Un albero per aula – 18/02/2006 Inviti
Ho sempre un attimo di incertezza quando qualcuno mi invita a casa sua. Il timore in fondo è quello di non sentirmi a mio agio, di non sapere che cosa dire, ricordo qualche momento di imbarazzo, di silenzi, nel trovarsi a casa di qualcuno che non è propriamente un amico, ma semmai un conoscente. La scena, già vissuta, me la immagino ben prima di arrivare: una tavola imbandita con pollo o pesci, io a mangiare con qualche mio amico, mentre le donne e i bambini di casa sono in qualche altra capanna, forse a mangiare anche loro, forse no. Oggi da Linus le apparenze, i contorni sono gli stessi. Porto piccoli regalini a lui e alla moglie. Spero che il borsellino piaccia. Poi scopro che Linus, ventisei anni, di mogli ne ha due. E sulla tavola, mentre pranzo con lui e un suo amico, con il resto della famiglia fuori, ci sono pollo e pesce. Avrò sentito e pensato decine di volte al mito dell'ospitalità delle popolazioni indigene – in Kenya come in Brasile – al fatto che probabilmente quello che trovi sulla tavola costa uno sproposito. Ecco, è proprio questo pensiero che ti congela, ti ritrovi lì e pensi di essere in debito, di star levando il cibo di bocca ai bambini che giocano. Mi è capitato spesso, mi capiterà ancora.
Oggi però penso soltanto che Linus ha voluto invitarmi a pranzo, farmi conoscere la sua famiglia, mostrarmi il lavoro che lo aspetta nel piccolo pezzo di terra che circonda la casa. Provo a evitare di farmi venire complessi. La conversazione scivola, Linus mi racconta della cucina che sta facendo costruire fuori dalla capanna e dei problemi di sicurezza di questo distretto, Teso, che da qualche anno è stato separato da Busia. I Teso, che é anche il nome del gruppo etnico, sono, non ho ancora capito bene perché, meno accoglienti dei Luhya (l'etnia predominante di Busia), anche l'ICS ha avuto problemi nell'implementare progetti da queste parti: un paio di volte i rilevatori sono stati scacciati con machete (panga). Linus deve proteggere i maialini che ha appena comprato; mi racconta poi che alla vigilia di Natale gli hanno fregato il pollo messo da parte. Poi a fine pasto spunta il chang'a, liquore fortissimo distillato con mais e zucchero di canna. Il chang'a è illegale in Kenya, ogni tanto si legge che le persone rimangono intossicate, diventano cieche o ci rimangono del tutto dopo averne bevuto “Comprarlo dalle parti di Nairobi è pericoloso, per le cose chimiche che ci mettono dentro quelli che lo vendono; ma questo lo facciamo noi, nessun problema, salvo quando cominci a berlo dalla mattina appena svegliato”, dice Linus, riferendosi ai vari alcolizzati che certo non mancano in questa zone o con i quali ho intrattenuto un paio di volte discussioni quanto mai surreali…
Il chang'a: piuttosto forte, piuttosto buono; il mio limoncello, uno degli altri doni portati, finisce tra le grinfie dei bambini, due o tre anni, che se lo bevono come succo di frutta. E la cosa mi provoca un certo senso di umiliazione… un sorriso, a che età avrò bevuto io il mio primo limoncello?
Parlare in tranquillità, bere Chang'a, non sentirsi a disagio, non sentirsi in debito…ci vuole un anno per arrivarci.