Dall'Antologia di Spoon River
Spesso mi sono chiesta se una semplice canzone potesse aiutarci a “capire”, mi sono chiesta se realmente potesse fornire delle riposte a quella miriade di domande che popolano la nostra esistenza umana, se oltre ad emozionare fosse capace di scuotere le coscienze e farci comprendere un po' più del mondo che ci circonda. Ripensando alla mia adolescenza e a ciò che nella mia adolescenza, in quel periodo così magico e travagliato, è stato Fabrizio De Andrè, non posso che rispondere sì. De Andrè per molti di noi non è stato semplicemente un cantautore ma uno strumento attraverso il quale conoscere o meglio comprendere la storia, la poesia, la realtà che ci circonda. Attraverso le sue canzoni abbiamo imparato i versi di Villon, Masters, Mutis, abbiamo conosciuto le canzoni di Cohen e Brassens, siamo entrati in contatto con le diverse realtà della storia contemporanea. Sulla sua Cattiva Strada ci siamo innamorati, abbiamo pianto, abbiamo urlato, abbiamo riso, ci siamo persi e poi ritrovati, siamo cresciuti. Questo nostro omaggio a Fabrizio De Andrè, all'uomo e al poeta, altro non è che il dovuto ringraziamento a chi forse non ha cambiato la nostra vita ma certo la resa un po' migliore.
Da l'Antologia di Spoon River a Non al denaro, non all'amore né al cielo
Era il 1914, l'anno in cui Edgar Lee Masters iniziò a pubblicare sul “Redy's Mirror” di St. Louis l'Antologia di Spoon River sotto forma di singoli epitaffi, il successo fu tale che lo scrittore decise di abbandonare per sempre l'avvocatura e dedicarsi esclusivamente alla poesia. Altrettanta fortuna, l'autore americano, raccolse in Italia, ma la storia della pubblicazione nel nostro paese è alquanto particolare. Durante il ventennio fascista, periodo nel quale la letteratura americana era ovviamente osteggiata dal regime, Cesare Pavese regalò una copia dell'Antologia di Spoon River a Fernanda Pivano, allora adolescente, che gli aveva chiesto quale fosse la differenza tra letteratura inglese e americana. Per la Pivano fu un colpo di fulmine. Quasi per capire meglio le poesie, per conoscere più a fondo i personaggi, iniziò a tradurre in italiano l'opera di E.L. Masters e quando un giorno, nel 1943, Pavese scoprì in un cassetto il manoscritto, convinse Einaudi a pubblicarlo.
Per evitare la censura del Ministero della Cultura Popolare, il titolo fu cambiato in Antologia di S. River, e l'opera dello scrittore americano spacciata per una raccolta di pensieri di un quanto mai improbabile San River. Da allora l'Antologia di Spoon River non ha mai smesso di essere letta, intere generazioni hanno vissuto quello stesso colpo di fulmine che per prima visse Fernanda Pivano, e ciò che ancora oggi a distanza di quasi un secolo dalla sua nascita, la rende d'incredibile attualità è quella sua capacità di raccontare attraverso il microcosmo di Spoon River un macrocosmo cui tutti noi apparteniamo.
Edgar Lee Masters scelse 244 personaggi per raccontare la storia della vita umana. Ognuno di loro personifica un mestiere, una categoria e attraverso di esse una tipologia di uomo. Per fare ciò s'ispirò a uomini e donne realmente esistiti, gli abitanti di Lewistown e Petesburg, due piccoli paesi vicino a Springfield, tanto da suscitare le ire delle persone che riconobbero i lori vizi privati pubblicati in un libro. Ogni poesia, sotto la forma dell'epitaffio, racconta la vita del personaggio da cui prende il titolo, la peculiarità sta nella totale assenza di censura morale poiché essendo i protagonisti ormai morti, non temono di raccontare la più cruda verità. I monologhi s'intrecciano fra loro, le diverse storie corrono su binari paralleli, talvolta si affiancano sino a sovrapporsi, ciò che ne deriva è da un lato il ritratto della società americana d'inizio secolo, nelle fredde tinte dell'ipocrisia e del falso perbenismo, dall'altro l'affresco delle più ampie problematiche umane: il senso della vita, l'amore, le costrizioni della società.
Nel 1971 Fabrizio De Andrè fra le 244 poesie dell'Antologia di Spoon River, ne scelse nove e le trasformò in canzoni, dalle quali nacque l'album Non al denaro, non all'amore né al cielo. “Spoon River l'ho letto da ragazzo, avrò avuto diciott'anni. Mi era piaciuto, e non so perché mi fosse piaciuto, forse perché in questi personaggi ci trovo qualcosa di me. Poi mi è capitato di rileggerlo, due anni fa, e mi sono reso conto che non era invecchiato per niente. Soprattutto mi ha colpito un fatto: nella vita, si è costretti alla competizione, magari si è costretti a pensare il falso e a non essere sinceri; nella morte, invece, i personaggi di Spoon River si esprimono con sincerità, perché non hanno più da aspettarsi niente, non hanno più niente da pensare. Così parlano come da vivi non sono mai stati capaci di fare.”
Di Edgar Lee Masters, De Andrè, conservò la poetica ma i personaggi di Spoon River persero la loro individualità per elevarsi a emblema di una particolare condizione umana. Non a caso mentre nell'opera originale ogni poesia ha come titolo il cognome e nome del suo protagonista, nell'album del cantautore genovese le canzoni hanno titoli generici (Un giudice, Un matto etc…). I testi di E.L. Masters furono in parte riscritti, ampliati, adattati alle musiche (curate da un allora giovanissimo Nicola Piovani). De Andrè diede ai versi di Spoon River una nuova vita, li spogliò dei legami col proprio tempo e li ricoprì della veste dell'attuale, senza mai tradirne, tuttavia, l'originale essenza.
I personaggi nati dalla penna di Masters divennero i suoi, li prese per mano e li accompagnò lungo un cammino di quasi sessant'anni; si avvicinò loro con quella sensibilità che da sempre lo contraddistinse, la sensibilità propria dei grandi poeti. Fernanda Pivano confessò pubblicamente di preferire le poesie di De Andrè a quelle di Masters, e pur non amando i confronti è innegabile il merito di De Andrè nell'aver fatto conoscere Spoon River anche a chi non aveva mai sentito parlare del suo autore.
Tra gli otto personaggi scelti dall'Antologia, uno solo conservò in Non al denaro, non all'amore né al cielo la sua identità: il violinista Jones. L'alter ego di Faber, quello in cui più di ogni altro si riconosceva. L'unico che non fu possibile ridurre ad una categoria perché l'unico capace di compiere una scelta diversa rispetto al resto della comunità: la libertà. La libertà di fare per tutta la vita ciò che amava di più, senza mai cedere ai doveri che la società impone.
A chi ha amato Fabrizio De Andrè, così come a chi ha amato Edgar Lee Masters, credo piaccia ricordare questi due grandi poeti del '900 come due esempi di suonatore Jones: uomini con tanti ricordi e nemmeno un rimpianto.
Fiddler Jones
(Edgar Lee Masters)
The earth keeps some vibration going
There in your heart, and that is you.
And if the people find you can fiddle,
Why, fiddle you must, for all your life.
What do you see, a harvest of clover?
Or a meadow to walk through to the river?
The wind's in the corn; you rub your hands
For beeves hereafter ready for market;
Or else you hear the rustle of skirts
Like the girls when dancing at Little Grove.
To Cooney Potter a pillar of dust
Or whirling leaves meant ruinous drouth;
They looked to me like Red-Head Sammy
Stepping it off, to “Toor-a-Loor.”
How could I till my forty acres
Not to speak of getting more,
With a medley of horns, bassoons and piccolos
Stirred in my brain by crows and robins
And the creak of a wind-mill–only these?
And I never started to plow in my life
That some one did not stop in the road
And take me away to a dance or picnic.
I ended up with forty acres;
I ended up with a broken fiddle–
And a broken laugh, and a thousand memories,
And not a single regret.
Il suonatore Jones
(traduzione di Fernanda Pivano)
La terra ti suscita
vibrazioni nel cuore: sei tu.
E se la gente sa che sai suonare,
suonare ti tocca, per tutta la vita.
Che cosa vedi, una messe di trifoglio?
O un largo prato tra te e il fiume?
Nella meliga è il vento; ti freghi le mani
perché i buoi saran pronti al mercato;
o ti accade di udire un fruscio di gonnelle
come al Boschetto quando ballano le ragazze.
Per Cooney Potter una pila di polvere
o un vortice di foglie volevan dire siccità;
a me pareva fosse Sammy Testa-rossa
quando fa il passo sul motivo di Toor-a-Loor.
Come potevo coltivare le mie terre,
- non parliamo di ingrandirle -
con la ridda di corni, fagotti e ottavini
che cornacchie e pettirossi mi muovevano in testa,
e il cigolìo di un molino a vento – solo questo?
Mai una volta diedi mani all'aratro,
che qualcuno non si fermasse nella strada
e mi chiedesse per un ballo o una merenda.
Finii con le stesse terre,
finii con un violino spaccato -
e un ridere rauco e tanti ricordi,
e nemmeno un rimpianto.
1 Fabrizio De Andrè, dalle note di copertina di Non al denaro, non all'amore né al cielo.