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Scritto da nel Arte e Spettacolo, Numero 53 - 16 Gennaio 2009 | 0 commenti

Ho licenziato Dio – Circolo Pavese

Ascoltando le canzoni di De Andrè, dalle più semplici e intuitive a quelle che presentano una forma poetica più complessa, tematiche ed immagini più profonde, non si può che cogliere tutto il suo amore per gli uomini, soprattutto per i vinti, che soccombono prematuramente al peso della condizione umana, la morte. Di fronte a questa tutti gli uomini sono vinti, e di fronte a questa tutti gli uomini sono uguali. Su questi due elementi, l'uomo e la morte, De Andrè costruisce uno dei suoi primi album, Tutti morimmo a stento, uno dei più appassionati. I personaggi di questo disco, i drogati e gli impiccati, si scontrano con la crudezza della loro condizione e giunti all'apice della disperazione, stretti dalla morsa della loro esistenza, si dichiarano in un loro “testamento”, che è forse più una maledizione dall'”odore del sangue rappreso”. Invocano e accusano chi in vita non ebbe pietà, e li ammoniscono dell'incombenza della morte, che li guarda crescere “come crescere il gran guarda il villano”.

Il bisogno di esprimersi, di rivolgersi ad altri uomini o a ciò che uomo non è, nel momento in cui ci si ritrova al cospetto della miseria, della vana ricerca o della disillusione di una giustizia finale, è presente in molti dei personaggi cui De Andrè da voce. E' un elemento che attraversa trasversalmente i suoi album, come poi molte delle sue tematiche, sempre strettamente connesse tra loro. A partire da Preghiera in Gennaio, nella quale è De Andrè stesso a pregare Dio affinché accolga fra le braccia l'animo di un suo amico, un vinto. La dolcezza e la poesia della canzone, nonché la scelta che fosse il brano di apertura del suo primo disco, fanno di questa canzone qualcosa di straordinario, non solo per l'omaggio fatto all'amico, ma perché in esso si trovano già tutte le tematiche più importanti della pensiero di De Andrè: l'uomo, la morte, l'ingiustizia sociale, la preghiera, Dio.

Ma De Andrè non canta solo l'affanno e la miseria. Canta anche la speranza nell'uomo. E' questa speranza che sta alla base de La Buona Novella, disco uscito appena un anno dopo Tutti morimmo a stento, in pieno 1968. Amore, giustizia e perdono sono parti di un concetto più ampio, l'umanizzazione di Cristo. La possibilità che Gesù si possa imitare; e quindi la possibilità di un miglioramento. E chi se non il più grande rivoluzionario della storia poteva incarnare questa speranza. Anche lungo questo percorso, i personaggi, trovandosi al cospetto della morte, si rivolgono a qualcun altro. E' il caso delle madri che si rivolgono ai figli, di Tito e Dimaco, degli umili e gli straccioni nella magnificenza del loro Laudate Hominem.

Il dialogo con Dio e con gli altri uomini si ritrova lungo i vari cammini che De Andrè ci propone nelle sue melodie. E' il caso dei morti di Spoon River, ripresi da De Andrè in Non al denaro non all'amore né al cielo, che dalla tomba, oramai spogli delle costrizioni sociali terrene, si raccontano. Ma è anche il caso di Berto, in Canzone del Padre, che colto dal disagio dell'isolamento scappa via ammonendo Dio “di continuare a farsi i fatti suoi”.

Nella sua ultima opera, Anime Salve, De Andrè ci propone forse un ultimo stadio di questi dialoghi dell'uomo, quello con se stessi. Motivo conduttore di tutto il disco è, infatti, la solitudine.

“L'uomo si confronta nella solitudine per il contatto che può trovare con tutte le (…) voci che gli arrivano dal subconscio e da quell'Anima Universale di platoniana memoria”. Mi sono spiato illudermi e fallire/ abortire i figli come i sogni/ mi sono guardato piangere in uno specchio di neve/ mi sono visto che ridevo/ mi sono visto di spalle che partivo. Dagli occhi della maturità, De Andrè sembra dirci che la libertà e la signorina anarchia sono raggiungibili, che esistono delle Anime Salve che viaggiano in direzione ostinata e contraria. E qui finisce come iniziò, con una preghiera, smisurata questa volta, rivolta a Dio e alla Fortuna, a cui si chiede di perdonare questi servi disobbedienti alle leggi del branco.

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