E pluribus plura? La contestata sovranità Europea
La più grande forza risulta essere però anche la debolezza intrinseca più pronunciata per l'Unione Europea. La rinuncia democratica all'esercizio del potere impositivo coercitivo come mezzo per la presa delle decisioni si affida alla pacifica razionalità della ricerca del consenso tra gli individui, della persuasione argomentativa e della deliberazione. Ma se la concordia di obiettivi, mezzi e ruoli è già difficile da ottenere in qualsiasi gruppo umano – dalla coppia che sceglie dove andare in vacanza al quartiere cittadino che vuole pedonalizzare una sua parte – figuratevi la complicazione delle questioni nei numeri di un territorio che conta circa 500 milioni di cittadini sovrani.
Non può dunque sorprendere che le voci contro un progetto politico tanto ambizioso quanto pieno di indubitabili controversie prevalgano in una realtà nazionale: il tentativo di razionalizzazione è sempre minato dall'irrazionalità delle passioni umane, dalle percezioni dei singoli, dall'incompletezza delle informazioni. L'ottenimento di una sovranità per consenso da parte dell'Unione Europea a partire da strutture politiche, sociali, culturali, linguistiche profondamente diverse e radicate si espone per propria natura ad essere contestata. Se si è deciso di fondare l'unità europea su basi democratiche, è pacifico e legittimo che una parte – anche maggioritaria- di individui non si sentano di rischiare un'impresa di unificazione tanto necessaria nella realtà economica e politica moderna quanto innaturale per la vita quotidiana di gran parte della popolazione interessata.
“Non ci sono piani B” ha dichiarato il Presidente della Commissione Europea Barroso, seguito a ruota da gran parte dei capi di Stato e di governo: la ratificazione del Trattato di Lisbona procederà nonostante l'espressione contraria dei cittadini irlandesi – almeno di quel 40% che si è scomodato ad esprimersi. Successe già dopo la firma del Trattato di Maastricht nel 1992, quando fu la sola Danimarca a vedere prevalere i 'no' referendari. Così come allora fu il governo danese ad esercitare la propria sovranità decisionale negoziando una via istituzionale comunitaria per la propria permanenza nell'Unione e poi chiamando la popolazione ad una seconda consultazione, lo stesso potrà essere fatto con l'Irlanda, senza ulteriori crisi di panico persino nello scenario di una volontaria – e improbabile- uscita dall'Unione.
Vero, le dinamiche dell'integrazione europea per consenso democratico negoziato sono sconnesse, promettono tutt'altro che costante coerenza. La costruzione di una sovranità sopranazionale comporta una cruda transizione economica, sociale, culturale che crea vincenti e perdenti, evidenti squilibri e decisioni errate. Ma non si può ignorare l'importanza intrinseca di questa dinamica pacifica di affermazione del progetto Europeo, lontano dagli eserciti e dalle egemonie imposte con la forza. A questo fine, non sia così debole da affidarsi al plebiscito, forma degenere della democrazia rappresentativa a tutti i livelli in cui venga utilizzato, come mezzo di afasica affermazione della sovranità popolare. Non vale forse più la pena contestare e costruire l'Europa, rispondendo e non piegandosi alle sfide?
Dunque, meglio di unum, e pluribus plura: il tutto è composto dalle sue parti e le riconosce con maturità. L'euro-scetticismo degli irlandesi, e di tutti quelli che li avrebbero imitati, sia parte essenziale e legittima di un'Unione Europa pluralisticamente sovrana che prende coscienza della propria complessa necessità e sa metabolizzare le proprie paure e differenze, gestendole.
l'Arengo anticipa sul tempo lavoce.info di poche ore. anche nella voce parlano di questo tema, ne scrive Pietro Manzini, professore di diritto internazionale a scienze politiche a Bologna.
un confronto può essere utile.
andiamoa lla grande