che una buona affermazione dell'outsider siciliano possa portare una ventata di aria fresca al PD. Mattina del 25 ottobre, al seggio delle primarie, mi rendo conto di quanto sarà dura per questo partito cambiare la società. In primo luogo, le indicazioni di voto dei cacicchi locali agli sprovveduti elettori calabresi: non occorre andare nell'urna, palesemente alla domanda quale simbolo bisogna barrare, la risposta è immediata e scontata: la lista che sostiene Bersani. Va bene guidare le masse, ma non sarebbe meglio educarle? Uno scrutinatore fa notare che qualcuno non ha versato la quota minima di sostegno al partito. «Lascia stare, sono ragazzi». Ci pensa le sezione. Tocca a me. Io si, mi reco nell'urna, anche per poter soffermarmi tranquillamente sui nomi che compongono la lista Bersani, così gettonata. Nicola Latorre, Agazio Loiero, Giuseppe Bova, Carlo Guccione, per citare quelli qui più altisonanti. Politici di professione, è il caso di dirlo. Alla segreteria regionale voto scheda bianca, anche perché in Calabria Marino non presenta alcun candidato per questa carica.
Pierluigi Bersani, il vincitore della contesa, in Calabria ha ottenuto il 76% dei voti alle primarie. Esultano i notabili locali. «E' una vittoria di Loiero», sostengono i più. Lo stesso Loiero – ex democristiano, ex PPI, ex CCD, ex CDU, ex UDEUR, ex Partito democratico meridionale (sicuramente me ne sfugge qualcuno) – protagonista di una legislatura fallimentare da governatore della Calabria, impreziosita dalla sciagurata gestione della sanità pubblica, che ha ingigantito la voragine nel bilancio della regione, e dall'incapacità di attivare un sistema di depuratori delle acque per rendere presentabile ai turisti e soprattutto agli stessi cittadini calabresi il loro mare.
Nel sud Italia la subcultura berlusconiana fatta di veline e furbizia, si è aggiunta ad un'atavica mancanza di senso civico ed etica pubblica presente, in maniera trasversale, per lo meno da un secolo nella popolazione meridionale. Sicché le mafie continuano a prosperare insinuandosi sempre più nelle istituzioni. In questo contesto, ma non solo, è fondamentale che una forza che vuole essere di mutamento della società, agisca dal basso in alto, ossia non trascurando alcun particolare sul territorio, per individuare ed estirpare le spinte reazionarie che naturalmente si espongono quando si mettono in atto dei processi di rinnovamento.
Tale azione non può essere di certo messa in atto da chi è parte integrante di un sistema che semplicemente ha acuito i mali già presenti nel Mezzogiorno. Non è solo una questione di nomi, si dirà. Certo. Ma non si può ignorare che, dove la mozione Bersani ha avuto il sostegno di uomini politici discutibili (penso prima di tutto a Calabria e Campania), non c'è stata partita. Dunque temo e credo che il Partito Democratico, prima di proporsi come una reale forza politica alternativa, dovrà risolvere la sua questione meridionale.
Si torna al vecchio problema “è nato prima l'uovo o la gallina”.
Il PD nasce prima come partito di rinnovamento con inclinazioni di centro-sinistra o come forza di opposizionie atta a mandare a casa il prima possibile la sempre più preoccupante legislazione di Berlusconi?
Il che implica:
i problemi di clinentelismo interni al PD (che possono però dare sostegno in un ipotetico disarcionamento dell'attuale governo)vanno affrontati prima o dopo la conquista del governo?
Io non avrei dubbi sulla risposta, peccato che non coincida mai con le scelte dei dirigenti di partito.
A me sembra che qualsiasi attività si svolga in Meridione venga tacciata di collusione con la criminalità. Sarà mai possibile investire in questa parte d'Italia a queste condizioni?
Quantunquamente et Spessatamente Votatemi!!!