La democrazia in America Latina
Il primo caso si registrò in maggio, quando un video dell’assassinato avvocato Rodrigo Rosenberg (http://www.youtube.com/watch?v=VxZptUp9a44) accusò il Presidente del Guatemala, Alvaro Colom, di avere pianificato l’omicidio. Settimane dopo, nella località peruviana di Bagua, le proteste degli indigeni contro l’approvazione delle leggi sulla privatizzazione delle loro terre fu celebrata con decine di morti (i leader indigeni forniscono cifre di più di 30 assassinati). All’inizio del mese di luglio, in Honduras, gli scontri tra le forze paramilitari ed i sostenitori del deposto Presidente Manuel Zelaya costarono la vita di un giovane manifestante.
Negli ultimi anni, gli allarmi maggiori per la governabilità democratica in America Latina erano emersi in Venezuela, Bolivia ed Ecuador, i cui governanti sono al centro di periodiche denunce da parte occidentale di manipolazione delle istituzioni democratiche e scarsa regolarità delle elezioni. Tuttavia, nei tre casi sopra segnalati, sono le istituzioni stesse ad essere coinvolte. E’ la democrazia quella che ha aperto il fuoco contro la popolazione civile.
Senza dubbio, il caso del Guatemala ha radici differenti. Nel suo video postumo, Rosenberg non accusa della propria morte l’istituzione del potere esecutivo, bensì il Presidente – ed il caso è tuttora in via di investigazione. Altresì, l’immagine di un cadavere che segnala il suo assassino, nella stessa persona del Presidente del governo, possiede una potenza mediatica eccezionale. Nessuna sentenza giuridica potrà cancellare il messaggio pubblico che la denuncia sul web porta con sé: il potere si esercita con la forza. Chiunque sia l’assassino di Rosenberg, il sistema politico ha perso di fronte alla popolazione – se ancora lo possedeva – il credito della trasparenza e l’autorità legittima della legge. Per molti guatemaltechi, il sistema democratico non serve per combattere le mafie, ma solo per darle posti pubblici.
D’altra parte, il caso di Bagua mette in rilievo le limitazioni di una democrazia incapace di garantire la giustizia. La maggioranza delle costituzioni vigenti nella regione sono garanti della proprietà privata e rimettono ai tribunali i casi di conflitto. Dunque, uno dei conflitti sociali più delicati è quello che mette di fronte le comunità native con le grandi imprese che vogliono sfruttare le risorse naturali della loro terra. Con l’attuale ordinamento giuridico, quando una impresa danneggia l’ambiente o non rispetta le leggi sul lavoro ha molte possibilità di uscire impunita da un processo per una ragione molto semplice: il costo del processo legale. Anche un potere giudiziario affidabile contrapporrà allo studio di avvocati di una multinazionale i delegati di un villaggio che non hanno la luce elettrica. Il contenzioso può prolungarsi per anni, e in caso di appello, si risolverà nei tribunali centrali, nelle capitali, a giorni di viaggio dai villaggi e dalle campagne. Il risultato è ovvio. Un’istituzione impeccabile – secondo la precedente definizione – lascia privi di difesa legale milioni di persone.
Questo paradosso spiega la popolarità di Evo Morales e Hugo Chavez tra i settori poveri di molti paesi. Per i loro detrattori, i progetti costituzionali che questi governanti stanno promuovendo sono solo un tentativo di rielezione indefinita. I difensori, invece, li considerano strumenti imprescindibili per la protezione legale dei settori più indifesi della popolazione. La loro piattaforma politica è stabilire nuovi modelli di proprietà pubblica, rafforzare il ruolo dello Stato dinnanzi gli operatori economici privati e difendere il diritto degli indigeni a decidere sulle proprie terre. Esattamente all’opposto di ciò che è avvenuto a Bagua, i cui scontri palesano che nell’odierno Stato democratico latinoamericano i contadini devono morire e uccidere per difendere questo diritto.
Eppure se c’è un caso che ha fornito la legittimità al discorso caudillista, è stato l’Honduras. Il nuovo Presidente, Roberto Micheletti, si è permesso di qualificare la propria presa del potere come una “successione costituzionale”, basata sulla sentenza costituzionale del potere giudiziario contro il Presidente eletto, Manuel Zelaya. La causa di questa sentenza fu la convocazione di un referendum. Di fatto, la giustificazione costituzionale di questo referendum era abbastanza dubbia. Però l’immagine di un battaglione che si esprime attraverso le armi non risulta preferibile, né digeribile.
L’Honduras è uno dei paesi con un regime politico ed economico più ingiusto del Centroamerica. La povertà, al di là dei milioni di dollari prodotti dal “libero mercato”, è profonda. I sequestri e gli assassinati sono all’ordine del giorno. Tutto questo ha funzionato sotto la meraviglia “democratica”. Inoltre le multinazionali e le basi militari (statunitensi) pullulano. In tal contesto i giudizi di incostituzionalità di un referendum popolare, seppur finalizzato ad abrogare le norme che limitano i mandati presidenziali, danno un’immagine quantomeno controversa della costituzione honduregna. Non a caso i critici la definiscono dittatoriale, in quanto redatta dai militari nel 1982 (gli stessi che hanno guidato il golpe deponendo Zelaya).
Ma ciò che emerge è che con l’espulsione del Presidente eletto sono le istituzioni democratiche a porre in questione la definizione stessa di democrazia: il governo del popolo? Il sistema nel quale i cittadini possono partecipare delle decisioni che li riguardano (una delle quali, elementare, è l’elezione del loro presidente)?.
Il sistema di equilibrio di potere e di suffragio universale è desiderabile, secondo la teoria a noi comune, poiché permette che gli scambi sociali avvengano senza spargimento di sangue. Per ciò, quando è necessario spargere sangue per difendersi è il segnale che qualcosa funziona male.
Nell’atto di nascita della rivoluzione francese, la democrazia nacque con un triplice motto: “Libertà, Uguaglianza, Fratellanza’”. La fratellanza era già chiedere troppo. 
; Però il conflitto tra libertà e uguaglianza, tra liberalismo e socialismo, che definì il secolo XX, continua a divedere la ragione sudamericana. Il progetto politico di Hugo Chavez è creare un sistema ugualitario anche a costo delle istituzioni che garantiscono le libertà individuali. In cambio, il progetto politico liberale si è concentrato nel garantire le libertà individuali – la proprietà privata – anche a costo dell’uguaglianza sociale. Per le masse di cittadini poveri, con ragione o no da parte della politologia, il progetto di Chavez cristallizza una serie di aspirazioni concrete che le istituzioni democratiche ignorano o negano.
Coloro che credono che la democrazia liberale sia il sistema più efficace di governo, dovranno comunque incorporare questa massa di persone, contadini, indigeni e poveri, al progetto di Stato democratico. Per ritirarle dall’orbita dei caudillos, è necessario dimostrare che la democrazia possa offrire giustizia sociale, ovvero, diritti basici e una distribuzione più giusta della ricchezza. Però, fin tanto che l’argomento sarà la forza dei corpi di polizia o dell’antidisturbo, ogni sforzo si convertirà in appoggio ai caudillos. E la battaglia dei fautori della democrazia in America Latina sarà persa in partenza.
Bell'articolo Luca. Non conosco nello specifico l'attualità latinoamericana, ma se ho capito il discorso di fondo del tuo articolo condivido pienamente: non si può considerare il sistema politico democratico occidentale (nonostante ne esista più di uno) necessariamente idoneo a paesi che hanno e hanno avuto un passato e un presente di sfruttamento che sia ritenuto più o meno legittimo.
La democrazia è senz'altro una delle più grandi conquiste dell'umanità ma essa non può prescindere dalle condizioni storiche e geografiche del paese, e reclamarla o imporla spesso può comportare più danni che benefici.
Saluti e ossequi,
pippo