Le responsabilità nascoste delle banche centrali
L’ex governatore della Federal Reserve, Alan Greenspan, ha recentemente dichiarato: «Trovo difficile comprendere l’opinione secondo cui la politica della Federal Reserve ha portato ad un aumento dei prezzi azionari o immobiliari». Perché allora molti analisti sono convinti che la politica della Fed sia la principale responsabile della bolla immobiliare statunitense? E perché d’altro canto, come dice lo stesso Greenspan, nel mondo ci sono diverse bolle immobiliari, e non solo una localizzata negli Stati Uniti?
Vale la pena di analizzare il meccanismo attraverso il quale una banca centrale dovrebbe fissare il tasso di sconto, alla luce delle moderne teorie di economia monetaria. Nel modello neo-keynesiano, che rappresenta il riferimento per la maggior parte delle banche centrali, una semplice Taylor rule è sufficiente a mantenere il sistema economico in un equilibrio di lungo periodo, in cui l’inflazione e le aspettative di inflazione sono stabili. In pratica, la Taylor rule è una relazione matematica che determina il tasso di sconto che la banca centrale deve applicare quando il tasso di inflazione si discosta dal target desiderato o quando si viene a creare un output-gap, definito come scostamento dell’output dal suo trend di lungo periodo. Tralasciando quest’ultimo, la teoria ci dice che la banca centrale deve applicare meccanicamente la Taylor rule per la fissazione del tasso di sconto e, in particolare, che quando l’inflazione è piú alta del target il tasso ufficiale deve essere alzato in una certa proporzione.
Ma come viene calcolata l’inflazione che rappresenta il target della politica monetaria? Di fatto si fa riferimento alla variazione percentuale di un indice dei prezzi al consumo (CPI), che di solito è un indice di Laspeyres (L’indice dei prezzi di Laspeyres cattura le variazioni del costo di un determinato paniere di beni. Tale paniere viene periodicamente aggiornato per tenere conto dei nuovi beni entrati nel mercato). Il paniere di consumo su cui è calcolato il CPI comprende la maggior parte dei beni e dei servizi consumati. E’ importante notare, però, che il prezzo degli immobili non viene considerato nel calcolo del CPI. Invece, rientra nel calcolo del CPI il valore degli affitti degli immobili.
Che relazione c’è tra prezzo e valore d’affitto di un immobile? Dal punto di vista teorico, un immobile deve essere considerato come un’attivitá che distribuisce un dividendo in ogni periodo. Il prezzo di tale attivitá è dato dal valore attuale scontato al tasso di mercato dei dividendi futuri. Nel caso di un immobile, dunque, il suo prezzo è dato dal valore scontato di tutti gli affitti futuri che da tale immobile si possono ricavare. Il prezzo, quindi, può essere influenzato da un cambio nel valore dell’affitto che si pensa si possa ricavare in futuro, oppure da un cambio nel tasso di sconto che viene applicato per calcolare il valore attuale di tali affitti.
E’ dunque possibile immaginare in che modo una bolla speculativa nel mercato immobiliare si possa venire a creare quando il modello neo-keynesiano viene applicato. Se i tassi di interesse vengono ridotti dalla banca centrale perché l’inflazione (attesa) è bassa, il prezzo corrente dell’attivitá immobile aumenta, anche quando il valore degli affitti futuri non cambia. Ció implica che l’inflazione data dal CPI non cambia, perché questo indice non tiene conto dei prezzi degli immobili, ma solo degli affitti. Seguendo la Taylor rule, la banca centrale non cambia i tassi di interesse o addirittura li abbassa perché l’inflazione attesa è bassa. Un abbassamento dei tassi contribuisce a far aumentare ulteriormente il prezzo degli immobili e, dunque, a creare inflazione solo in quel settore. Allo stesso tempo, l’inflazione calcolata con il CPI continua a rimanere stabile.
Questa politica ha anche un altro effetto. L’inflazione localizzata nel prezzo degli immobili fa si che l’acquisto di un immobile venga percepito come un investimento che rende il differenziale tra il tasso di inflazione nel settore immobiliare e l’inflazione calcolata col CPI. Dunque, la domanda di beni immobili aumenta, contribuendo a far crescere ancora di piú l’inflazione in quel settore. La maggiore quantitá di case acquistate, inoltre, fa scendere il valore degli affitti (perché vi è una maggiore offerta di abitazioni di proprietá acquistate per motivi di investimento che ora devono essere affittate) contribuendo a ridurre il CPI invece di farlo crescere, inducendo a sua volta un ulteriore abbassamento dei tassi da parte della banca centrale. Il circolo vizioso continua. Il ragionamento fatto per il settore immobiliare, vale in linea teorica per una qualsiasi attivitá finanziaria. Quando il tasso di sconto si abbassa, dati i rendimenti attesi futuri, il prezzo di una attivitá aumenta. Perché allora la bolla si è creata nel settore immobiliare e non in altri settori finanziari? Probabilmente la spiegazione risiede nell’accesso al credito. E’ praticamente scontato per chiunque, infatti, contrarre un debito per comprare un immobile, mentre non lo è affatto per acquistare altre attivitá finanziarie (azioni, per esempio).
Si può quindi concludere che, dal punto di vista formale, le banche centrali siano riuscite a perseguire l’obiettivo di stabilità dei prezzi che entrano nel CPI. Tale risultato, però, è ottenuto grazie ad un’inflazione localizzata in un dato settore. Se non ci fosse stata la bolla nel settore immobiliare, infatti, l’inflazione negli altri settori, e quindi quella misurata dal CPI, non sarebbe probabilmente stata così bassa. Il problema adesso è capire quale sia la perdita di benessere data da questo tipo di politica, che favorisce il discostarsi del prezzo dell’attivitá immobiliare da quello che è il suo valore fondamentale attualizzato. Il Giappone insegna che tale perdita può essere enorme in termini di crescita. Molte banche centrali hanno tra i propri obiettivi anche la crescita economica, oltre che la stabilitá dei prezzi. Favorire bolle speculative di questo tipo ha un notevole impatto negativo sulla crescita ed induce gli agenti a pensare che l’inflazione rimanga magicamente bassa anche quando i tassi di interesse reali sono praticamente negativi. Sarebbe allora opportuno rivedere l’attuale meccanismo di applicazione della politica monetaria e, nel medio periodo, rivedere le modalità con cui gli indici dei prezzi al consumo vengono costruiti, per tenere conto anche dell’influenza che su di essi viene esercitata dai prezzi delle attività immobiliari.
il presente articolo è stato pubblicato in data 15 Febbraio 2008 nel sito www.epistemes.org