Un applauso a Tremonti
La fama di Giulio Tremonti, più che alle sue presunte qualità di uomo politico, è per i molti detrattori maggiormente legata alle spassose gag di Corrado Guzzanti, che di volta in volta l'ha ritratto come un impaurito Trintignant seduto nella mitica cabriolet de il sorpasso, condotta da un improbabile Bossi-Gassman, o come uno schizofrenico e compulisvo giocatore di video poker, intento a reperire le finanze per il suo ministero.
Tuttavia, e il merito quando si palesa bisogna riconoscerlo a chiunque, la settimana scorsa il Ministro dell'Economia ha puntato i piedi minacciando le proprie dimissioni, qualora l'articolo 7 bis inserito nella Legge di conversione del decreto Alitalia, di cui inizialmente nessuno aveva rilevato la portata eversiva, fosse passato al vaglio del Senato.
A volere essere precisi, la portata destabilizzante del decreto era stata in un primo tempo segnalata unicamente dagli autori di Report, ai quali si era poi accodato con un'inchiesta il quotidiano Repubblica, e quindi, finalmente, l'opposizione si è accorta di quanto stava succedendo in Parlamento.
Nello specifico, l'articoletto in questione modificando la Legge Marzano sui salvataggi delle grandi imprese e la Legge sul Diritto Fallimentare del 1942, stabilisce che per essere perseguiti penalmente in seguito ad una mala gestione aziendale, occorre che l'impresa si trovi in stato di fallimento. La differenza con la precedente normativa, dove insolvenza, fallimento e amministrazione controllata erano di fatto equiparate, non è di poco conto: infatti, se l'azienda è guidata da un commissario, nessun pubblico ministero potrà più mettere sotto processo chi ha determinato la crisi.
Ovviamente il decreto ad hoc era finalizzato al baratro Alitalia, tuttavia le implicazioni si dipanavano nei meandri di svariati processi, basti pensare come ad esempio, i crack Parmalat Cirio e Capitalia, e quindi Tanzi Cragnotti e Geronzi avrebbero goduto di un salvacondotto grazie al quale sarebbero usciti pressoché indenni, dalle relative vicende giudiziarie.
Se da un lato era prevedibile, che l'opposizione capitanata da Di Pietro cavalcasse una simile vicenda, l'aspetto meno prevedibile riguarda invece il coraggioso diktat di Giulio Tremonti: quell'emendamento è fuori dalla logica del governo: o va via quell'emendamento o va via il ministro dell'Economia.
In ultima analisi, se la maggioranza di Governo continua a promulgare decreti che sanciscono le più svariate impunità, anche in un periodo come quello attuale dove il sentimento popolare è quantomeno ostile nei confronti della finanza creativa, e se in sovrappiù il favore viene misurato in termini di sondaggi, cosa che farebbe impallidire qualsiasi legislatore da Licurgo in poi, non si può che salutare favorevolmente l'operato di Tremonti, perché almeno in questo frangente, è stata l'unica voce a differenziarsi dal coro di stonati seduto nei banchi della maggioranza.
In effetti più che all'Onore per Tremonti (concetto a me molto caro), questa occasione mi fa pensare ad un teatrino dove la mano destra bacchetta la mano sinistra per ottenere il plauso popolare.
Chi avrebbe infatti inserito l'emendamento di nascosto? Un professore fannullone forse? O una talpa comunista?
Inizialmente avrei voluto intitolarlo onore a Tremonti, ma sarebbe stato troppo desalviano.La vicenda non è cosi semplice come appare: stando alle interviste, e la cosa anche se sconcertante è credibile, vista la lenzuolata di emendamenti,sembrava che in parlamento nessuno si fosse inizialmente accorto che la clusola inserita ad hoc per l'Alitalia fosse così gravida di conseguenze.