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Scritto da nel Letteratura e Filosofia, Numero 59 - 1 Maggio 2009 | 11 commenti

Il complotto contro l'America di Philip Roth, un capolavoro di oggi

Cosa sarebbe successo se nel 1940 Roosevelt, democratico interventista, non fosse stato eletto per la terza volta Presidente degli Stati Uniti d'America? E cosa sarebbe successo se al suo posto fosse stato eletto presidente un celebre “eroe” americano di quegli anni, Charles Lindbergh, “campione” dell'aviazione a stelle e strisce (autore della traversata atlantica), repubblicano, isolazionista (contrario all'entrata degli U.S.A. nel conflitto), orgogliosamente ariano e antisemita? Sono queste due domande a far scattare l'intreccio del romanzo di Philip Roth, che all'uscita nel 2003 ha scatenato un putiferio nel cuore della cultura americana, spalancando gli armadi sbarrati dalla Storia e mostrando i tanti scheletri che l'America degli anni '30 celava in sé. Il gioco d'immaginazione di Roth, che si tramuta subito in un incubo serissimo, non nasce da una pura invenzione, da un'assurda ipotesi, tutt'altro: è storicamente accertato che l'ala isolazionista del partito repubblicano aveva avuto l'intenzione di candidare Lindbergh. Roth allora si chiede: “E se lo avessero fatto?”. Wendell Willkie, il reale candidato repubblicano, era anch'egli interventista ed era quindi inadatto a battere Roosvelt. Lindbergh invece avrebbe senz'altro raccolto un maggiore consenso, essendo l'opinione pubblica americana prevalentemente contraria alla guerra.

Quindi Roth si chiede: “E se Lindbergh avesse vinto?”.

Il procedimento di Roth è decisamente complesso e raffinato: dare un esito immaginario e alternativo a circostanze e dinamiche assolutamente concrete e realmente esistenti nell'America dei '30. In una celebre intervista Roth dice: “Presento 27 pagine di prove documentali che sottendono ad una irrealtà storica di 362 pagine nella speranza di dimostrare che il libro è qualcosa d'altro che frutto di fantasia”. Roth utilizza infatti nel suo romanzo numerosi documenti reali (raccolti nell'appendice), tra cui i discorsi pronunciati da Lindbergh e da altri personaggi noti quali Henry Ford ed “il prete della radio” Charles Coughlin. Non bisogna quindi definirla una falsificazione storica quanto piuttosto una fatalizzazione della storia. Il termine più adatto per questo genere di narrazione è quello di “ucronia”: l'operazione che immagina un cambiamento nello svolgimento del passato e che ne esplora le ipotetiche conseguenze.

Un fattore fondamentale dell'opera è quello del punto di vista dal quale viene narrata. Dalle premesse ci si potrebbe aspettare un grande affresco storico (o meglio fantastorico), pieno di avvenimenti di carattere epico e collettivo. Roth invece ci sorprende e si concentra sull'intimità di una famiglia ebrea-americana, la famiglia Roth. Roth ritrae, pressoché fedelmente, la sua stessa famiglia, suo padre Herman, sua madre Bess, suo fratello Sandy e se stesso, Philip, tra i 7 e i 10 anni. Immagina la propria famiglia costretta ad affrontare una situazione di pericolo nell'America antisemita e filo-nazista di Lindbergh. Questo espediente permette di creare un complesso rapporto tra Storia Collettiva e storia individuale, tra Memoria Culturale e memoria personale.

Grazie all'intrecciarsi di tutti questi fattori, l'opera di Roth è capace di far emergere numerose questioni cruciali sulla condizione umana e di farci riflettere su alcuni concetti fondamentali del nostro sapere.

Uno degli obiettivi di Roth è quello di esprimere nel modo più intenso ed efficace l'esperienza della Paura. “Volevo che gli ebrei d'America avvertissero la pressione di una reale minaccia antisemita. [...] Ciò che conta nel mio libro non è quello che Lindbergh fa ma quello che gli ebrei americani sospettano, a ragione o a torto, che potrebbe essere capace di fare”. Roth si propone di esplorare la dimensione intima della Paura vissuta da una famiglia di minoranza etnica e religiosa. Tale tentativo ci rivela la presenza nell'America degli anni '30 di un antisemitismo forte e radicato, fantasma che l'America ha seppellito grazie all'impresa di liberazione dell'Europa da Hitler. È come se Roth ci dicesse: in America esisteva negli anni '30 un forte antisemitismo, rappresentato in primis da personaggi popolari come Henry Ford e Charles Lindbergh, e se oggi si inorridisce davanti a questa discriminazione è in buona parte grazie all'intervento nella Seconda Guerra, intervento che poteva benissimo non esserci se le cose fossero andate in modo leggermente diverso. Questa prospettiva ci rivela qualcosa di inaudito (nel senso proprio di “mai sentito”) sull'America, ciò che le coscienze di molti paesi europei sono state costrette ad ammettere (dopo il conflitto) come una grande colpa etica e morale (pensiamo alla Francia), ovvero di ospitare un antisemitismo latente, una diffusa discriminazione della minoranza ebrea. Citiamo ancora Roth dall'intervista: “L'esclusione era presente in America, questo è certo. Agli ebrei erano deliberatamente e sistematicamente preclusi il godimento di alcuni benefici, l'adesione ad alcune associazioni e alcuni importanti accessi ad ogni livello della società americana”. Inutile dire quante polemiche il testo abbia suscitato, non solo all'interno dell'establishment statunitense ma ad ogni livello: una schiera di storici, politici e teorici vari, si è scagliata contro quest'opera (arrivando ad accusare Roth di Revisionismo!); la stessa comunità ebrea americana lo ha ferocemente aggredito (essendo il ritratto che Roth ne fa assolutamente ambiguo e grigio, mai a tinte chiare).

Il racconto di Roth è in grado di trasformare la questione della discriminazione degli ebrei in qualcosa di molto più universale, ovvero la discriminazione di qualsiasi minoranza, che è sempre da considerarsi come un genocidio culturale e psicologico. “L'esclusione è una forma primaria di umiliazione e l'umiliazione è invalidante, causa terribili lesioni alle persone, le torce, le deforma, come può testimoniare ogni minoranza”.

Il romanzo possiede infinite sfaccettature e risvolti inesauribili, grazie al genio narrativo e all'intelligenza critica di Roth. Vi si possono individuare la questione del rapporto tra potere e mezzi di comunicazione di massa; tra la costruzione di un “clima della paura” e l'ottenimento del consenso politico. Su tutto aleggiano domande fondamentali sul senso della Storia. La Storia ha uno svolgimento logico e coerente? (Il reale è razionale?). Dallo studio della Storia si possono trarre insegnamenti fruttiferi per il futuro? Dove va a finire tutta quella Storia che non è stata mai ufficialmente raccontata? Com'è la Storia vista dalle minoranze e dai perdenti? Chi fa la Storia e con quali mezzi? Come si può riuscire a fare della Storia una Memoria Collettiva e a far sì che questa si trasformi in coscienza etica? Lascio ai lettori il piacere di trarre dal testo tutte le ulteriori tematiche che qui di certo non posso esaurire.

Un'ultima annotazione. L'attualità del romanzo (pubblicato nel 2003) è fortissima, tanto che molti lo hanno inteso come un racconto “a chiave” sull'America di Bush. Nonostante Roth lo abbia negato in modo categorico, non possiamo che rimanere nel dubbio, conoscendo bene le posizioni di Roth in materia (ecco una sua dichiarazione: “Ed ora Aristofane, che di certo dev'essere Dio, ci ha dato George W. Bush, un uomo incapace di gestire una ferramenta, figuriamoci una nazione come questa”).

[Philip Roth, Il complotto contro l'America, Einaudi, pp. 400, euro 18,50]

11 Commenti

  1. Più che “ucronia” utilizzerei “storia controfattuale” e starei attento a dare appunto un valore “storico” a questo tipo di opere. Purtroppo non ho ancora letto il libro (ma mi prometto di farlo) e quindi non posso commentare più approfonditamente l'articolo del buon tommy. Posso aggiungere solo che effettivamente l'antisemitismo ben prima del Novecento è stato una malattia che ha colpito tanti popoli, in particolare quello russo.
    Dallo studio della Storia si possono trarre insegnamenti fruttiferi per il futuro? Bhe, direi proprio di si, senza lo studio della storia non si può costruire un futuro minimamente migliore. Basta osservare il nostro povero Paese che è privo di memoria storica se il fondatore del partito più votato dagli italiani dice che “Mussolini era troppo buono” e se il nostro governo pullula di ex fascisti (poi, cosa significa “ex”?).
    La memoria storica è il vaccino contro i mali del presente e del futuro. Peccato che ciò venga quasi sempre ignorato.

  2. Ossequi all'intervento dell'onorevolissimo compagno Macrì che si tiene culturalmente in contatto con noi anche se nel bel mezzo della sua esperienza nel post-comunismo.

    Personalmente condivido che la Storia abbia molto da insegnare. Ma i termini con la quale lo fa possono essere spesso fraintesi.
    La prima cosa che la Storia ci insegna è che la Storia non è la Politica, anche se essi sono strettamente collegati. Se da un lato infatti la Politica fa la Storia, può dirsi la stessa cosa dekl contrario, cioè che è anche la Storia a fare Politica?
    Il problema di una questione delicata qual'è la Memoria Storica è il suo carattere propriamente politico. Esso si va formando attraverso una condivisione di una determinata interpretazione storica da parte delle parti politiche e sociali presenti nel paese, e non potrebbe essere altrimenti. Essa è di fatto una “costruzione” ceh avviene a livello politico, allo stesso modo in cui facili nazionalismi e antiche diatribe, ma anceh il pacifismo e l'ambiente, vengono populisticamente e propagandisticamente promossi dalle più svariate formazioni partitiche (un esempio su tutti l'idea di una Padania che non è mai storicamente esistita).
    Questo, a parer mio, è il problema che oggi attraversa gli strati della nostra società civile. Non solo i partiti si accaparrano i meriti e affibiano ad altri i demeriti di una passato ceh dopo 60 anni dovrebbe essere largamente condiviso, ma si fanno propri la stessa idea di Memoria Storica, se ne fanno promotori in maniera opportunistica allo stasso modo in cui potrebbero essere usati termini quali Nazionalismo o Razzismo.
    Come può allora la Storia aiutarci in tutto questo?
    A parer mio, la Storia non può e non deve dare verità assolute riguardo al passato (ricordando che la Storia stessa è fatta d'interpretazioni) che diano ragione all'una o all'altra parte, anceh perchè, premesso ceh ci sia una parte che abbia ragione, spesso questa non basta ad acquietare gli animi di chi ha visto morire amici e parenti. La Storia invece può offrirci spunti sul dove andare per non ripetere gli stessi errori e per migliorare la nostra società. La Storia guarda avanti. Ed è qui che le parti in gioco devono trovare il punto di condivisione al di fuori della loro propaganda, come venne fatto all'alba della nostra repubblica e non viene fatto adesso. Basta volerlo e basta volere il bene del paese e non quello di pochi.
    Una volta concordata (anche se sommariamente) una via verso la quale dirigerci, la Memoria Storica può essere anceh costruita politicamente a tavolino – come tra l'altro è sempre stato fatto – che tanto l'importante è avere un comune punto d'inizio.
    Sempre e assolutamente nel rispetto dei morti.

  3. Qui tu parli di uso politico della storia che e' cosa ben diversa dalla memoria storica. La politica nel mio discorso non ci azzecca (eh eh, di pietro docet)nulla. Il ruolo degli storici e' appunto quello di arrivare a interpretazioni il piu' possibile precise e condivise a grandi linee (sottolineo) su quello che ad esempio sono stati gli eventi e le persone che hanno caratterizzato appunto la storia di un paese.Da quelli bisogna (bisognerebbe)partire per costruire presente e futuro evitando di commettere gli stessi errori.
    Anche se purtroppo sono discorsi solo teorici perche' chi governa e amministra lo stato in realta' o chi aspira a farlo salvo eccezioni tira semplicemente acqua al suo mulino.
    Su pacifismo e ambientalismo preferisco sorvolare per evitare di ripetermi, anche se sono sempre piu' incazzato a riguardo.

  4. ehehehe, capisco cosa dici. Ma il discorso sta appunto lì. La storia dovrebbe essere interpretata dagli storici, ma non è sempre così, chiunque può farlo e far credere la propria versione agli altri. Memoria Storica diventa quando la maggior parte del paese la condivide. E' il popolo che crede a quella memoria a farla e non gli storici, e la politica può influenzare.
    Se la gente crede che Mussolini non fosse cattivo come Stalin, lo diventa veramente nella memoria collettiva.

    Per questo sono preoccupato per la nostra di memoria.

  5. Si, corretto. ma se fino agli anni 60 e 70 la stragrande maggioranza della gente crede che Mussolini sia stato un “male” (perchè ha vissuto direttamente determinate situazioni creando memoria storica) e negli anni 2000 il pensiero generale (frutto di gente che non ha vissuto quegli anni) muta nel suo contrario questa ultima non e' più assolutamente memoria storica ma manipolazione della storia.
    Per questo sono preoccupato come te.

  6. E' anche vero che nel dopoguerra per edificare e irrobustire la fragile Repubblica si è provveduto ad una rimozione del periodo fascista, ben rappresentato dal divieto transitorio di 'ricostruire il disciolto partito fascista'.
    Tale processo ha impedito un'analisi critica collettiva delle ragioni del successo del fascismo e lo ha semplicemente rimosso dalla memoria storica.
    Anche per questo, finiti i partiti-guardiani della prima repubblica, esso si può ripresentare sulla scena nazionale senza i filtri della memoria. Sembra anzi che gli unici che lo ricordino siano gli ex missini.

  7. Condivido entrambe le considerazioni, e vorrei fare un ulteriore passo avanti proponendovi una questione:

    non vi sembra che, più che la memoria del periodo fascista del quale avete spiegato le dinamiche, quella che i politicanti stiano cercando (e che secondo me sono riusciti a fare) di cancellare sia la memoria storica del II dopoguerra? Dove sono finiti gli anni della DC, del PCI tutti gli anni 70, con gli estremismi di destra e di sinistra, con le loggie? E soprattutto, dove sono finiti quegli uomini? E' un caso che si parli ancora di fascisti e comunisti?

    Temo che se la memoria storica del ventennio possa essere facilmente modificata (ma cmq in un quadro istituzionale ormai solido e forte dell'Europa), quella degli anni 70, di cosa fosse la guerra fredda e di cosa ci ha lasciato, non esista proprio!!
    PD rinnega le sue origini comuniste e le sue colpe, il PDL (forte dei media) non lascierà mai travedere legami con la Loggia, se non attraverso il suo operato…

  8. dai percorsi controfattuali oggetto dell'articolo si è passati alla storia, alla manipolazione della storia da parte della politica, alla memoria storica fino alla manipolazione della memoria storica, concludendo che quest'ultima, o non c'è, o è stata cancellata o non è mai esistita.
    il fatto che la nostra geerazione di ventenni/trentenni sia cresciuta all'ombra delle televisioni in fiore non significa che gli italiani (la cui età media è un tantino più alta) abbiano rimosso gli anni sessanta, settanta o non abbiano memoria storica..loro se li ricordano bene gli anni'70, mentre noi non li consociamo perchè non li abbiamo mai studiati..i programmi scolastici si fermano infatti prima.

    diamo tempo al tempo e, prima di parlare di memoria storica aspettiamo un pò, per distanziarci quel tanto che basta da riuscire a guardare le cose con più chiarezza (passando dal micro al macroscopio) aspettiamo che glia ccadimenti vengano depurati da ideologie, da dietrologie, cospirazionismi e chiariti alla luce di fatti ancora coperti da segreto di stato..
    aspettimao che, attraverso un processo rigoroso di analisi storica, l'attualità diventi storia..allora si potrà parlare di memoria storica..non capisco inevec come si possa parlare di memoria storica riferendosi a qualcosa che ancora non è storia.

  9. Lo studio accademico della Storia viene ricondotto all'apertura degli archivi datati trent'anni addietro.
    Sono passati 45 anni dal tentato colpo di Stato del “Piano Solo” (1964), 31 dall'omicidio Moro (1978) e 28 dall'ordine di catture di Licio Gelli.
    Luce non se n'è fatta e la politica va avanti.
    L'attualità politica è da far risalire alla II Repubblica, ma come è possibile interpretarla se non sappiamo da dove arrivi?

  10. Chi è che non sa da dove arriva la seconda repubblica?
    forse bisognerebbe distinguere tra analisi storica condotta dai profesionisti del emestiere e percezione degli accadimenti da parte dell'opinione pubblica, non credi?
    la tua domanda implica forse che gli storici italiani non abbiano un livello di preparazione sufficientemente adeguato a svolgere unos tudio accademico della storia?? o la tua domanda si riferisce piuttosto alla capacità critica ed alla consocenza del popolo, dell'opinione pubblica?

    io forse non sono in grado di spiegare da dove arrivi la II repubblica, ma credo che ci sia qualche professionista che sia in grado di rispondere a questa domanda senza subire l'influenza della manipolazione politica a cui l'opinione pubblica dovrebbe essere assoggettata.

    in altri termini, credo che queste pressioni poltiche parziali possano avere un impatto sulla percezione storica e sulla memoria storica solo in cicli brevi, mentre nei cicli lunghi è un processo metodologico e scientifico di raccolta ed elaborazione dei fatti, documenti e prove oggettive a prevalere sulle convinzione politico-ideologiche riconducibili ad un dato periodo.
    se questo non fosse vero non avremmo problemi a confrontarci con chi sostiene che la Shoa sia una invenzione

  11. M'inserisco e ritorno all'articolo, riferendomi in primis all'intervento #1 di Dario, ma ovviamente rivolgendomi a tutti.
    Al testo di Roth non bisogna certo dare valore storico, bisogna però comprendere la portata della sua insinuazione. Essa si può riassumere con un mastodontico interrogativo posto sulla famigerata sentenza hegeliana: “Il reale è razionale, il razionale è reale”. Inutile ricordarvi quanto questo genere di determinismo abbia influenzato l'analisi storica. Mettiamoci un bel punto interrogativo e utilizziamo fonti che non siano solo documentarie o fattuali. Quante riflessioni storiche (e di che qualità!) possono essere estratte dal patrimonio letterario e artistico.
    Il caso di Roth lo dimostra. La letteratura gioca con la Storia e la interroga. Cosa succede? Gli storici con formazione statica e iperspecializzata non sono stati in grado di osservare la finezza della sua operazione e si sono ciecamente avventati su di lui. Coloro che si nutrono di cultura ad ampio spettro e che prima di tutto credono nella capacità di lettura, quella vera, l'Ermeneutica, hanno riconosciuto subito la crucialità della questione.
    Per comprendere la Storia l'uomo deve prima di tutto fare i conti con l'imprevedibilità delle sue reazioni, con la PROPRIA FONDAMENALE IRRAZIONALITA'. Da lì, usare TUTTI i suoi saperi per INDAGARE IL CORSO E LA SUCCESSIONE DEGLI EVENTI.

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