Intermezzo
Itaca
Romanzo a puntate
Intermezzo
Ovvero: come m'è venuta quest'idea balorda?
Mi ritrovo ormai intrappolato, io il signor Cannova, persona di tutto rispetto, a scrivere questo Itaca, romanzo a puntate. Vi dico la verità: la colpa è tutta di Angelo Valenza. Conoscerete il signor Valenza per i suoi articoli qui sull'Arengo, sto parlando proprio di lui. Io ero poco capace d'intendere, quando m'ha proposto un romanzo d'appendice, e in quest'incapacità m'incontro casualmente con un altro personaggio ch'è poi il secondo colpevole di questo fatto di pubblicare una roba così.
Questo secondo personaggio, siciliano pure lui, questo qui lavora in una casa editrice anche piuttosto conosciuta italiana, una grande casa editrice, quella casa editrice che pubblica Giorgio Faletti, per intenderci. Questo qui io gl'avevo dato da leggere un mio vecchio romanzo, dopo qualche settimana gliel'ho trovato sul comodino pieno di polvere. Mi ha confessato di aver letto solo gli attacchi, sfogliato qua e là. Tu scrivi per un lettore troppo colto – mi ha detto poi una mattina – …devi pensare al camionista.
Questo della casa editrice, una casa editrice anche importante in Italia, lui il suo consiglio è di evitare le subordinate, evitare le chiuse, scrivere insomma peggio che in terza elementare.
Allora mentre che riflettevo e rimuginavo sulla questione del camionista, mi ritrovo Angelo Valenza che mi viene fuori con l'idea del romanzo a puntate. Già mi studiavo una strategia per dividere in capitoli di due pagine un mio romanzo breve, La Scienza dello Zaino si chiama, quando in via del Pratello (via che mi pento sempre d'imboccare) incontro questo della casa editrice, quella casa editrice che pubblica Giorgio Faletti e se vogliamo dirla tutta anche Enrico Brizzi – io adesso non mi vorrei mettere in mezzo tra questi due pilastri della letteratura italiana che scrivono magari con un'idea ben chiara del camionista e per lui trovano l'ispirazione – ma pur sempre m'è rimasto il dubbio: che cosa leggono, in verità, i camionisti? io quelli che ho incontrato con l'autostop ci vorrebbe un'immaginazione sfondata a pensarli leggere un libro. Ce n'era uno in Turchia ad esempio, con questo abbiamo passato un'ora e mezzo – un'ora e mezzo – a nominare gli organi sessuali e le svariate pratiche, per via ch'era curioso di saperne la traduzione italiana, allora gli mostravo l'indice e dicevo cazzo, con l'altra mano univo la punta dell'indice con la punta del pollice e dicevo fica, quando poi mettevo l'indice ben diritto nell'altre due dita era un'apoteosi, una risata di mezzo minuto. Potevo ripetere questa mimica all'infinito, l'effetto era sempre lo stesso: una risata di mezzo minuto. Racconto questo aneddoto turco nel caso ci siano camionisti a leggere l'Arengo, anche perché un consiglio di uno che lavora in una grande casa editrice che pubblica Giorgio Faletti, un consiglio suo non bisognerebbe sprecarlo.
Un altro consiglio che mi ha dato questo qui della congiura dei siciliani, quella sera in via del Pratello che Angelo Valenza mi ha proposto il romanzo a puntate e camminavo riflettendo sui camionisti e pensavo a come smembrare La Scienza dello Zaino e in via del Pratello me l'incontro così all'improvviso, un altro consiglio suo è stato di pubblicare invece qualcosa di nuovo, che scrivo mese per mese. Io c'avevo questo abbozzo di Itaca che era già sulla via della dimenticanza, l'ho fatto leggere al signor Valenza e sono rimasto incastrato. Avevo scritto solo i primi dieci capitoli e non avevo idea di come andare avanti. E poi non avevo mai scritto una roba del genere.
Qualche giorno fa gliel'ho detto, a quello della casa editrice importante italiana, che ho seguito il suo consiglio. Era stravolto per l'uscita del nuovo romanzo di Faletti Io sono Dio, un titolo in rima – e quando esce un nuovo libro di Faletti c'è assai da lavorare – era stravolto e mi ascoltava appena, però mi ha detto bravo. Nient'altro. Io da quel giorno che lui m'ha detto bravo dopo ho avuto una certa vergogna a parlarne con qualcun altro, di Itaca. Per una settimana mi sono nascosto, non si sa mai che qualcuno mi riconosce in strada come il famoso scrittore che pubblica Itaca a puntate sull'Arengo del Viaggiatore. Il primo con cui mi sono confidato è un vecchio amico, Andrè Cachòt, un francese trapiantato a Corigliano del Capo e al momento espiantato in Bolivia. Una sera sono entrato in un locutorio pakistano e gli ho telefonato in intercontinentale al prezzo di un pacchetto di tabacco da 25 grammi. Itaca? – mi fa – …ti sei messo a scrivere dei libri commerciali? Quanto ti pagano? – ho messo giù la cornetta, sono uscito, mi sono seduto s'un gradino nella piazza Verdi e ho pianto, consolato dai punk. Un senegalese morto di fame che vende i fazzoletti per via Petroni solo a guardarmi in faccia mi ha augurato buona fortuna, lui a me. Come ciliegina sulla torta, quando sono tornato a casa c'era una lettera della correttrice di bozze, un e-mail: 'Un folle venuto a sconvolgere il mio austero ecosistema fatto di rigide strutture grammaticali' - a questa maniera mi nominava nella lettera, e mi accorgo che in un articolo su Huckleberry Finn e The Catcher in the Rye m'è stato corretto un due punti e sostituito con una virgola, nel finale. Era troppo, per me. Io Cannova, persona di tutto rispetto.
Bene: adesso che sappiamo tutti come sono andate le cose e come gira storto il mondo, andiamo avanti con questo banchetto di Tindaro e quel mafiosetto di Agamennone e la sua federazione achea, ch'è un momento cruciale per la storia dell'umanità e noi qui a gingillarci e perder tempo.
Cannova Colendissimo,
in attesa del previsto incontro del cui ritardo mi scuso, vengo a porgerle altre scuse per lo sconforto provocato dalle mie parole (a proposito, dopo i due punti, segue lettera minuscola: “un folle”), e altresì apprezzo l'evidentente buona volontà con cui la vedo rendere il suo stile meno selvaggio, facilitando il compito di chi, come noi, alla sola luce fioca di un mozzicone di candela, lavora alla rifinitura dei grandi testi dei nostri autori come un apprendista artigiano smusserebbe con pazienza gli angoli lasciati interminati dal proprio maestro.
Non le consiglio di scrivere mai per gli ignoranti, ma ricordi: come le signore, gli idiomi vanno rispettati, amati, conosciuti, compresi; le loro regole vanno accettate con dedizione perchè frutto di lunghi ragionamenti e ed evoluzioni, spesso da parte di ben altri artisti che non noi, e volti al miglior rapporto possibile tra la capacità di chi scrive, e il piacere della comprensione da parte di chi legge.
Solo allora, avendo dimostrato all'Idioma la propria devozione incondizionata, esso può talvolta farci il dono di lasciarsi piegare ai nostri desideri, e cambiare per amor nostro: prima di scrivere l'Ulysses, Joyce aveva scritto il Dedalus.
Prenda questi consigli con la dovuta ironia – ne sono certa. Rispettosamente,
Ecco, signorina DiBozze, che dopo una lunga riflessione le rispondo nella maniera tragica che ben s'accorda alle lacrime che dal 3 agosto mi bagnano tutto. Spero voglia pazientemente seguire il mio discorso.
Anticamente il latino, dopo esser stato ruminato tra le mandibole di molte genti, parlato molto e tradito in tradizioni diverse e sparse nel mondo, ha visto spander la sua grammatica ed esplodersi in parlate numerose e ricche così che un impoverimento e un rimpicciolire sarebbe il ritorno all'antica regola (se ci fu mai) – e parimenti picciolirebbe la lingua che oggi parliamo, volendola mettere nelle strettezze della grammatica; così come la matematica se al secolo è ristretta a Euclide. I grammatici di volta in volta nella Storia son venuti dopo, e sempre tardi, per voler arginare la libertà d'artista e d'artigiano, del vero creatore di cose nuove, come Pietro Bembo si trovò impotente nel voler domare l'Alighieri anziano.
Non è però mai la vera lingua, pare, a seguire la grammatica; ma al contrario è la grammatica a inseguire la lingua per desiderio d'ordine e di spiegazione per il vizio violento di voler gestire la Natura; e mortificare il vivo.
Salute!
Bel colpo, Cannova! )))
così Vi voglio