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Scritto da nel Internazionale, Numero 53 - 16 Gennaio 2009 | 2 commenti

Una sanguinosa campagna elettorale




Il 27 settembre scorso il Manifesto riportava un'inquietante dichiarazione del generale Diab Alì, comandante dei servizi di sicurezza in Cisgiordania: "Se Gaza resterà ribelle, il governo palestinese non avrà altra opzione che far ricorso alla forza" con l'assenso, ha precisato, di Israele, Egitto e Giordania. Che i fatti delle ultime settimane siano conseguenza di un complotto ordito ai danni di Hamas, sulla pelle dei civili di Gaza, è più che un sospetto: è sempre più diffusa l'opinione secondo la quale ANP, Egitto e Giordania abbiano chiuso un occhio sulla decisa iniziativa bellica israeliana, se non addirittura concordato alcune modalità.

L'invasione di Gaza ha il sapore di resa dei conti tra Hamas e Fatah, uscita quest'ultima sconfitta politicamente (2006) e militarmente (2007) dal confronto. La riconciliazione tra le parti è più improbabile che mai, oltretutto poco gradita a Israele, USA ed Europa che hanno finora puntato tutto sul cavallo (perdente) Abu Mazen.

Scadenze politiche sono prossime in tutta l'area con elezioni imminenti, è quindi evidente l'utilizzo del conflitto come critico strumento elettorale:

  • Palestina: il mandato del presidente Abu Mazen cessa nel 2009; da gennaio Hamas non lo riconosce più come presidente ma come semplice segretario di Fatah. Da parte loro, Abu Mazen e ANP sostengono che elezioni presidenziali e politiche si debbano tenere simultaneamente nel 2010.
  • Israele: fallite le trattative per un governo di coalizione condotte dalla Ministro degli Esteri Livni, Israele si avvia alle elezioni anticipate in febbraio. La guerra è ovviamente diventata il primo argomento in campagna elettorale. Gli effetti dell'intervento a Gaza sugli equilibri politici si sono fatti sentire con un forte spostamento a destra di tutti i partiti; il conflitto si sta rivelando un'ottima vetrina soprattutto per l'onnipresente Ehud Barak, Ministro della Difesa e vero artefice dell'invasione, fino a qualche settimana fa considerato un cadavere politico assieme al suo moribondo e disorganizzato Partito Laburista. Rimane comunque per il momento il testa a testa tra Kadima della Livni e il Likud di Netanyahu, quest'ultimo in flessione poiché non protagonista nel conflitto.
  • Egitto: la radicalizzazione dei movimenti islamici è una seria minaccia per il presidente Mubarak, con i Fratelli Musulmani in testa; da qui l'ostilità nei confronti di Hamas, sostenuta apertamente dall'Iran di Ahmadinejad, capace di infiammare la situazione egiziana e di destabilizzare il paese politicamente e socialmente.

L'invasione di Gaza tesa a smantellare il Governo Hamas, oltre che riportare la pace lungo i confini israeliani, non sembra in grado di conseguire l'obiettivo prestabilito, anzi, il rischio è di radicalizzare ulteriormente il movimento palestinese. L'operazione "Piombo fuso" (nome ispirato al dreidel e ad una filastrocca per bambini tipica della festività della Hanukkah) ha indubbiamente indebolito in modo fatale l'apparato militare del Movimento di Resistenza Islamica, ciò non significa che l'esercito più organizzato e spregiudicato al mondo sia in grado di vincere alla fine questa guerra atipica combattuta contro un'inesauribile guerriglia. Opinione di molti analisti è che questa drammatica situazione giochi a vantaggio proprio di Hamas: vinte le elezioni nel 2006 in modo limpido, la sua popolarità è andata via via crescendo in tutta Gaza, e non è da escludere che possa raggiungere una solida maggioranza anche in Cisgiordania, lì dove l'ANP vive grazie alla protezione di Israele e ONU.

La Palestina è politicamente allo sbando, non solo divisa territorialmente tra Gaza e West Bank, ma anche idealmente; un conflitto interno che ha rasentato più volte i confini della guerra civile. Israele a parte, comunque non intenzionata a perseguire la pace, il problema della Palestina è la mancanza di unità e leadership: non può fare esclusivamente affidamento su Hamas concentrata più sulla resistenza che su un progetto politico, nè su Abu Mazen, cadavere politico tenuto in vita dalla comunità internazionale in seguito alla pantomima di Annapolis.

Quindi prioritario ed indispensabile che i Palestinesi trovino rinnovata coesione attorno ad una credibile e forte figura politica. Tra i più accreditati c'è Marwan Barghouthi: anima della Brigata dei Martiri di al-Aqsa e tra i più popolari ex esponenti di Fatah, oggi leader di al-Mustaqbal, è rinchiuso dal 2002 in un carcere di massima sicurezza israeliano condannato a cinque ergastoli, ma, non per questo, tagliato fuori.

 

Per saperne di più sulle elezioni in Israele in febbraio si consiglia:

http://knesset2009.wordpress.com/, un monitoraggio attraverso i media internazionali delle elezioni in Israele

2 Commenti

  1. non è facile scrivere un articolo su questa guerra rimanendo neutrali e dando una fotografia oggettiva della situazione politica.
    davvero complimenti per questo articolo, capace di andare oltre la opinionistica e dare non poche informazioni spesso difficili da reperire sugli stessi giornali nazionali, molto più interessati allo scalpore o al conteggio dei morti..
    complimenti

  2. e chiaramente complimenti ai ragazzi del blog Knesset2009 dove son sicuro buona parte di queste informazioni siano state reperite

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