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Scritto da nel Media e Cultura, Numero 57 - 16 Marzo 2009 | 0 commenti

Playboy: trasgressione ieri, normalità oggi

Era il 1953: 50 dollari ed una serie di foto scattate alla non ancora leggendaria Marylin Monroe nella cucina di casa del fotografo, bastarono per vendere 50mila copie e fondare il lussurioso impero dell'ex copywriter dell'Esquire Hugh Hefner, Playboy.

Sin dall'inizio la rivista riuscì a fondere garbatamente insieme pornografia (softcore) e cultura: dal mitico paginone pieghevole centrale si passava a spassose vignette, oltre che ad altrettanto apprezzati contenuti "impegnati", tanto da generare lo slogan "Compro Playboy per leggere gli articoli, non per le foto".
Nel 1962 prese il via la rubrica Playboy Interview, una vera e propria istituzione: interviste a personaggi della cultura, sport, cronaca, politica. Tante sono le dichiarazioni e frasi concesse a Playboy poi passate alla storia: "Non sono mai stato a un'orgia. Se ci andassi, mi spedirebbero a comprare panini", Woody Allen; "Chi abusa di droga o alcol finisce male nello spettacolo", John Belushi; "Gesù non era bianco; Gesù era nero", Malcom X; "Se fossi stata coraggiosa avrei ucciso Gheddafi durante l'intervista", Oriana Fallaci; ma la pietra miliare fu senza dubbio la confessione d'aver "guardato molte donne con lussuria commettendo adulterio molte volte nel mio cuore" che fece rischiare la presidenza al candidato (bigotto) Jimmy Carter nel 1976.

Negli anni a seguire la rivista dovette fare i conti con la più furba, sguaiata e trasgressiva concorrenza di Larry Flynt con il suo Hustler. L'immagine angelica di una formosa compagna di gioco (playmate), venne dapprima minacciata da più esplicite e ginecologiche nudità guardate attraverso il buco della serratura, e, in seguito, dall'invasione del porno hardcore negli Anni 70. Per sopravvivere il magazine non potè fare a meno di abbandonare la trasgressione, non più proprio fattore critico di successo, concentrandosi su una nuova immagine più sobria e raffinata, rivolgendosi ad un pubblico culturalmente e socialmente più elevato, perdendo sì quote di mercato ma affermandosi come uno dei marchi più famosi e riconoscibili al mondo: il celebre profilo di un coniglio con papillon; il coniglio fu scelto da Hefner come simbolo per la sua humorous sexual connotation.

Ancora oggi sono milioni le copie vendute, sono però lontane le cifre degli anni d'oro: crisi economica e mezzi di fruizione più moderni e gratuiti (internet) hanno intaccato il business delle conigliette. Ma ciò che più ha influito sul declino è senza dubbio il mutato senso del pudore. Le trasgressive ed inaccettabili nudità degli anni '50-'60 sono oggi normalità. Le foto che un tempo scandalizzavano il mondo, oggi non stimolano più di tanto le fantasie maschili, assuefatte da onnipresenti minigonne svolazzanti, tette e culi televisivi.
Nel corso dei decenni la rivista di Hefner si è dovuta rinnovare e reinventare, con molte difficoltà, in una realtà figlia di quella rivoluzione sessuale di cui è stata essa stessa una degli artefici.

(frasi celebri Playboy Interview tratte da




http://archiviostorico.corriere.it/1993/gennaio/16/Playboy_Impero_dei_sensi_che_co_0_930116209.shtml )

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