Un allettante appuntamento a Fondantico
Ricaricata dopo il meritato riposo estivo, Bologna è viva e vegeta. Mi riferisco naturalmente alla sua proposta artistico-culturale, ed in particolare a quella riguardante la pittura antica. Giorno dopo giorno si susseguono nel calendario degli appassionati inaugurazioni di mostre (alla Pinacoteca Amico Aspertini, e per chi non l'avesse ancora vista Antonio Basoli), fiere specialistiche (Artelibro), incontri, conferenze, giornate di studio (in onore di Federico Zeri, Fondazione Zeri, 10 ottobre 2008), aperture straordinarie di palazzi e tanto altro… Promotori di questo vivace panorama sono naturalmente sia gli enti pubblici sia quelli privati. Focalizzando l'attenzione sull'operato di questi ultimi, in diverse occasioni davvero prezioso, è doveroso segnalare la mostra da poco inaugurata a Fondantico (via castiglione 12b) dove si possono ripercorrere oltre trecento anni di pittura emiliana, e soprattutto bolognese, attraverso più di trenta quadri, ben ordinati e sapientemente illuminanti nella prestigiosa galleria antiquaria. L'offerta è a mio parere davvero allettante considerando che basta suonare il campanello per trovarsi di fronte a svariati capolavori, alcuni dei quali spererei rimanessero alla portata di tutti grazie ad una provvidenziale acquisizione da parte di qualche museo o istituzione pubblica. L'operato della galleria di proprietà di Tiziana Sassòli è ben noto al pubblico degli appassionati, degli studiosi (soprattutto docenti universitari, che collaborano attivamente alla realizzazione dei cataloghi delle mostre, garantendone l'assoluta scientificità) e dei collezionisti: è questa infatti la sedicesima mostra qui allestita. Questo breve articolo è dunque rivolto a chi non la conoscesse (e a chi, addirittura, non fosse al corrente del vivace mondo del mercato antiquario) o a chi pur interessato alla visione ravvicinata dei quadri esposti, non si fosse azzardato a varcare la soglia, quasi impaurito dalla ricchezza, per così dire, emanata dagli stessi dipinti. Tengo a sottolineare inoltre che visitare una galleria antiquaria consente un rapporto ravvicinato con le opere d'arte, che qui si possono esplorare nella loro piena “matericità”. Infatti, mentre nel museo, l'osservatore e l'opera si mantengono “a distanza di sicurezza”, in una galleria antiquaria questa distanza svanisce visto che l'osservatore è a volte anche l'acquirente ed il futuro possessore dell'opera che dunque dovrà essere esaminata a 360 gradi. La mostra in corso, “Il fascino dell'arte emiliana. Dipinti e disegni dal XVI al XIX secolo”, è frutto di approfondite e mirate ricerche ed ogni dipinto è stato scientificamente studiato da un team di studiosi, noti e meno noti, coordinati dal Professor Daniele Benati dell'Università di Bologna. Non potendo qui parlare di tutte le trentasette opere esposte mi soffermerò sulle mie predilette lasciando ai lettori la suspance di scoprire le altre. Tra esse, certamente, due capolavori della prima metà del Cinquecento raffiguranti Sacre Famiglie: la prima, dove compare anche San Giovannino, eseguita da Bartolomeo Ramenghi detto il Bagnacavallo (1484-1542 ca) [fig.1]nella quale il pittore proveniente dal piccolo centro nel ravennate esprime l'elegante adesione ai modi di Raffello, qui più che mai animati dal suo raffinato gusto coloristico, che fecero della sua “maniera”, a detta del Vasari (1568), la “più dolce e più sicura” tra gli artisti attivi in città a quel tempo; la seconda dipinta da Girolamo da Treviso (1497 ca-1544) [fig.2], giunto a Bologna già nel 1518, dove s'intrecciano in una armoniosa e riuscitissima sintesi il naturalismo ed il colore veneto appresi da Giorgione e dal giovane Tiziano ed il classicismo di Raffaello: le due tavole, assestate su modelli compositivi ampiamente praticati in area emiliano romagnola nel primo Cinquecento (si pensi soltanto alla produzione dei Francia), mostrano ricercate soluzioni nella resa dei paesaggi sul fondo; che nella tavola di Girolamo rimanda, magnificamente, ad Albrecht Durer.
fig.1fig.2
Per il Seicento, oltre al celebre Guido Reni (1575-1642), del quale si propone un'”eterna” Vergine in preghiera, nota alla critica sin dal 1984; è esposto un San Giovanni Battista eseguito dal grande pittore marchigiano Simone Cantarini (1612-1648) nel 1647 come documenta l'incisione (stampa calcografica che aveva il compito di promuovere e diffondere la fortuna dell'immagine) che ne trasse Domenico Maria Muratori nel 1685. Condotto attraverso lunghe pennellate cariche di freschissimo colore è poi
fig.3 fig.4
A chiudere l'esposizione quattro opere di Antonio Basoli (1774-1848): alla coppia di piccole “fotografie” della Bologna del 1830, sono affiancate due grandi pergamene dipinte ad acquarello nelle quali il nostro celebre Professore “cala”