Giù le mani dal Pratello
Vi sentireste più sicure a camminare in mezzo ad altre persone o in una strada vuota e abbandonata? Preferireste traslocare in un quartiere dormitorio di periferia senza negozi, senza servizi e senza traccia di socialità o in una strada viva, animata da musica, attività culturali e soprattutto persone? Visitereste Berlino, Barcellona, Rotterdam, città culturali, creative, in continuo cambiamento, o preferireste forse andare a Piacenza?
Siete una compagnia teatrale o un gruppo musicale che deve organizzare una tournee, una società di formazione o un’agenzia di comunicazione che deve aprire una nuova filiale, un consorzio di imprese che vuole organizzare una grande fiera, del libro, di motori o di prodotti biologici. Verreste a Bologna, città con Università, infrastrutture, rivenditori e tanti studenti, o andreste in una città come Bologna, ma senza Università, senza infrastrutture e senza giovani?
Esiste una risposta ragionevole a tutte queste domande, ma non esiste una risposta universalmente esatta. Potrebbe benissimo esistere qualcuno che a Berlino preferisce Piacenza, che ad un quartiere affollato preferisce un tranquillo quartiere di periferia con comodo parcheggio vicino casa. Queste scelte sarebbero dettate dalle proprie preferenze ed esigenze. Sarebbero scelte pienamente legittime e, come tali, andrebbero rispettate.
Quando a scegliere è però il sindaco di una città, e non un comune cittadino, allora ci si aspetta che certe decisioni siano prese non in base ad interessi personali, ma pensando a quel che è meglio per la città, coerentemente ad una visione di sviluppo e cambiamento. E speriamo diversa da quella che Cofferati ha riservato per Bologna, una città dove proposta politica significa divieto, progetti ed idee significano burocrazia e cultura significa assenza di fondi.
L’ordinanza del 7 novembre, con cui l’ormai ex-sindaco Cofferati ha imposto a cinque locali di via del Pratello la chiusura forzata alla ore 22.00, è (speriamo) l’ultima scelta arrogante ed impopolare che danneggia Bologna ed i suoi cittadini. Perché una strada piena di locali e persone è una strada più sicura, perché dove ci sono studenti ed attività commerciali c’è maggiore ricchezza, culturale ed economica.
Giuridicamente questa ordinanza sembra poi paradossale, perché legalmente ogni persona è responsabile solo delle sue azioni e non può essere punito per presunti reati commessi da terzi. Le attività commerciali non hanno la responsabilità di pulire le strade, per quello c'è l'HERA, e la colpa è di chi la sporca (o non la pulisce). Attrezziamo piuttosto Via del Pratello con più campane di vetro (quelle che ci sono, sono sempre piene, a dimostrazione che il Pratello ricicla), introduciamo la pratica dei vuoti a rendere. Non è nemmeno responsabilità dei locali se i clienti, dopo aver consumato, disturbano continuano a vivere la città come fosse giorno, con schiamazzi o fiumi di urina. La colpa è dei singoli o di chi non fa rispettare leggi già esistenti. Utilizziamo doppi vetri, costruiamo vespasiani pubblici, ma non chiudiamo i pochi bagni pubblici che i bar ci offrono.
Ma d’altronde si potrebbe condannare la FIAT perché un autista imprudente, dopo aver acquistato una Panda, fa un incidente in autostrada causando morte e danni? Potremmo chiedere la chiusura del mercato del pesce perché gli abitanti sono disturbati dalla puzza mattutina e da un eccessivo affollamento dei clienti? Potrei esigere la chiusura dello stadio perché mi impedisce la domenica di circolare tranquillamente e senza traffico nelle strade della mia città? Potremmo chiedere la chiusura di ferrovia e aeroporto perché chi vive nelle adiacenze non riesce a dormire a causa del passaggio di treni e aerei? Anche in questo caso c’è un conflitto di libertà e di interessi, che tuttavia non si traduce in chiusura forzata.
Ringraziamo però il sindaco uscente per questa preziosa ordinanza che ci lascia in eredità, perché meglio di qualunque analisi può sintetizzare la sua politica in questi ultimi cinque anni, la sua visione per la nostra città.
Con Cofferati abbiamo assistito alla scomparsa di spazi sociali nel centro storico, al prevalere dell’imposizione sul dialogo, all’utilizzo strumentale di Bologna come cassa di risonanza per la sua autorevole/autoritaria figura. Sfruttando cavalli di battaglia giusti come la legalità Cofferati è riuscito a far parlare di sé, ha alzato grandi polveroni finiti nel nulla. I lavavetri sono ancora ai semafori, i rumeni stanno peggio di prima, sono solo stati allontanati, le biciclette vengono rubate oggi come ieri, ma diversamente da cinque anni fa nelle strade si vende più eroina e più cocaina. Gli affitti in nero spremono ancora gli studenti fuori sede, gli appalti pubblici non sono diventati più trasparenti, l’inquinamento e il traffico è diminuito in centro, ma aumentato più che proporzionalmente fuori dalle mura. La città non è più sicura, gli interessi privati prevalgono ancora su quelli pubblici. Le multe sono aumentate, e gli incassi della rimozione forzata Delfiore pure-
E infine ringraziamo Cofferati per questa ordinanza che ha risvegliato la “rabbia” nei nostri cuori, per difendere ciò che riteniamo nostro, la nostra libertà, i nostri spazi conviviali, la nostra Bologna, e quello che la rende unica, il nostro modo di viverla.
Diceva Pasolini che di fronte alla piccolezza della borghesia italiana, anche la rabbia contro questa borghesia non poteva che essere piccola e provinciale. Solo di fronte a una monarchia secolare come quella britannica poteva nascere il movimento anarchico punk, solo in una società equilibrata come quella danese poteva nascere un movimento dirompente come il DOGMA.
Ad ogni azione una reazione uguale e contraria, e con il suo realismo magico il Pratello ha saputo trasfomare quest’assurda ordinanza in un un unico grande amore spontaneo, armato di sola musica. Non era un rave come denuncia il comitato “Al Crusel”, risoprannonimato “al strazzamaron”, ma una festa pacifica. Non c’era violenza, ma socialità. Ci siamo, anche se chiudete i nostri luoghi.
Hanno ammazzato il Pratello, il Pratello è vivo!!
Quando sono arrivato l'altra sera al Pratello non credevo ai miei occhi, sembrava di essere in un film in bianco e nero, in un'altra epoca, un'altra città, non certo la Bologna dei giorni nostri: da un capo all'altro della via, ultimamente abituato a vederla popolata più facilmente da poliziotti che da persone, un'enorme folla festosa e urlante. Erano persone rumorose, persone vere, fatte di carne, ossa, sangue, che senza prendersi troppo sul serio esprimevano la loro definizione di questo 'degrado' che le ordinanze pretendono di combattere. Ci è molto chiaro che il punto non è il degrado; non si tratta (solo) di una faccenda di sporcizia, punkabbestia, diritti dei residenti, ma di qualcosa di più grande: si tratta di voler reprimere, con mezzi possibilmente ritenuti accettabili o condivisibili dai più, la naturale ed evidentemente pericolosa propensione umana alla socialità. Le persone, l'altra sera al Pratello, erano tante e diverse, e diversi erano i malumori, le età e le situazioni particolari di ciascuno, ma hanno dato vita ad una bella e arrabbiata festa di strada. Le improvvisazioni teatrali e musicali, i personaggi pittoreschi del Pratello, la percezione di un'umanità sveglia ed autentica mi hanno confortato ed emozionato. Ovviamente, è cosa relativamente facile riunire persone ed entusiasmi per una serata; altra cosa è mantenerli vivi questi entusiasmi, non cedendo alla pigrizia e allo scorrere indisturbato delle cose. Ma è necessario continuare, ne va della salvaguardia della nostra intelligenza e libertà.
Bellissimo articolo…