Dalla bolla degli eccessi al crack
“Con la finanza, tu puoi cambiare il mondo” è lo slogan della nota società di consulenza McKinsey per reclutare una miriade di giovani laureati costretti a mettere in un cassetto i due insegnamenti più importanti ricevuti dallo studio della finanza “utile” per l'economia reale: il primo è che non esistono pasti gratis in finanza, il secondo è che il valore si crea solo sul lato delle attività – organizzando lavoro, beni e conoscenza – e non sul lato delle passività. E in effetti questa finanza ha avvelenato l'epicentro finanziario, gli Stati Uniti, ormai contaminato da quattro eccessi: quello dei debiti delle famiglie arrivati a toccare punte del 131% del reddito disponibile; quello delle speculazioni finanziarie attraverso l'esposizione su strumenti derivati senza finalità di copertura dal rischio (se sono un produttore di pasta è auspicabile contrarre un future che mi garantisca l'acquisto di grano a un prezzo fissato oggi, se sono un risparmiatore l'acquisto dello stesso prodotto derivato costituisce un aumento del livello di rischio e di potenzialità di guadagno) e soprattutto la diffusione della tecnica dello short selling (possibilità di vendere titoli non in possesso, se si ritiene che il prezzo scenderà, con l'obbligo di acquistare titoli e consegnarli al compratore entro una certa scadenza); quello della cartolarizzazione dei prestiti che ha consentito alle banche erogatrici di creare pericolosi cocktail finanziari e di spalmare il rischio ad altri soggetti sparsi in tutto il mondo, con la collaborazione delle agenzie di rating e di alcune modalità discutibili quanto a trasparenza sul mercato; quello dei bassi tassi di interesse che, in questi anni di politica monetaria accomodante nei confronti delle scelte governative, ha spinto cittadini a compiere arrischiate operazioni di indebitamento e di rincorsa della bolla immobiliare nell'incantesimo di un costo del denaro reale (tasso nominale meno l'inflazione) nullo o addirittura negativo. In poche settimane gli americani hanno sfatato due miti: anche una banca commerciale, e non solo l'impresa, può fallire e anche il capitalismo ammette salvataggi. In termini meno scontati, il capitalismo americano non fa sconti alle imprese e ai cittadini, ma salva chi fa più danni. Tuttavia, in questo contesto di eccessi e legali pasticci finanziari l'Italia può considerarsi salva o spacciata? Le banche italiane sono ancora le uniche protagoniste del finanziamento dell'esplosione della domanda e dell'offerta del mercato residenziale: sebbene nell'ultimo decennio parecchie risorse siano state prosciugate all'attività produttiva, a favore dell'immobiliare, rispetto ad altri paesi europei hanno adottato politiche prudenziali nell'erogare nuovi prestiti. A tal fine conta poco se abbiano intenzionalmente voluto questo effetto, oppure, con maggiore probabilità, se sia stata una conseguenza dell'arretratezza del sistema finanziario domestico. Inoltre, l'Italia sembra avere approfittato poco del decennio d'oro (1997-2006) per il real estate, costruendo nuove abitazioni per un volume tre volte inferiore a quello spagnolo. Così, oggi, risulta piuttosto improbabile che le quotazioni possano ridimensionarsi per eccesso di offerta (come in Spagna) e neppure è probabile un eccesso di offerta originato da case messe all'asta dalle banche creditrici di mutuatari insolventi (come in Usa) poiché l'indebitamento delle famiglie italiane è strutturalmente inferiore a quello statunitense. Sono però molti i lati oscuri. Negli ultimi anni le banche italiane hanno cambiato il loro mestiere, aumentando enormemente l'attività di compravendita di titoli tanto da ritrovare nel loro stato patrimoniale odierno consistenti strumenti finanziari di origine statunitense. Inoltre, molti imprenditori italiani hanno preferito sempre di più investire liquidità sul mercato finanziario anziché in attività reali considerate più incerte e rischiose ed oggi si trovano nella stessa condizione di azionisti di banche in difficoltà e di obbligazionisti di titoli tossici. L'Italia è salva da una propria crisi finanziaria, ma resta assolutamente appesa al crollo finanziario statunitense e a un'economia reale che fatica a riprendere.