Tre parole – su tre film – con Thelma Schoonmaker
V. I. Pudovkin
Chi ama il cinema di Martin Scorsese può ricordare di certo il fermo-immagine sull'auto fatta esplodere di Quei bravi ragazzi; lo sguardo annoiato di un binocolo che in una sala d'opera si ferma improvvisamente sulla “diversa” contessa Olenska ne L'età dell'innocenza; il montaggio incrociato che alterna vicende di eroe e anti-eroe in The Departed. Ma non tutti sanno che dietro alle geniali intuizioni della mente del regista, dal 1980 troviamo un formidabile braccio, o meglio un vero e proprio braccio destro. Tre volte premio Oscar per il miglior montaggio, al lavoro su film cult come Fuori Orario e L'ultima tentazione di Cristo, Thelma Schoonmaker è una delle “grandi vecchie” del cinema moderno, una firma inconfondibile nell'arte dell'editing che, fin dai suoi esordi, è stata caratterizzata da un'importante quanto rara non-esclusione, anzi valorizzazione, delle artiste o “artigiane” donne (in tempi recenti, altri esempi sono i lavori di Susan E. Morse con Woody Allen e di Sally Menke con Tarantino).
A Bologna in occasione del festival “Il cinema ritrovato” e della presentazione della nuova versione restaurata di Scarpette Rosse - la Schoonmaker fu in seguito sposata per sei anni al regista Michael Powell -, Thelma racconta la storia del classico del musical, rivelando il rapporto di fortissima amicizia/rivalità tra Powell e lo sceneggiatore Emeric Pressburger, ricordando la scelta della stella Moira Shearer nel ruolo della ballerina, sottolineando il carattere visionario e innovativo del cinema degli anni di guerra. Parla naturalmente anche di Scorsese, con il quale sta ultimando il suo prossimo film Shutter Island, che vedrà nel cast, ancora una volta, l'alter-ego Di Caprio, Ben Kingsley e Max Von Sidow in un thriller psicologico ambientato negli anni '50: “il bello di lavorare con lui è che posso essere sicura che alla guida della nave c'è un capitano forte, e questo perché è capace di parlare con gli attori, li rispetta. Sa quanto imbarazzante possa essere il set per loro, e sa quanto sono vulnerabili, quindi li coccola, li nutre, sussurra al loro orecchio, cercando di creare per loro un ambiente confortevole.” Riusciamo a farle qualche brevissima domanda sul suo rapporto con il cinema e sui tre film che abbiamo scelto in apertura di questo articolo.
Thelma, lei è senza dubbio tra i migliori professionisti del cinema. Qual è, a suo parere, la cosa più importante per fare un bel film?
La pazienza. Credo che il montaggio sia una cosa estremamente difficile, richiede molto tempo e devi ripetere il lavoro più volte perchè sia fatto bene. E anche la disciplina. E il senso del ritmo. E in più bisogna essere diplomatici: si lavora con persone che hanno visioni molto chiare, e il nostro compito è di rendere quelle visioni realtà filmiche. Dico che ci vuole un senso del ritmo, un senso musicale, perchè la struttura deve avere un suo flusso, una sua andatura. Poi bisogna sapere riconoscere la buona recitazione, perchè si lavora su del materiale che è stato assemblato da duecento persone, è una grande responsabilità perchè un brutto montaggio può rovinare la performance di un attore.
Scorsese ha realizzato moltissimi capolavori, ma confesso che ce ne sono tre che preferisco, e sono stati tutti e tre montati da lei. Sarei curiosissima di chiederle un aneddoto su lavoro in ciascuno di questi. Il primo, Quei bravi ragazzi.
Goodfellas aveva una sceneggiatura talmente bella che per noi fu facilissimo seguirla, non ci restava molto da fare. Mi viene in mente la metafora di una cavalcata, seguire la storia era come farsi portare al galoppo sempre più velocemente. Questo tipo di montaggio rapido, che doveva simboleggiare la vita del personaggio e la sua discesa nella cocaina, e soprattutto l'utilizzo della musica come parte di esso, sembrano una cosa scontata adesso, ma erano estremamente innovativi per allora.
L'età dell'innocenza.
Qui il ragionamento fu opposto, cercavamo di rallentare, per adeguarci ai ritmi del 1800, e anche perchè dovevamo rendere un'atmosfera di rigidità, di chiusura, simbolo della società altrettanto chiusa e rigida che impediva la storia d'amore tra i due protagonisti.
E infine The departed.
Anche per The Departed il problema era molto diverso, ci fu un inconveniente nella stesura per cui si dovette ristrutturare tutto il film; si scelsero alla fine anche qui i tagli rapidi, diversi però da Goodfellas, perchè stavolta si cercava di rappresentare il senso del pericolo, portando avanti allo stesso tempo le storie dei due personaggi, parallelamente. Una piccola delusione fu che tutti odiarono il personaggio di Matt Damon, molti sono contenti che venga ucciso nel finale, ma la morale invece era di mostrare la sua storia, le vicende attraverso le quali cui era arrivato a quel punto. Poi Matt ha recitato divinamente, e anche Di Caprio, e posso dire che è straordinario anche nel prossimo film, ma tutto il resto deve rimanere una sorpresa.
La lettura per l'estate: “L'isola della paura” di Dennis Lehane, 2003
La storia di un agente federale spedito nella misteriosa Shutter Island per ritrovare una paziente di un istituto psichiatrico, ricercata per numerosi omicidi. Nelle parole dell'autore, già portato sul grande schermo da Clint Eastwood con Mystic River, il romanzo vuole essere un omaggio “a metà tra le sorelle Brontë e L'invasione degli ultracorpi”. Consiglio: d'estate il libro, e dal 9 Ottobre, nelle sale per il film di Scorsese.
Si ringrazia per l'intervista la Cineteca del Comune di Bologna