Guerra o Pace… e l'America? Un leggero approccio di Relazioni Internazionali
Avete mai giocato a Risiko? Poco male, l'importante è vincere e per vincere non puoi che fare la guerra al tuo vicino. Come vincere? Bé, devi diventare il più forte, la potenza egemone, e ci riesci attraverso alleanze temporanee e vili tradimenti – nonché una buona dose di culo. Ma purtroppo… molto spesso… non appena sei lì lì per raggiungere il tuo obiettivo, un'altra momentanea alleanza fatta di opportunistici stati/giocatori che mirano a diventare egemoni, bilancia il tuo potere frenandoti nella conquista del mondo…. ed il gioco va avanti per ore…
Questa presentata è (più o meno) l'idea di Balance of Power, uno dei concetti più importanti del Realismo, il pensiero di Relazioni Internazionali più antico al mondo. In generale, i seguaci di questa corrente (gente abbastanza rinomata… Machiavelli, Hobbes, Kissinger…) considerano il mondo come “anarchico”; non essendoci un'autorità superiore agli Stati in grado di garantire l'ordine e quindi la loro sopravvivenza, essi vivono in un perenne stato d'insicurezza e la pace non può che essere una momentanea tregua tra infinite guerre.
E la pace quella vera? Bè, la pace quella vera è un concetto abbastanza recente. Solo dalla metà del Seicento nasce infatti l'idea di progresso e la possibilità di raggiungere una pace “perpetua”, grazie ai sempreverdi Locke e Kant. Sono gli anni successivi alla Glorious Revolution britannica, e a questo periodo si può ricondurre l'origine del pensiero Liberale che d'allora si pone come grande controparte a quello Realista.
Ma avviciniamoci all'attualità con un gran balzo sperando di non perdere nessuno. Se la prima metà del novecento vede il realismo come pensiero dominante per l'ovvia vittoria del conflitto sulla cooperazione (I e II Guerra Mondiale VS Concerto Europeo e Società delle Nazioni), con la fine della guerra fredda – non per cause militari ma per la vittoria del modello economico americano su quello sovietico – l'idea del progresso liberale, con il suo fine ultimo di bandire la guerra tra Stati, riprende piede.
Da qui inizia la Storia attuale, almeno per le Relazioni Internazionali, con le conseguenti evoluzioni teoriche.
All'inizio degli anni '90 si parla di Fine della Storia, in quanto il modello americano aveva vinto, e sembrava destinato a continuare a vincere. Attraverso l'esportazione della democrazia liberale occidentale, infatti, gli Stati si sarebbero omologati verso un comune obiettivo di progresso economico apparentemente infinito, favorendo così maggiore cooperazione e pace e la supremazia degli USA.
Nello stesso periodo, un'altra prospettiva molto popolare viene formulata, secondo cui al confronto ideologico – tipico della guerra fredda – si sarebbe sostituito uno scontro tra civiltà, combattuto non con la classica guerra militare tra Stati, ma a livello di società, culture, modelli di vita e tradizioni in un mondo sempre più globale. E lungi dall'avere tutti i torti, questa prospettiva sembra essere confermata all'inizio del nuovo millennio con l'acutizzarsi del terrorismo internazionale e la rampante politica estera di Bush di rottura tra Occidente e Mondo Arabo, di “buoni contro cattivi”.
Secondo altri, invece, dalla fine della II Guerra Mondiale gli Stati Uniti avrebbero intessuto un intricato sistema di cooperazione con i paesi dell'Europa e con il mondo attraverso la creazione delle più svariate Istituzioni Internazionali – ONU, Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale, NATO, Super Bowl etc. etc. – che gli avrebbe permesso di rimanere primis inter paris, i “primi della classe”, ovviamente con tutti i dovuti privilegi. Un'idea nuova, di una potenza che, anziché ricercare la totale egemonia come facevano i vecchi imperi, si “autolimita” consentendo ai suoi alleati di migliorare la loro posizione (l'esempio classico è l'aiuto alla ricostruzione europea post-II Guerra), ma mantenendoli sempre a uno status di partner secondario.
Ma se l'attacco alle Torri Gemelle e le successive guerre in Afghanistan e Iraq avevano rinvigorito l'idea di “scontro tra civiltà”, lo stesso non si può dire per la tesi di potenza autolimitata sopra presentata, pubblicata nel 2001 prima del 11/9 e ulteriormente sminuita dall'insolenza Americana verso le risoluzioni dell'istituzione internazionale per eccellenza, l'ONU. Come dar loro torto, con Bush infatti il ruolo degli Stati Uniti era percepito nel mondo come una volontà unilaterale di porsi come potenza egemone più che come primis inter paris.
Ma adesso Obama? Può davvero cambiare il mondo? Come incide l'attuale crisi economica su tutto ciò? Migliorerà o peggiorerà questo scontro tra culture?
Con l'ascesa di Obama, simbolo di congiuntura inter-culturale, in contemporanea all'esplodere della crisi economica, la prospettiva di un'America costretta ad autolimitarsi ci pare da riprendere in considerazione. Il Presidente americano ha improntato la sua politica estera fin dall'inizio verso la cooperazione e, in più, l'aggravarsi della crisi economica costringe i vari attori in gioco (primi fra tutti gli USA che vogliono continuare a mantenere la loro leadership mondiale) a dialogare verso la ricerca di soluzioni comuni a problemi globali. Mai come oggi inoltre tornano di prima importanza le Istituzioni Internazionali nel favorire la comunicazione, come il passaggio da G8 al G20 ha da poco mostrato.
E quindi? Gli Stati Uniti sono diventati buoni e ci prenderanno per mano verso un mondo migliore?
Mah… una risposta non l'abbiamo, e comunque non in così poche righe. Abbiam provato però a darvi due dritte per farvi una vostra idea. Potete pensare che la Storia è e sarà sempre caratterizzata da guerre e giochi di potere. In questo modo sarebbe ancora una volta l'esistenza
di un pericolo comune (la crisi globale) a spingere gli Stati verso la cooperazione, che però sarà solo momentanea e presto o tardi lascerà di nuovo il posto al conflitto. Oppure potete essere più ottimisti, e pensare che in fondo l'uomo qualche cosa l'abbia imparata in tutti questi secoli e che l'attuale crisi sia un'occasione per fare un passo avanti verso un sistema internazionale basato su una cooperazione duratura anziché sul conflitto.
E allora tendiamo tutti quanti la mano agli Stati Uniti…!?
Questa presentata è (più o meno) l'idea di Balance of Power, uno dei concetti più importanti del Realismo, il pensiero di Relazioni Internazionali più antico al mondo. In generale, i seguaci di questa corrente (gente abbastanza rinomata… Machiavelli, Hobbes, Kissinger…) considerano il mondo come “anarchico”; non essendoci un'autorità superiore agli Stati in grado di garantire l'ordine e quindi la loro sopravvivenza, essi vivono in un perenne stato d'insicurezza e la pace non può che essere una momentanea tregua tra infinite guerre.
E la pace quella vera? Bè, la pace quella vera è un concetto abbastanza recente. Solo dalla metà del Seicento nasce infatti l'idea di progresso e la possibilità di raggiungere una pace “perpetua”, grazie ai sempreverdi Locke e Kant. Sono gli anni successivi alla Glorious Revolution britannica, e a questo periodo si può ricondurre l'origine del pensiero Liberale che d'allora si pone come grande controparte a quello Realista.
Ma avviciniamoci all'attualità con un gran balzo sperando di non perdere nessuno. Se la prima metà del novecento vede il realismo come pensiero dominante per l'ovvia vittoria del conflitto sulla cooperazione (I e II Guerra Mondiale VS Concerto Europeo e Società delle Nazioni), con la fine della guerra fredda – non per cause militari ma per la vittoria del modello economico americano su quello sovietico – l'idea del progresso liberale, con il suo fine ultimo di bandire la guerra tra Stati, riprende piede.
Da qui inizia la Storia attuale, almeno per le Relazioni Internazionali, con le conseguenti evoluzioni teoriche.
All'inizio degli anni '90 si parla di Fine della Storia, in quanto il modello americano aveva vinto, e sembrava destinato a continuare a vincere. Attraverso l'esportazione della democrazia liberale occidentale, infatti, gli Stati si sarebbero omologati verso un comune obiettivo di progresso economico apparentemente infinito, favorendo così maggiore cooperazione e pace e la supremazia degli USA.
Nello stesso periodo, un'altra prospettiva molto popolare viene formulata, secondo cui al confronto ideologico – tipico della guerra fredda – si sarebbe sostituito uno scontro tra civiltà, combattuto non con la classica guerra militare tra Stati, ma a livello di società, culture, modelli di vita e tradizioni in un mondo sempre più globale. E lungi dall'avere tutti i torti, questa prospettiva sembra essere confermata all'inizio del nuovo millennio con l'acutizzarsi del terrorismo internazionale e la rampante politica estera di Bush di rottura tra Occidente e Mondo Arabo, di “buoni contro cattivi”.
Secondo altri, invece, dalla fine della II Guerra Mondiale gli Stati Uniti avrebbero intessuto un intricato sistema di cooperazione con i paesi dell'Europa e con il mondo attraverso la creazione delle più svariate Istituzioni Internazionali – ONU, Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale, NATO, Super Bowl etc. etc. – che gli avrebbe permesso di rimanere primis inter paris, i “primi della classe”, ovviamente con tutti i dovuti privilegi. Un'idea nuova, di una potenza che, anziché ricercare la totale egemonia come facevano i vecchi imperi, si “autolimita” consentendo ai suoi alleati di migliorare la loro posizione (l'esempio classico è l'aiuto alla ricostruzione europea post-II Guerra), ma mantenendoli sempre a uno status di partner secondario.
Ma se l'attacco alle Torri Gemelle e le successive guerre in Afghanistan e Iraq avevano rinvigorito l'idea di “scontro tra civiltà”, lo stesso non si può dire per la tesi di potenza autolimitata sopra presentata, pubblicata nel 2001 prima del 11/9 e ulteriormente sminuita dall'insolenza Americana verso le risoluzioni dell'istituzione internazionale per eccellenza, l'ONU. Come dar loro torto, con Bush infatti il ruolo degli Stati Uniti era percepito nel mondo come una volontà unilaterale di porsi come potenza egemone più che come primis inter paris.
Ma adesso Obama? Può davvero cambiare il mondo? Come incide l'attuale crisi economica su tutto ciò? Migliorerà o peggiorerà questo scontro tra culture?
Con l'ascesa di Obama, simbolo di congiuntura inter-culturale, in contemporanea all'esplodere della crisi economica, la prospettiva di un'America costretta ad autolimitarsi ci pare da riprendere in considerazione. Il Presidente americano ha improntato la sua politica estera fin dall'inizio verso la cooperazione e, in più, l'aggravarsi della crisi economica costringe i vari attori in gioco (primi fra tutti gli USA che vogliono continuare a mantenere la loro leadership mondiale) a dialogare verso la ricerca di soluzioni comuni a problemi globali. Mai come oggi inoltre tornano di prima importanza le Istituzioni Internazionali nel favorire la comunicazione, come il passaggio da G8 al G20 ha da poco mostrato.
E quindi? Gli Stati Uniti sono diventati buoni e ci prenderanno per mano verso un mondo migliore?
Mah… una risposta non l'abbiamo, e comunque non in così poche righe. Abbiam provato però a darvi due dritte per farvi una vostra idea. Potete pensare che la Storia è e sarà sempre caratterizzata da guerre e giochi di potere. In questo modo sarebbe ancora una volta l'esistenza
di un pericolo comune (la crisi globale) a spingere gli Stati verso la cooperazione, che però sarà solo momentanea e presto o tardi lascerà di nuovo il posto al conflitto. Oppure potete essere più ottimisti, e pensare che in fondo l'uomo qualche cosa l'abbia imparata in tutti questi secoli e che l'attuale crisi sia un'occasione per fare un passo avanti verso un sistema internazionale basato su una cooperazione duratura anziché sul conflitto.
E allora tendiamo tutti quanti la mano agli Stati Uniti…!?
Io tendo la mano a Dona e Filippo per l'interessante articolo, bravi!
Personalmente sono sempre sotto l'influenza di Andrea Gilli, mio ex collega a Londra e Realista per eccellenza, quindi sposo la tesi pessimista.
La vera pace tra gli Stati avverra' quando avremo un nemico esterno… i marziani!
Godetevi questi anni, perche' ancora non conoscete i pericoli che si nascondono nel profondo della nostra galassia!
Grazie Philippe.
Non è difficile capire la tua presa di posizione.
Personalmente penso sia importante, a prescindere di quale sia la vera dinamica delle cose, che si sia la continua tensione tra realisti ed idealisti