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Scritto da nel Arte e Spettacolo, Numero 59 - 1 Maggio 2009 | 2 commenti

Gioco: dondolo fieri ninnoli (Non io – Dondolo – Giorni felici)

Teatri di vita. Domenica ventisei aprile duemilanove, ore ventuno.

Tre “buchi” diversi, per dirla con Samuel Beckett, ospitano tre creature femminili partorite dalla mente del suddetto scrittore/regista irlandese.

Partiamo da quello più colorito nella realizzazione del regista Andrea Adriatico: una vasca di forma quadrata riempita completamente di rosse mele, quasi ad evocare la cagion biblica primigenia della rottura dell'armonia fra l'uomo e la donna, è diventata l'habitat di Winnie e del suo vecchio amore, «per dirla nel vecchio stile», Willie.

Winnie è sommersa dalle mele fin sopra alla vita, Willie giace disteso dietro di lei. Entrambi sono nudi. Variazioni di Adriatico che ha amplificato l'aspetto sessuale dell'opera, insito ma certamente più velato.

Non più una donna borghese a far da protagonista, addobbata col classico giro di perle, parasole e cappellino, ma una irriverente Eva Robin's (sarà un caso che l'attrice prescelta per il ruolo di Winnie porti questo nome?).

Dalla sua grossa sporta nera fuoriescono bizzarri oggetti che aiutano à tirer la journée di Eva: uno specchio con cristogramma sul retro e manico a forma di cornetto per allontanare il malocchio, un cappellino da motociclista, rigorosamente rosso, custodia per occhiali piumata… è chiaro il messaggio che Adriatico ha voluto evidenziare: il dramma di Winnie è lo stesso di “Eva”, nonostante la differente estrazione sociale a cui appartengono e nonostante la Winnie del regista bolognese d'adozione viva in un'epoca a noi contemporanea. Come ulteriore conferma dell'attualizzazione dell'ambientazione che ci propone Adriatico, notiamo che l'originaria cartolina tenuta in mano da Willie, è stata sostituita con un I-pod attraverso il quale Willie (Gianluca Enria), durante la maggior parte della durata dello spettacolo, guarda con una certa indifferenza un film porno.

L'attenzione è tutta concentrata sul rapporto di coppia che appare scolorito dal tempo, divenuto unicamente un pretesto per rievocare un passato dove il desiderio era ancora vivo, dove il dialogo tra i due non era ancora stato sostituito dalla sovrabbondanza di parole di Winnie, preziosa risorsa che le permette di riempire, insieme agli oggetti, la sua giornata; e dalla muta risposta di Willie.

Tuttavia la Winnie di Adriatico, così come quella di Beckett, è una donna forte, che ama, nonostante tutto, la vita. Intenerisce l'animo dello spettatore con le sue vane speranze, con il suo ottimismo, dietro al quale si cela la paura di rimaner sola, senza più niente da dire, niente da fare e… tutta la giornata davanti.

Catapultiamoci ora in un'altra ambientazione: al centro di un'altra stanza una grande struttura cilindrica, dalle pareti rivestite di un tessuto bianco semitrasparente ed elasticizzato ospita al suo interno Bocca (Francesca Mazza) e il suo effluvio di parole bisbigliate, pacatamente pronunciate. La protagonista è inizialmente coperta da una tunica nera che le lascia scoperta unicamente la bocca. Solo in seguito la tunica, attaccata sulla parte superiore corrispondente al cranio ad un filo, verrà tirata su.

La componente del “sentirsi tirar su” tipica dei personaggi beckettiani, costretti invece nel loro “buco sotterraneo”, viene qui, a buon ragione, evidenziata.

Delicata la recitazione di Francesca Mazza: mostra una donna spaurita ma che nello stesso tempo non riesce più a controllare una parte del suo corpo che reclama di poter gridare…

Diametralmente opposta la donna di “Dondolo”: la freddezza e la potenza della voce di Angela Baraldi, interprete di “D” rompe il silenzio ed il buio nel quale s'immerge lo spettatore ancor prima che la messa in scena inizi. Dapprima il buio più totale, interrotto unicamente dalla luce rossa lampeggiante della radiosveglia che segnala l'ora. Poi lo spot inizia ad illuminare l'immagine di “D” che avanza lentamente, poggiata immobile ad una sedia in una posizione di tensione muscolare, trasportata da un carrellino tirato da “una mano invisibile”. Man mano che la nuda figura avanza il fascio di luce dello spot rileva resti di rose rosse disseminate sul pavimento.

Tre donne intrappolate nei loro resti.

Tre tentativi immobili di una redenzione che non ci sarà mai.

2 Commenti

  1. ottimo articolo, caratterizzato da una scrittura fluida e incisiva …geniale l'idea dell'anagramma nel titolo che riamanda ai tre lavori..complimenti

  2. Grazie fabrizio!!!
    acuto osservatore…. in realtà l'idea non è stata realizzata interamente in quanto necessitava della collaborazione di qualcuno che masticasse un pò di programmini d'animazione. L'idea originaria era quella di far giocare il lettore con le singole lettere che compongono il titolo per poter risolvere, aiutati dagli indizi dell'articolo, l'anagramma. Purtroppo il poco tempo e le scarse competenze personali in materia informatica non mi hanno permesso di completar l'opera, quindi mi son limitata a metter fra parentesi la soluzione del gioco.

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