Soru vs Berlusconi
La Sardegna in questi giorni è andata alle urne per eleggere il nuovo Presidente della Regione, dopo una campagna elettorale che ha visto contrapporsi due politici entrambi nati da un successo imprenditoriale: Renato Soru e Silvio Berlusconi (il candidato del PdL alla Presidenza della Regione sarda è Ugo Cappellacci, ma un rapido sguardo alla scheda elettorale – dove appare ictu oculi la scritta ‘Berlusconi Presidente’ sul simbolo del partito – e le numerose visite del Presidente del Consiglio nell’Isola nelle ultime quattro settimane rivelano che il vero sfidante del Presidente della Regione uscente sia il Cavaliere).
Per alcuni, i due rappresentano l’uno l’immagine riflessa dell’altro, imprenditori che si sono avvalsi dello status symbol acquisito per entrare in politica, versando entrambi nella situazione conflittuale di chi occupa cariche pubbliche uti privatorum.
Ma cosa hanno in comune davvero Renato Soru e Silvio Berlusconi? Qui di seguito alcuni punti cruciali delle loro storie personali che li distinguono nettamente e che dimostrano come questa equiparazione non sia corretta.
1) Renato Soru, nato 51 anni fa da una famiglia di condizioni modeste, a Sanluri, un paesino dell’interno della Sardegna, è un vero self-made man, la cui fortuna nasce da un’intuizione imprenditoriale. Dopo le prime esperienze nel mondo finanziario milanese, decise di tornare in Sardegna nel 1992. Lì iniziò a collaborare con l’imprenditore cagliaritano Nicola Grauso, creatore di Video On Line, primo internet provider di dimensioni nazionali. Dopo la vendita di Video On Line a Telecom Italia (dalla cui fusione nascerà Tin.it), nel 1998 fondò una società tutta sua: Tiscali. La società fu la prima ad offrire un servizio internet parzialmente gratuito e crebbe fino a diventare il provider informatico tra i più importanti al mondo e la regina delle tlc nella New Economy. Nel 2003, entrato in contatto coi DS, decise di dedicarsi alla politica, creando un proprio movimento denominato Progetto Sardegna, con il quale vinse le elezioni nel 2004.
La storia imprenditoriale di Silvio Berlusconi appare altrettanto avventurosa e coraggiosa ma meno irta di difficoltà sotto certi aspetti: innanzitutto, egli ha cominciato con degli investimenti immobiliari grazie alla fideiussione del banchiere Carlo Rasini (titolare e cofondatore della Banca Rasini, nella quale lavorava il padre di Silvio) e i capitali anonimi di una finanziaria svizzera Finanzierungsgesellschaft für Residenzen AG di Lugano. Inoltre, a differenza di Renato Soru, la vicinanza al mondo politico di Silvio Berlusconi non è così recente. Il suo ampio sostegno al PSI di Bettino Craxi (si ricorderà certamente lo spot di ben 12 minuti girato dalla regista Sally Hunter e mandato in onda sulle reti berlusconiane durante la campagna elettorale nel 1992) fu ricambiato da un’apertura politica rilevante verso le reti private da parte del partito[1]. Questo facilitò non poco la fortuna imprenditoriale del Cavaliere.
2) E, infatti, non solo Silvio Berlusconi ha fatto parte integrante, sebbene in via indiretta, del sistema partitocratrico della Prima Repubblica, ma anche beneficiato di numerosi interventi normativi ad hoc che lo hanno salvato dalla magistratura che – quale idea balzana! – voleva applicare la legge.
Nel 1984, i pretori di Torino, Pescara e Roma avevano oscurato le emittenti del gruppo posseduto da Silvio Berlusconi perché violavano la normativa radiotelevisiva dell’epoca. A partire dal 1981, il gruppo di tv del Cavaliere aveva, infatti, utilizzato la propria rete di emittenti locali come se fosse un’unica emittente nazionale: registrando con un giorno d’anticipo tutti i programmi e le pubblicità e trasmettendo il tutto il giorno seguente in contemporanea in tutta Italia. Questo escamotage utile a fare concorrenza al monopolio della RAI era però illegale: allora le reti private non potevano, infatti, trasmettere via etere su scala nazionale, ma solo a livello locale.
Il salvataggio arrivò con il cosiddetto ‘decreto Berlusconi’ del 16 ottobre 1984, seguito dal ‘Berlusconi bis’ nel successivo 28 novembre. I due decreti permisero di riaccendere le tv oscurate dai pretori che avevano rilevato l’infrazione al divieto di interconnessione. E il ‘condono’ alla situazione abusiva arrivò nel 1990 con la Legge Mammì, che riformando il settore radiotelevisivo, rese legale la diffusione a livello nazionale di programmi radiotelevisivi privati.
La situazione di Rete 4 rimaneva, tuttavia, al limite della legalità anche dopo l’intervento legislativo, soprattutto in seguito all'acquisto della Mondadori da parte di Fininvest. La giurisprudenza, preoccupata per la concentrazione dei mezzi di informazione in corso, si pronunciò in più di un’occasione sulla destinazione del canale. In particolare, la sentenza della Corte Costituzionale n. 466 del 2002 stabiliva che nessun privato potesse avere più di due frequenze radiotelevisive in via analogica terrestre e fissava un limite improrogabile, mai rispettato, il 31 dicembre 2003, per il passaggio di Rete 4 al satellite e/o al cavo. Inoltre, le frequenze sarebbero dovute passare ad un diverso concessionario, vincitore legittimo della gara d’appalto: Francesco Di Stefano, proprietario dell’emittente televisiva Europa 7.
Ancora una volta la politica venne in aiuto di Silvio Berlusconi, questa volta quando già era Presidente del Consiglio, nell’estate del 2003. L’allora ministro per le telecomunicazioni Gasparri presentò un disegno di legge, poi approvato dal Parlamento, per il riordino del sistema radiotelevisivo e l’introduzione del digitale terrestre. La legge, inter alia, consente a Rete 4 di continuare a trasmettere in via analogica.
Tale legge nel luglio 2006 è stata bocciata dall’Unione Europea, che ha aperto una procedura di infrazione ed ha chiesto all’Italia di cambiare la propria legislazione radiotelevisiva, pena una multa di 300.000 Euro al giorno.
3) I critici di Soru sostengono che questi versi nella medesima situazione di confitto di interessi nella quale si trova Silvio Berlusconi. Eppure anche questa affermazione non appare corretta. Per due motivi.
Innanzitutto, la diversità tra Renato Soru e Silvio Berlusconi sta nella consistenza dei loro possedimenti: il primo è proprietario di un quotidiano da 50 mila lettori, L’Unità, mentre il secondo è a capo di un vero e proprio colosso (Mediaset) che fattura all’anno 2286 milioni di Euro, secondo quanto dice la relazione dell’AGCOM del 2007. Ciò differenzia la loro posizione, non solo da un punto di vista quantitativo, ma anche qualitativo. La televisione è, infatti, un mezzo di comunicazione di massa ad ampissimo raggio, non paragonabile ad un giornale, nonostante esso si tratti di una testata diffusa tra il pubblico. Chi possiede emittenti che trasmettono su scala nazionale ha la possibilità di influenzare tutta l’opinione pubblica di un Paese, mentre il proprietario di un giornale può al massimo influenzarne solo una parte.
In secondo luogo, occorre ricordare che il conflitto di interessi in cui versa Berlusconi è scaturito proprio dalla sua ‘discesa in campo’, per non aver ceduto le proprietà di un impero mediatico preesistente.
Renato Soru, al momento dell’elezione a Presidente della Regione, aveva lasciato Tiscali, cedendo la sua partecipazione di controllo del 29,9%. Il conflitto di interessi è nato solo in seguito, quando nel maggio del 2008 ha comprato l’Unità, storica testata giornalistica fondata nel 1924 da un altro sardo, Antonio Gramsci, per salvarla da una grave crisi finanziaria che avrebbe condotto il giornale o alla chiusura o all’acquisto da parte della famiglia Angelucci (proprietaria di Libero e Il Riformista).
Ma a quella data esisteva già una legge in Sardegna, promulgata dalla stessa giunta Soru, che disciplina il conflitto di interessi. Per questo motivo, nel rispetto della legge, il 19 dicembre 2008, Renato Soru, primo ed unico politico in Italia ad aver affrontato la questione, ha ceduto per il tramite di un blind trust tutte le sue partecipazioni azionarie al Prof. Gabriele Racugno, professore di diritto commerciale all’Università di Cagliari.
4) Il framework legislativo che disciplina il conflitto di interesse a livello nazionale e in ambito regionale è, infine, ciò che davvero non lascia alcuno spazio ad analogie.
A livello nazionale il conflitto di interesse per coloro che ricoprono cariche pubbliche è disciplinato dalla legge Frattini n. 215, promulgata il 20 luglio 2004.
Nel 2007, con la consulenza di tre saggi, tra cui spicca il nome di Guido Rossi, ex presidente della Consob, nonché padre della nostra legislazione antitrust, e radicale censore di ciò che egli stesso ha definito nel suo libro “un’epidemia”[2], è stata inserita nella Legge Statutaria sarda una norma (art. 27) che disciplina il conflitto di interesse. La normativa è ispirata alla legislazione canadese che si rese necessaria quando, nel 1994, il costruttore di navi e armatore Paul Martin, attuale premier, divenne ministro delle Finanze.
In cosa si differenziano la normativa nazionale e quella regionale?
La legge n. 215 del 2004 non regola l’incompatibilità tra la carica pubblica e gli interessi potenzialmente in conflitto, ma si limita a prevedere obblighi di astensione in relazione ad “operazioni in potenziale conflitto di interesse”. Obblighi, peraltro, già esistenti nel nostro ordinamento in quanto previsti dal principio di imparzialità dell'azione amministrativa di cui all'art. 97, I comma, della Costituzione.
La normativa regionale, invece, stabilisce che non possono rivestire la carica di presidente, assessore o consigliere regionale coloro i quali abbiano, direttamente o indirettamente, la proprietà o anche solo il controllo di società quotate in mercati regolamentati o un’influenza rilevante in società che possiedano una o più reti televisive o uno o più quotidiani e periodici a diffusione nazionale o regionale. Tale incompatibilità viene meno nel caso in cui venga stipulato di un negozio fiduciario che attribuisce tutti i poteri e i privilegi della partecipazione a un fiduciario. Quest’ultimo deve operare nell’interesse del fiduciante, ma “senza alcun consiglio, direttiva o istruzione” da parte sua. La nomina del fiduciario è sottoposta all’approvazione dell'Autorità regionale garante della trasparenza e dell’etica pubblica, formata da tre persone elette in modo tale da garantire un rappresentante all’opposizione.
La normativa in vigore in Sardegna disciplina dunque in concreto i casi di incompatibilità speciale e si preoccupa di prevenire a monte il conflitto di interessi. Non valuta, di volta in volta, se la singola operazione è in conflitto di interessi, ma fa una scelta ex ante vietando tout court che sia il titolare degli interessi a gestire i propri affari.
Le regole sarde sono quindi più stringenti di quelle nazionali.
É vero, peraltro, che le perplessità non mancano. I capitalisti italiani, infatti, sono spesso padroni senza essere proprietari. In tal senso, l’elezione nel CdA dell’Unità di Emanuele Soru, fratello del Presidente uscente, e proprietario di una società che produce patatine in busta biologiche, le Crocchias, ricorda la scelta del Cavaliere di cedere lo scettro de Il Giornale al fratello Paolo, per aggirare l’impedimento legislativo. É da apprezzare, quindi che, in seguito alle polemiche, Emanuele Soru si sia dimesso dalla carica.
Insomma, Renato Soru e Silvio Berlusconi hanno poco o niente in comune: certamente entrambi non sono due politici, poiché non né hanno la formazione né il linguaggio; eppure il loro modo di comunicare con gli elettori è agli antipodi. Da un lato c’è un istrione, uno strega-folle, un formidabile comunicatore, che parla alla ‘pancia’ delle persone, promettendo loro felicità con la costruzione di centri fitness per la creazione di posti di lavoro. Dall’altro c’è un uomo che appare tagliato con l’accetta, senza fronzoli, austero ed asciutto, che non nasconde alla Sardegna che il futuro prossimo sarà molto difficile ma che propone un vero progetto di rilancio dell’economia dell’Isola.
A poche ore dal risultato elettorale, mi chiedo con preoccupazione quale dei due modelli riuscirà a far presa sugli elettori sardi.
[1] Si vedano alcune delle carte dell’archivio Craxi pubblicato da Repubblica nel 2007.
[2] Si veda G. Rossi, Il conflitto epidemico, Adelphi, 2003.