Scenario post-crisi
Sembrava che le povertà e le disuguaglianze fossero scomparse dall'agenda della politica italiana e internazionale impegnata a proteggere l'economia dalla gelata della crisi e invece in queste ultime settimane si è acceso un forte dibattito sulla piaga strutturale dei divari economici e delle esclusioni sociali creato da questo sistema capitalistico distorto. Da una parte i guelfi sostenitori di una forte polarizzazione dei redditi in Italia rispetto a tutti gli altri Paesi europei, dall'altra i ghibellini tendenti ad accomunare il fenomeno di crescita delle disuguaglianze agli altri Paesi anglosassoni e mediterranei.
È però un'indagine conoscitiva di Banca d'Italia sui redditi tra il 1993 e il 2008 a sciogliere parzialmente il nodo con una duplice conclusione. Il livello di povertà e di disuguaglianza dei redditi familiari in Italia è superiore a quello dei paesi nordici e dell'Europa continentale, ma in linea con altri Paesi come la Spagna, la Francia, l'Inghilterra e gli Stati Uniti. Tuttavia, restringendo l'orizzonte temporale sui quindici anni presi in considerazione, emerge come non vi sia alcuna evidenza statistica di un aumento della disuguaglianza, di un assottigliamento dei redditi dei ceti medi o di un impoverimento delle famiglie italiane. Da sottolineare come questo studio di Banca d'Italia risenta fortemente della scelta del periodo 1993-2008 dove in Italia la ricchezza familiare è cresciuta intorno al 20% in termini nominali e il Pil oltre il 60% sempre in termini nominali. Inoltre, non predice gli effetti della crisi sulle diseguaglianze e soprattutto assume il reddito come principale variabile dei divari tra le famiglie senza ad esempio considerare la capacità di alcune famiglie rispetto ad altre di accedere agli strumenti di protezione pubblica (es. social card), di integrazione reddituale (es. cassa integrazione guadagni) e di incentivazione fiscale (es. incentivi alle auto o bonus energia).
Quali effetti sta producendo questa crisi quantomeno sulla percezione delle disuguaglianze tra le famiglie italiane? Stando soltanto a quelli già visibili sul mercato creditizio e immobiliare, due sono i sintomi di un nuovo scenario socio-economico che, anche con l'arrivo delle nuove generazioni, si sta consolidando in Italia e tenderà ad aumentare i divari economici e sociali: sempre più famiglie avranno maggiori difficoltà ad accedere al mercato del credito e sempre più le famiglie, ad oggi per l'80% proprietarie di una prima casa, dovranno spostarsi sul segmento della locazione e dell'housing sociale. Il primo riguarda il restringimento del bacino potenziale di famiglie che possono permettersi di contrarre debito. Fino ad oggi il credito ha avuto un importante ruolo di stabilizzatore sociale permettendo anche alle famiglie con un reddito medio-basso di avere delle autonome capacità di azioni e di conseguire i propri obiettivi (come ad esempio comprare una casa). I dati più recenti dicono invece che la domanda netta di mutui per l'acquisto delle abitazioni stia arretrando anche per scelta stessa delle famiglie che non sentono di avere la possibilità di restituire il debito o non intendono accollarsi un rischio incombente per il prossimo futuro. Il secondo sintomo ha a che fare con un effetto diretto della crisi sulla scelte delle famiglie tra compare una casa o vivere in affitto. Dato che la domanda di mutui ipotecari si riduce e una frazione considerevole di famiglie non potrà acquistare una casa, è ragionevole ipotizzare uno spostamento rilevante delle famiglie dal comparto della compravendita a quello degli affitti che tenderà a mantenere stabili il livello degli affitti nel corso dei prossimi anni e non a ridurli secondo la dinamica dei valori immobiliari. Questi sintomi sono riscontrabili anche in altri Paesi europei, ma in Italia le famiglie non possono contare su dei sentieri semplici ed efficaci di accesso al welfare. Ecco il motivo per cui in un periodo di crescita economica il nostro Paese non tende a creare delle disuguaglianze insostenibili (se non tra il Centro-Nord e il Sud d'Italia), mentre proprio nelle fasi depressive la società italiana tende a polarizzarsi tra chi ha un impiego pubblico e difficilmente può essere licenziato e chi ha un impiego privato, tra chi lavora in una grande impresa e può contare sui meccanismi di integrazione del reddito e chi in una piccola impresa e difficilmente può accedere alla cassa integrazione se non in deroga, tra chi ha un'occupazione atipica ed è per primo esposto al contenimento dei costi e chi invece ha un'occupazione stabile, tra chi ha potuto accumulare forme di risparmio privato e chi invece lo ha eroso durante l'ultimo quinquennio.