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Scritto da nel Itaca, Numero 63 - 1 Ottobre 2009 | 0 commenti

X – Scrittura, mutismo e canto di Zenone

  Itaca

Romanzo a puntate
Capitolo Decimo
Dove Zenone vomita solennemente
e gli viene fame
Io maledico l’uomo politropo, re di bestiaggine, rovinoso bastardo, assoluto minchione e illecito delinquente autorizzato; raglione baggiano, violento babbeo citrullo scarafaggio eroe della minchia: Odisseo distruttore di città – dettava Zenone allo scriba, seduto all’ombra sulle rovine e le pietre di Troia bruciata e mortificata – …distruttore della città sacra di Troia che mi ha raccolto poco dopo la nascita e qui cresciuto, allevato quando la città dei miei padri pure è stata annientata dagli Achei – si trovava pensoso e senza più verbo Zenone, all’ombra seduto, sulle rovine – …al giorno d’oggi guidati dal gran porco Agamennone – conclude.

Un bello stile solenne – dice lo scriba, seduto pure lui all’ombra, sulle rovine, incidendo le ultime lettere.
Eh, appunto – gli fa Zenone – ma una vomitata solenne l’hai mai vista, tu? – gli fa – io mi viene da vomitare, invece; una franca vomitata non può essere così solenne, così equilibrata, trattenuta, no? che ne pensi? – non molto ne pensava lo scriba: lui solo gli piacciono le parole, il suono, il disegno che le parole fanno sulle tavole: non un fatto di opinioni o questioni.
Continua – gli dice a Zenone, impaziente di mazza e scalpello.

Ma Zenone s’era fatto riflessivo e svogliato. Bastava un soffio leggero dei venti a disturbarlo dalla concentrazione e una parola non seguiva più un’altra nei suoi pensieri. Gli si ripresentavano nella mente le immagini del ricordo di un principe di Itaca che non poteva essere lo stesso che ora distrugge città e viene glorificato nei canti per la violenza dell’ingegno e della ragione.

O Zeno, embé?! – gli fa lo scriba. Zenone gl’era venuto un attacco di mutismo. Gli si spegnevano le parole in gola; lo scriba al colmo della frustrazione e lui a vedere quelle quattro tavole incise gli viene la malinconia e gli muore il canto.

Ho fame – gli dice al ragazzo – …vieni, camminiamo un po’, andiamo a pescare – s’affannava lo scriba per la via, carico delle tavole, pietoso a vederlo. Ma che stai facendo con tutta quella pietra? Sei scimunito? – gli fa Zenone, vedendolo con l’intenzione di portar le tavole in barca. Non era già più convinto che ci fosse del buono in quella tecnologia straniera per fissare le parole; e scrivere: quando si parla si parla e poi non ci si pensa più, si pensa magari a pescare; ma scrivere…

Il sole scende su Troia e sulla barchetta che con due remi si allontana dalla spiaggia. Il vento che prima soffiava leggero già scende le foglie dagl’alberi, come in guerra dalle trincee i soldati, e porta pioggia duratura. Lo scriba piange lacrime salatissime per il terrore al vuoto della vita vissuta solo per il presente, senza pensare a scriverne. Zenone invece, tutto un sorriso, arrangia le reti in mare, si stende pacifico sulla schiena, si lascia piovere addosso la prima pioggia, iorèt la chiamano la prima pioggia nella lingua dei suoi padri, e canta.

(continua…)

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