Il riformismo nel calcio italiano – Parte Seconda
Privi ormai di una consistenza ideale, in questo Paese siamo in balia di quel che capita, delle baruffe da cortile degli adulti non ancora cresciuti e di quelli che invece si credono maturi.
Morale non è possibile occuparsi dei problemi del Paese se non ci si occupa del motivo per cui in cortile ci si azzuffa. Il pallone.
Il campionato di quest'anno mostra segnali incoraggianti e, per un buon vetero-riformista quale si dichiara il sottoscritto, è una ghiotta occasione per intravedere buoni auspici per l'azione del Governo, appena uscito vivo dall'approvazione in Senato della Legge Finanziaria e dalla frantumazione della Casa delle Libertà.
Se non fosse stato per l'omicidio dell'Autogrill, avremmo già potuto discutere in queste pagine della nuova legge di redistribuzione dei proventi dei diritti televisivi.
Oggi in testa alla classifica c'è l'Inter, il che segna con evidenza la principale differenza con il quinquennio berlusconiano: da quando governa Prodi l'Inter in Italia ha vinto quasi tutto, dopo un digiuno che durava da prima della caduta del Muro di Berlino. Il Milan perde punti e li redistribuisce in giro per il campionato, mentre la Juve del nuovo corso dei giovani rampolli della nuova Fiat, la Roma della capitale e la Fiorentina dei Della Valle si contendono le posizioni di rango alle spalle della capolista.
Qualcosa è cambiato.
E' cambiata la geo-politica del calcio italiano, una volta retta dall'asse Moggi-Galliani nel nome della vendita individuale dei diritti televisivi, che in questi giorni ha raggiunto l'accordo tra le società di Serie A – recepito dal Governo – che prevede la vendita collettiva dei diritti per le dirette televisive e criteri nuovi di ripartizione tra le società e la Federazione.
La riforma sarà operativa solo dal 2010, alla scadenza degli attuali contratti, in modo da evitare espropri che sarebbero del tutto incomprensibili nel nostro mondo post-ideologico. Anche in questo lasso temporale, tuttavia, possiamo registrare che si sono ridotti i tempi di applicazione dei cambiamenti rispetto alla precedente legislatura in cui era stata approvata una riforma di Costituzione, poi bocciata dagli elettori, che non sarebbe entrata in vigore prima del 2016 ed una riforma delle pensioni, poi anticipata, da non consumarsi prima del 2008.
Guardiamo allora il bicchiere mezzo pieno:
- Il calcio non è più proprietà privata di ogni singola società, la vendita dei diritti delle immagini è esercitata collettivamente
- I proventi sono ridistribuiti anche al di fuori del calcio di Serie A: una quota è destinata alla Serie B ed un'altra agli sport minori e giovanili
- La repubblica promuove l'uguaglianza delle condizioni economiche fra le squadre di Serie A: il 40% del ricavato è uguale per tutti, il rimanente è suddiviso in base sia ai bacini di utenza (principio economico di tutela delle grandi squadre, che si trovano a competere in Europa) sia in base ai risultati ottenuti (principio meritocratico)
Questa riforma ricalca esattamente lo spirito della politica del Governo. Abbandonata ogni velleità ideologica o di riforma di sistema, come si chiamavano una volta, ci si limita a ridistribuire tra gli interessi esistenti in maniera diversa rispetto al berlusconismo. Questo è quanto, questo è quello che ci è ancora dato scegliere nell'Italia, nel mondo, di oggi.
Il che potrebbe sembrare niente, se siete ancora avvinghiati a ideologie vecchie di un secolo (come il sottoscritto), ma che risulta in effetti molto se con spirito critico e pragmatico (ereditabile dalla migliore tradizione nazionale) ci chiediamo che altro di più si possa fare oggi se non scegliere a chi dare o non dare i soldi.
Davvero il calcio è lo specchio del Paese e mostra i riflessi della politica e della società.
I valori con la V maiuscola (il Bene pubblico, l'Onestà) non hanno senso se non si specchiano e non trovano un riflesso nel denaro. Quello che ogni giorno tocchiamo, che ci manca, che vincola le nostre scelte. Quello in base al quale viviamo e che, forse proprio per questo, ci piace così tanto da non essere in grado di fare nient'altro che provare un senso di schifo.