L'Avvocato del Diavolo, ovvero In Difesa della Banca Mondiale
Ci fosse un premio “istituzione più odiata del mondo”, la Banca Mondiale occuperebbe un gradino del podio anno dopo anno da ormai oltre 50 anni.
Ogni critica mossa alla Banca contiene una buona dose verità ed una buona dose di qualunquismo e pregiudizio. Ma quando si parla dell’istituzione economica più grande (e forse più influente) al mondo, le posizioni sempliciste non hanno spazio nel dibattito.
L’avvocato del diavolo, al contrario, sosterrebbe che se qualche progresso è stato fatto nel combattere la povertà, è merito anche della Banca Mondiale, e degli errori che ha fatto in passato.
Eccovi un rapido e (volutamente per motivi di spazio) non esaustivo escursus delle critiche principali che vengono rivolte costantemente al gruppo.
1. Corruzione pervasiva e scarsa attenzione all’impatto ambientale dei progetti sviluppati.
2. Scarsa attenzione ai risultati ottenuti nel tempo. Finanziamento indiscriminato di progetti. Ossessione al limite del maniacale con il prestare soldi (cosa per altro vera). Scarso utilizzo di strumenti di Monitoring and Evaluation per misurare successi ed insuccessi.
3. Incapacità. Accuse generiche (e in parte fondate) di aver ottenuto poco o niente e di aver gettato (tanti) soldi al vento decennio dopo decennio. Il tutto, ovviamente, orchestrato magistralmente dall’istituzione allo scopo di non rimanere a corto di lavoro. Dopotutto, parafrasando il grande Galbraith, lo sviluppo economico è estremamente ultile come fonte di occupazione per gli economisti.
4. Dulcis in fundo, uno dei motivi principe per cui gli pseudo-rivoluzionari del terzo millennio spaccano vetrine in segno di protesta: i famigerati “programmi di aggiustamento strutturale” (SAPs), imposti come conditio si ne qua non per ottenere prestiti o fondi negli anni ottanta e novanta a diversi paesi in via di sviluppo (da cui il termine conditionalities).[1]
Che la Banca necessiti di riforme radicali è fuori discussione. Ma troppo spesso, le accuse di cui sopra portano a liquidare sommariamente la Banca come ottusa esecutrice di un’agenda pre-definita e neo-liberal che ha contributo consapevolemente a rendere più poveri i poveri.
Qundi, oggi giochiamo a fare l’avvocato del diavolo.
Ora, che il potere degli Stati Uniti all’interno della Banca sia sproporzionato e che la Banca promuova politiche pro-mercato sono entrambi dati di fatto. Allo stesso tempo, però, nessuno ha mai obbligato i paesi in via di sviluppo a prendere a prestito soldi dalla Banca Mondiale. Se il peso politico degli Stati Uniti fosse stato o sia talmente insopportabile per certi paesi, se le politiche così disdicevoli, chi ha convinto i paesi poveri ad andare a letto col diavolo? Chi ha probito loro di rivolgersi all’UNDP[2], per dirne una, piuttosto che alla Banca?
In secondo luogo, la maggior parte dei prestiti viene elargita a paesi con scarso accesso ai mercati finanziari internazionali e, ad oggi, a tassi di interesse below the market. Mentre, come già detto, i paesi molto poveri ricevono invece prestiti a fondo perduto (grants).
Per quanto antipatiche ci stiano le conditionalities, sfido chiunque a trovare un’intermediario finanziario che regala soldi senza chiedere nulla in cambio.
Tra l’altro, economicamente parlando, non è scontato che un prestito a fondo perduto ed incondizionato sia più efficace o auspicabile rispetto ad un conditional grant.
Per una semplice questione di incentivi. Prestiti incondizionati a fondo perduto o a tassi below-the-market non sono esattamente il miglior modo per assicurarsi che le risorse vengano utilizzate in maniera efficiente. Al contrario, dal punto di vista del ricevente, sapere che l’estensione di un prestito implicherà riforme spesso onerose, assicura (teoricamente) un uso più disciplinato delle risorse allocate. Solo un paese con una vera scarsità di fondi o sinceramente convinto dell’effetto benefico del progetto che si vuole finanziare, sarà disposto ad accettare le condizioni necessarie per l’esborso dei fondi da parte della Banca.
Detta in economichese, le conditionalities servono, in un certo senso, come meccanismo di auto-selezione.
Pensare quindi che i paesi poveri non abbiano alcuna voce in capitolo o che non facciano le loro analisi costi-benefici quando prendono soldi a prestito è fuorviante. Povero non vuol dire stupido. E nemmeno irrazionale.
Certamente, povero vuole spesso dire ineguale e dotato di elites ricche e corrotte. Non è quindi da escludere che vi possa essere, o vi possa essere stata, un certa collusione tra governi corrotti di paesi poveri e le istituzioni internazionali. E qui veniamo al problema della corruzione dell’istituzioni e, più genericamente, del sistema politico-finanziario internazionale.
Putroppo, molto semplicemente, la corruzione è compresa nel prezzo. C’era (tanto), c’è (poco) e ci sarà sempre (ma speriamo sempre meno). Dove ci sono soldi, potere, politici, ed esseri umani, c’è corruzione. Banca o non Banca. Farne un problema endemico della Banca è disonesto. E ignora l’impegno che la Banca sta compiendo per ripulire i propri armadi da tutti gli scheletri del passato.
Proseguendo, mentre è innegabile che la Banca abbia finanziato progetti in modo indiscriminato in passato, con scarsa attenzione all’ambiente circostante e senza preoccuparsi di misurare ex-post i risultati ottenuti, è altrettanto innegabile che già da anni, le cose sono cambiate drasticamente. [3]
Per quanto riguarda l’annosa questione “scarsi risultati, specie alla luce dei soldi spesi”, ci sono effetivamente poche scusanti. Ma un paio di distinguo sono dovuti.
Innanzitutto, quando si parla della Banca, sarebbe opportuno ricordarne la struttura; uno strato di politici sopra (che rispondono ai taxpayers dei paesi donatori), e uno strato di politici sotto (i governi dei paesi riceventi, che rispondono pur’essi ai propri elettori). In mezzo, la Banca. Lo strato superiore è composto da infinite agende ed interessi particolari; lo strato inferiore è composto da stati sovrani che tutto vogliono fuorchè farsi vedere deboli al cospetto dell’occidente. Ora provate voi a mediare, a sopravvivere alla burocrazia che è sorta e, nel frattempo, ad ottenere risultati eclatanti.
Ora: liberare la Banca dall’influenza dei politici dei paesi riceventi è per definizione impossibile. I clienti della Banca sono governi e pertanto un insieme di politici eletti (si spera). Però, svincolare l’istituzione dalla politica estera dei paesi ricchi aiuterebbe la Banca a concentrarsi sull’aspetto tecnico dello sviluppo economico. Allargare il consiglio di amministrazione ad academici ed esperti di profilo internazionale, per esempio, al fine di bilanciare la componente politica dell’istituzione, sarebbe, utopisticamente, un passo avanti.
Spesso e volentieri, inoltre, la Banca serve da capro espiatorio quando le cose si mettono male. Se un progetto fallisce miseramente, è, ovviamente, colpa del Washington Consensus, della Banca, dell’FMI, dell’ONU, della pioggia. Quando per la prima volta nella storia il numero di persone che vive con meno di 1 dollaro al giorno scende sotto il miliardo, la Banca non c’entra nulla. Quello è merito di altri.
E ora veniamo agli aggiustamenti strutturali. Hanno fatto senza dubbio danni. Ma le critiche ignorano un paio di punti fondamentali.
In primis, quando si iniziò a fare uso di tali programmi, un numero significativo di paesi in via di sviluppo si avviava verso la catastrofe economica, almeno per quanto riguardava le finanze pubbliche. Biasimare l’imposizione di disciplina fiscale per le sfortune di alcuni paesi è spesso uguale ad incolpare il Patto di Stabilità e di Crescita per i problemi del’Italia. Quasi idiotico. Molte delle raccomandazioni incluse nei programmi strutturali erano e sono tuttora politiche sensate; semmai, l’uso indiscriminato di certi strumenti è stato l’errore.
Per quanto riguarda poi la malafede degli aggiustamenti strutturali, avrei più di un dubbio. Col senno di poi, sono tutti capaci di puntare il dito. Oggi, ad esempio, siamo tutti pronti a criticare la shock therapy applicata in Unione Sovietica ma, al tempo, il coro di critici non mi pare fosse tanto rumoroso.
Se andiamo oltre il qualunquismo che circorda i SAPs, e se ammettiamo che lo sviluppo è un processo per tentativi, non si può ignorare che le politiche economiche promosse dai SAP riflettevano semplicemente ciò che aveva funzionato al tempo. In malafede sarebbe stato invocare politiche di stampo socialista che avevano miseramente fallito. Critichiamo l’aver imposto privatizzazioni o disciplina fiscale a paesi poveri, figuriamoci se la Banca avesse costretto un paese a redigere piani quinquennali.
Le politiche non erano e non sono sbagliate di per sè; sbagliata è stata ed è la cieca applicazione in Malawi di politiche che funzionano oggi per la Svezia, paese con secoli di tradizione capitalista, istituzioni, norme sociali, sistema giudiziario e via dicendo.
Purtroppo, in materia, sembrano tutti esperti. Tutti avrebbero fatto meglio, se ne avessero avuto modo. La discussione sembra ferma agli anni Ottanta, non importa cosa sia successo nel frattempo.[4]
L’istituzione (come del resto, il resto del mondo) ha ottenuto poco nella sua lotta alla povertà, è vero. Ma questo non implica che altri possano ottenere di più. Il qualunquismo in materia abbonda. Tutti critici, anche se ho il sospetto che, tra questi, solo una esigua minoranza saprebbe argomentare il proprio risentimento. Se la Banca è ideologizzata, beh, almeno è in buona compagnia.
Nessuno umile abbastanza da ammettere che non importa quanti PhD assumi o quanti libri leggi, lo sviluppo economico è un processo per tentativi. Con varianza altamente elevata, per giunta. Il massimo che si possa fare è affidarsi a ricerche metodiche e su analisi fattuali. E, quando si tratta di combinare rigore metodologico ed esperienza sul campo, sfido chiunque a dimostrare che la Banca non sia il meglio in circolazione[5]. O, a seconda di come la vedete, il peggio a parte tutto quello che è stato già provato.
Sapere di non sapere è sempre utile. Quando si parla di sviluppo economico è fondamentale.
Nessuno vuole ammettere di non avere la ricetta magica. Se è per questo, non c’è nemmeno la ricetta magica. Semmai, ce ne sono infinite e, oggi, iniziamo ad avere alcune idee in proposito. Oggi parliamo di incentivi. Di settore educativo, governance, lotta alla corruzione, di istituzioni, costi di transazione, di diritti di proprietà, di sistema legale. Se si accetta che lo sviluppo è un processo per tentativi, criticare la Banca significa implicitamente riconoscerne i’importanza. Sbagliando si impara.
Se non ci fosse stata la Banca a provare e a sbagliare, di cosa scriverebbero i critici di questo mondo? Come faremmo ora a puntare il dito verso la Banca? Come faremmo a dire che lo sviluppo è tutta una questione di incentivi e non ci voleva poi tanto a capirlo?
[1]Descrivere in poche righe i tanto discussi SAP è praticamente impossibile. In voga negli anni Ottanta e Novanta, e nati come reazione agli shock economici degli anni Settanta, i SAPs essenzialmente sottoponevano a determinate misure economiche i paesi interessati a prendere a prestito dalla Banca Mondiale. Le conditionalities includevano principalmente misure neo-liberali tipo privatizzazioni, liberalizzazioni del tasso di cambio, riduzione del deficit pubblico, controllo dell’inflazione, apertura dei mercati finanziari e dei beni reali, e via dicendo. Inutile dire che, nonostante molte di queste politiche economiche siano di per se benefiche, non abbiano goduto di ampio consenso tra i paesi che hanno dovuto implementarle. In parte perchè dolorose per un paese, in parte perchè sbagliate se applicate indiscriminatamente. Ad onor del vero, la Banca Mondiale ad oggi ha cambiato approccio e, mentre alcune conditionalities vengono ancora imposte dove ritenuto necessario, l’istituzione é meno dogmatica in materia e analizza caso per caso la situazione dei propri clienti.
Per saperne di più si veda http://en.wikipedia.org/wiki/Structural_adjustment#History
[2] United Nations Development Program, l’agenzia per lo sviluppo delle Nazioni Unite.
[3] Alcuni esempi? Forse non tutti sanno che ogni progetto in via di approvazione è sottoposto ad un prescreening estenuante. Per ogni misura proposta, lo staff sul campo deve misurare l’impatto ambientale che ne conseguirebbe. Anche se parliamo disegnare uno schema di incentivi per combattere l’assenteismo degli insegnanti nelle scuole pubbliche. Ogni progetto, su richesta degli interessati, può essere sottoposto ad una valutazione imparziale ex post da parte dell’Inspection Panel, un team indipendente che risponde direttamente al Consiglio dei Direttori Esecutivi.
Si veda inoltre l’articolo di Stefano Clo in questo numero.
[4] Di recente, la Banca Mondiale ha pubblicato The Growth Commission Report, uno studio diretto da Micheal Spence (Premio Nobel per l’Economia). Il Gruppo era composto da intellettuali prominenti, tra cui Robert Solow. Come previsto, lo studio ha riscosso critiche e lodi. Dani Rodrik di Harvard, non sempre morbido con la Banca, ha commentato lo studio dicendo che “rappresenta uno sparti-acque” nel modo di pensare allo sviluppo economico. Per farvi un’idea della strada fatta dalla Banca dai tempi dei SAPs indiscriminati, vi consiglio vivamente la lettura di quello che Rodrik ha scritto recentemente nel suo blog
[5] Si veda in proposito The Economist, Will there be life after the Wolfowitz?, 19 Aprile 2007.
Una delle note a pie' di pagina che avevo scritto e' misteriosamente scomparsa.
Ringrazio Stefano Clo e Saki Bigio per i commenti
mea culpa,
ho controllato, era collegata al tuo nome che però nel caricare l'articolo viene inserito a parte. quindi la ota non compare
invitiamo in futuro tutti i collaboratori ad inserire direttamente gli articoli dell'arengo senza passare dal via.
dai, colgo anche l'occasione perdare il bentornato a Michele, assente dagli schermi dell'arengo per mesi e mesi. l'articolo è buono, criticabile, ma buono.
è anche un pò troppo lungo, si vede che hai perso un pò la mano con lo scrivere dovrai allenarti di più per essere più incisivo. aspettimao tuoi nuovi articolo (questo era il commento buono, prossimamente entrerò nel merito dell'articolo)
Mi scuso per essermi dilungato.
Ho provato con tutto me stesso ad accorciare l'articolo ma, visto il tema trattato, e' stato impossibile.
L'argomento e' troppo complesso e io non sono esattamente uno scrittore da Economist!!
Grazie per il bentornato comunque, saro Stefano.
Mi fa piacere che consideri l'articolo buono e mi sarei preoccupato se non lo avessi giudicato criticabile.
Il motivo principe dell'articolo e' infatti il dibattito che spero ne segua.
ma infatti, la lunghezza ci sta tutta, perchè alla fine tratti diversi aspetti del problema Banca Mondiale, molti die quali vengono poi ripresi negli altri articoli.
Una questione che sorge è il grado di indipendenza della BAnca Mondiale dai governi che prestano e che ricevono. quanto è l'espressione del volere die paesi occidentali e quali sono i suoi gradi di indipendenza (da governi corrotti e non?).
Dunque. E' una domanda difficile. E penso che non ci sia una risposta univoca.
Indipendenza dai governi che prestano. Dipende da che governi si parla, ovviamente. Indipendenza dai governi del G8, poca. Alla fine della fiera, i soldi sono i loro.
Indipendenza da paesi donatori piu' piccoli, parecchia.
Indipendeza dai paesi riceventi. Brutto dirlo, ma molto dipende dal reddito dei paesi riceventi. Io personalmente conosco il caso del Mozambico e del Sud Africa. Due paesi in via di sviluppo ma con livelli di reddito estremamente diversi.
In Mozambico la Banca e' quasi onnipotente. Ha accesso ai livelli piu' alti del governo. Ha leverage notevole, in poche parole.
In Sud Africa, la Banca e' solo una delle istituzioni con cui il governo di Pretoria deve convivere.
Non ha leva. Non e' libera di operare. E' in balia del governo.
Come detto nell'articolo, liberare al banca dall'inflienza dei paesi riceventi e' per definizione impossibile.
Ma liberarla dal potere dei paesi ricchi sarebbe un passo avanti. E di questo ne sono convinto.
Per fare cio' servono un paio di cose
1) Una buona dose di altruismo da parte dei paesi ricchi
2)Una buona dose di umilta'da parte dei paesi ricchi che devono smettere di pensare di avere una benche' minima idea di come si sviluppa un paese povero (ma povero sul serio)
3)Allargare il potere decisionale della Banca a esperti ed accademici
4) Per contro-bilanciare la perdita di potere dei governi ricchi, formare un board internazionale indipendente col mandato di controllare l'operato della Banca.
Alora Michele ben tornato e ben trovato tra gli avvocati dei diavoli
Caro Michele,
ancora complimenti per l'articolo e per la difesa.
Vorrei sottolineare giusto due punti che mi sembrano critici.
1. Scrivi che i paesi in via di sviluppo (PVS)non sono mai stati obbligati a rivolgersi alla Banca. In realtà credo che siano stati obbligati dalla necessità: in passato i capitali sulla piazza erano più scarsi, e si muovevano più facilmente dopo un accordo per un Piano di Aggiustamento Strutturale.
Che un paese in crisi di bilancia dei pagamenti negli anni '80 non fosse *obbligato* a rivolgersi alla Banca ed al Fondo credo non possa essere sostenuto: la strategia che veniva seguita (ottenere un accordo e con questo ricavare capitali per risolvere la crisi) era l'unica disponibile in quegli anni.
Oggi la maggior parte dei PVS a medio reddito hanno deciso che questa strategia era sbagliata, hanno ripianato il loro debito estero e non vogliono più appoggiarsi al Fondo ed alla Banca. Credo sia una lezione che Fondo e Banca dovrebbero analizzare.
2. E' vero (verissimo!) che la Banca è stata usata come capro espiatorio da tanti. Il paragone, nel contesto italiano, è con il ruolo svolto dall'UE durante le liberalizzazioni degli anni '90: i politici (nazionali ed ancor più locali) finivano sempre con scaricare la responsabilità sull'Unione Europea.
D'altra parte ci sono stati tanti casi in cui la ricetta della Banca era *sostanzialmente* sbagliata, e l'errore commesso è comprensibile (forse) ma non giustificabile.
Basta, per fare un po' gli economisti, dare un minimo credito all'economia non-mainstream per capire perchè le politiche macroeconomiche adottate nella ex Unione Sovietica hanno fallito così miseramente: alzare i tassi di interesse ha generato una recessione nella recessione, portando le famiglie alla fame, ed un'economia così doppiamente distrutta non poteva attrarre capitali, non importa quanto l'inflazione fosse sotto controllo!
Sempre nelle economie in transizione, favorire le liberalizzazioni in un contesto di de-istituzionalizzazione ha portato a bruciare ricchezza ed ha favorito la speculazione.
Tante di queste cose erano prevedibili (almeno dai tempi di Douglas North) e, cosa ancora più importante, erano previste (da economisti non-mainstream).
La cosa poi ancora più grave è stata che “durante” la transizione istituti come lo WIDER delle Nazioni Unite hanno segnalato il pericolo. Credo che si possa dire che l'analisi degli economisti e degli scienziati sociali della Banca Mondiale, in quell'epoca, sia stata compromessa da un atteggiamento ideologico confortato dal sostegno politico dei paesi ricchi.
Questa è la principale critica che si può fare.
E vale anche per la lettura odierna del mondo: capirà la Banca che il successo dei nuovi paesi emergenti avviene in forza di politiche molto diverse da quelle che lei aveva favorito?
Oppure sarà disposta a perdere il suo rilievo internazionale pur di non ammettere i suoi errori e superare l'ideologia?
Spero sinceramente di no: se c'è una cosa che i critici faziosi della Banca non capiscono, e che tu giustamente sottolinei, è che un mondo senza Banca non sarebbe migliore dell'attuale: quite the opposite.
Ciao Francesco,
Grazie per i tuoi commenti, che trovo ottimi.
Sul punto 1). Nell'articolo mi sono sforzato di fare l'avvocato del diavolo. A voler essere sinceri, per alcuni punti ho voluto buttare giu' quello che i sostenitori della Banca argomentano. Asetticamente. Sul punto “nessuno e' stato costretto” devo dire che sono piu' dalla tua parte che da quella che ho presentato nell'articolo. Se, da un lato, nessuno e' stato costretto in senso stretto a prendere fondi dall'IMF o dalla Banca, e' altrettanto vero che alcuni stati erano in condizioni molto precarie e sono stati presi per la gola.
E le istituzioni di Bretton Woods se ne sono approfittate. In questo sono, ripeto, piu' dalla tua parte.
L'unica cosa che non ho mai capito e' perche' questi stati non si siano rivolti ad un paniere di altre istituzioni. Ovvero, invece che prendere a prestito 100 dall'IMF perche' non hanno preso 25 dall'UNDP, 25 da DFID, 25 da USAIS e via dicendo?
Ammetto che per rispondere a questa domanda bisognerebbe sapere l'ordine di grandezza delle cifre di cui stiamo parlando. Forse, anche volendo, la Banca o l'IMF erano le uniche agenzie in grado di fornire capitali nella misura richiesta. Ed allora hai ragione tu al 100%. Forse no. Nel qual caso, i paesi poveri hanno fatto valutazioni diverse, come suggerisco nell'articolo.
Sul punto 2) Sono con te al 100%.
La Banca e' stata molto ideologizzata. Niente da dire. Ha fornito consigli sbagliati. Come dici tu, la cosa e'comprensibile ma poco giustificabile.
Lavorando per la Banca, anche se e' un'istituzione complessa e mastodontica, sono pero' portato a dire che credo che cambiamenti radicali siano avvenuti negli ultimi 10 anni e l'atteggiamento e' cambiato e cambia quotidianamente.
Per come la vedo io, anche la Banca si stanca di venire insultata!! E, believe me, non e' una campana di vetro la Banca. Le critiche arrivano e il rischio di diventare un'agenzia come le altre lo percepiscono anche ai quartieri generali!!
Caro Michele,
grazie della risposta. Credo che il tuo punto di vista sia davvero privilegiato, e sottolineo che trovo la Banca ancora uno degli istituti più importanti e che forniscono il più grande contributo, tanto per le politiche quanto per le ricerche (la qualità della working paper series è, ad esempio, elevatissima; i contributi della Banca con Stiglitz-Stern-Bourguignon come capi-economista sono davvero innumerevoli).
Sul fronte del Fondo/Banca vs UN-agencies credo che il problema della scala di grandezza fosse fondamentale: mentre un accordo con il Fondo spingeva capitali pubblici e (indirettamente) capitali privati, l'accordo con le agenzie ONU non dava lo stesso “segnale” agli investitori privati. Comunque credo che non sia da scartare l'ipotesi che avanzi: molti paesi forse non hanno saputo valutare le loro alternative, oppure ci credevano veramente (i liberisti argentini, ad esempio).
Per il resto mi dicono che passerai da Bologna nei prossimi mesi: spero che ci potremo conoscere dal vivo.
a presto.
Spero vivamente!!
Sono a bologna da meta' luglio per 3 settimane.
A presto