Bologna e Rimini – Mammuth
A 10 anni esatti dalla morte, l'iniziativa di portare la musica e la lezione poetica ed esistenziale di Fabrizio De Andrè in Via del Pratello, nasce in primo luogo da una nostra propensione prerazionale, ovvero dall'amore incondizionato nei confronti del cantautore genovese.
Tuttavia, accanto a questo giudizio puramente estetico, ci è sembrato di scorgere diverse analogie tra l'umanità con cui Faber ha saputo tratteggiare la sua cattiva strada, animata da alcolizzati, da vecchi professori in cerca di un'ora d'amore, da prostitute e da suonatori Jones, e quello che il Pratello rappresenta, o meglio ha rappresentato, per svariate generazioni di bolognesi.
È infatti in questo scorcio di centro storico, che accanto ai tradizionali avventori delle osterie, si concentrano di giorno come di notte, figure caratteristiche capaci di animare con le loro stranezze il fluire di un microcosmo ordinato nel suo disordine: gli urli sguaiati della contessa scosciata e decaduta, la birra o la sigaretta offerte immancabilmente a Pigi, il suonare Serroni che almeno di fama tutti i bolognesi hanno conosciuto, sembrano altrettante trasposizioni di quello spirito che Faber ha saputo infondere nelle sue ballate più riuscite. L'analogia che intercorre tra il vecchio professore ed il matto che in Non al denaro non all'amore nè al cielo provò ad imparare la Treccani a memoria, ed il folclore incarnato da questi personaggi reali, si palesa con evidenza a chiunque abbia saputo amare l'umanità cristallina che traspare dalla Città vecchia.
Pertanto, se da un lato la nostra iniziativa può essere letta attraverso un parametro meramente estetico: il tributo che nel nostro piccolo vogliamo offrire al maggiore poeta e compositore italiano del secondo dopoguerra, non è però corretto tralasciare la problematica attualizzazione dei suoi testi, come tutti i capolavori, senza tempo. In un periodo di legalità urlata e puntualmente applicata con provvedimenti draconiani, ci è sembrato artisticamente rilevante e pragmaticamente utile, osservare la filigrana di quanto sta accadendo sulla cattiva strada bolognese, attraverso quel pentagramma intessuto di umanità che da Brassens e Dylan porta a Leonard Cohen o all'Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters.
Gi echi letterari e musicali della poetica di Faber si disperdono in svariate direzioni, così come i possibili tentativi di lettura incentrati di volta in volta su singoli nuclei tematici, come l'umanizzazione del Cristo, la parabola dei reietti o gli amori infelici. Esistono tuttavia, almeno un paio di elementi capaci di ricondurre all'unità un marasma indefinito di suggestioni che si muovono dal pensiero anarchico di Bakunin alla poesia di Cohen: la grande umanità che emerge in modo cristallino nel dipingere l'universo degli emarginati, e l'originalità di un pensiero, quasi mai accodato a quello dominante.
All'interno della vasta produzione del cantautore genovese, l'album Rimini (1978) dove affluiscono le canzoni scritte con Massimo Bubbola, non sfugge a quelle caratteristiche che rappresentano appunto una sorta di marchio autoriale nelle composizioni di Faber: l'album, e in particolare la canzone principale, si conficcano, non senza una certa pietas, nella carne della piccola borghesia dell'epoca, nelle sue piccole crisi d'identità, nel suo piccolo mal male di vivere, nelle sue piccole vigliaccate.
Nonostante la varietà trasversale dei temi trattati: dal nomadismo di Sally agli indiani metropolitani di Coda di Lupo, dalla grettezza di Rimini all'amore omosessuale di Andrea (che inizialmente si chiamava Lucia) o ancora alla trasposizione italo-napoletana di Romance in Durango di Bob Dylan, il filo conduttore è riscontrabile per il co-autore Bubbola nel ritratto indecoroso che scaturisce della piccola borghesia italiana. Una borghesia raccogliticcia, di etnie e culture diverse, che si era compattata sui valori di un cattolicesimo spesso molto ipocrita, frainteso e di maniera. [...] Una borghesia molto diversa da quella francese fatta] di ex bottegai, molto limitata e molto ignorante.
Nella prospettiva brevemente tracciata da Bubbola, il dio fatti il culo (Coda di lupo), non è poi così diverso dal giocare con gli zingari del bosco (Sally), infatti, queste sono le diverse facce della medesima moneta, e rappresentano altrettante forme di rifiuto aprioristico ed estetico, delle scommesse sulla figlia del droghiere (Rimini).