Un albero per aula – 27/08/2005
27/08/2005 Che cosa ci faccio qui (con pretese di serietà)
Nella vacanza italiana, parecchie persone, dopo aver ascoltato un po' delle cose che credevo fossero degne di essere raccontate, mi hanno fatto la stessa domanda: “Loré, ma tu che stai facendo in Kenya, esattamente?”. Dopo quasi otto mesi, proviamo a dare uno stralcio di risposta, con la consapevolezza ed il timore di poter risultare lungo e noioso. Gli economisti che leggono mi scusino per la mancanza di rigore e dettagli tecnici; i non addetti ai lavori (penso alla faccia di Mimmo mentre legge) me ne perdonino l'eccesso.
Quando, ormai un anno e mezzo fa, in una strana primavera californiana, decisi che sarei venuto in Kenya, avevo una vaghissima idea di quello che avrei fatto. Ero rimasto affascinato dal corso di un giovane professore sul (sotto)sviluppo dell'Africa Sub-Sahariana e avevo deciso di calarmi in quella realtà, forse nella speranza di dare un senso a quello che avevo studiato all'università e, soprattutto, di ricominciare ancora una volta da qualcosa di completamente nuovo. Rileggo la lettera mandatami dall'ICS in autunno e vi ritrovo ancora una volta quello strano titolo dato alla mia figura professionale: evaluation consultant. Ovvero?
Uno dei problemi cronici nella valutazione dei progetti di cooperazione è la mancanza di criteri che permettano di comprendere in maniera dettagliata l'impatto che gli stessi progetti hanno sulle comunità e gli individui che ne beneficiano. Nei casi peggiori questo significa che, data l'impossibilità di discernere i risultati, i fondi destinati ad un certo tipo di intervento, vengono distorti ad altri fini. Più in generale, non vi è la possibilità di capire che cosa funziona e che cosa no. Per aumentare la partecipazione scolastica, qual è il metodo più efficiente: pagare i costi delle uniformi, incentivare i docenti, assegnare borse di studio, dare pasti a scuola, fornire libri di testo….? Quale di questi è il metodo migliore nel rapporto costi/benefici? Non si tratta solo di risparmiare: il fatto è che da queste parti avere qualche dollaro in più a disposizione può significare il completamento dell'istruzione primaria per un altro bambino.
L'individuazione degli effetti specifici di tali progetti non è affatto semplice. Ad esempio, nello studiare l'impatto di un intervento sulla partecipazione scolastica, come è possibile isolare quegli effetti che sono diretta conseguenza dell'intervento stesso, distinguendoli da quelli legati ad altre concause? Da qualche tempo una serie di giovani economisti (per chi fosse interessato consiglio di dare un'occhiata al link del Poverty Action Lab del MIT) hanno cominciato ad applicare una metodologia presa in prestito dalle scienze mediche alla valutazione degli interventi delle ONG o di altre istituzioni. In sintesi: in un contesto di risorse limitate e fondi che spesso arrivano a scaglioni annuali, un progetto viene elaborato su più anni, individuando dall'inizio i potenziali beneficiari, ma selezionandone, su base casuale, alcuni che ricevono l'intervento da subito, altri negli anni successivi. Si conduce quindi la valutazione confrontando, in un certo istante, le differenze nelle variabili di interesse tra il “gruppo di trattamento” (gli individui che beneficiano di un intervento dall'inizio) e il “gruppo di controllo” (quelli che, al momento della verifica, non hanno ancora usufruito di alcun intervento). I due gruppi devono essere creati in modo tale da essere, inizialmente, perfettamente omogenei rispetto a tutte le variabili alle quali è possibile fare riferimento in partenza. Tale omogeneità dei gruppi permette di ricondurre eventuali differenze che sorgono in seguito solo alla specificità dell'intervento.
L'ICS (International Child Support) ha cominciato a valutare l'impatto dei suoi progetti a partire dalla fine degli anni '90, avvalendosi della consulenza degli economisti di cui sopra. Finora sono stati studiati, tra gli altri, interventi di deworming nelle scuole primarie, di incentivi ai docenti, di elargizione di borse di studio per le studentesse delle scuole primarie, di educazione alle problematiche legate all'HIV/AIDS. Io mi occupo della valutazione di lungo periodo dell'intervento di deworming, e di un progetto (Rural Water Project) di protezione di sorgenti, distribuzione di clorina ed educazione all'igiene. Il mio ruolo si può racchiudere in tre aree: a) contribuire all'elaborazione del progetto in modo da permetterne poi la valutazione; b)monitorare il lavoro sul campo, traendone indicazioni per le attività successive e garantendone la coerenza con il piano iniziale; c) contribuire all'elaborazione/analisi dei dati raccolti.
Il maggior vantaggio di tale rigore nell'elaborazione e nel monitoraggio (che implica un immane lavoro di raccolta ed analisi dati) sta proprio nel poter presentare i risultati di un progetto ad altre organizzazioni o istituzioni interessate. In tal modo, il lavoro di una ONG, che, nonostante i tanti fondi, ha una capacità di intervento ridotta, può avere un impatto più ampio, fornendo spunti per altri interventi, magari anche in realtà molto diverse. Ad esempio, il governo keniota, proprio sulla base della valutazione del progetto di deworming dell'ICS, sta ora elaborando un intervento simile su scala nazionale
Molte delle persone alle quali ho fornito questa descrizione, mi hanno posto una domanda che frequentemente anche io mi faccio: la scelta di “trattare” alcune persone ora e altre dopo, non pone dei problemi di natura etica? In primis, in molti casi non si tratta di una scelta, dato che i fondi non permetterebbero comunque un intervento su larga scala sin dall'inizio; in tale circostanza, elaborare un progetto nella maniera sopra descritta non danneggia nessuno. Al contrario, nei casi in cui tale possibilità sussiste, la domanda é più che lecita. E credo che sia impossibile dare un risposta univoca. Certo, può sembrare inopportuno ritardare alcune misure di intervento; ad alcuni può apparire come una scelta legata solo ad esigenze scientifiche che non ha senso in una prospettiva di intervento di sviluppo. Tali riflessioni sono sensate e vengono in mente a molti. Tuttavia altre domande, forse meno immediate, sono altrettanto importanti e credo che, per coerenza, sia giusto anche porsi dubbi nel senso opposto. E se un certo tipo di intervento non funzione, come si fa a capirlo? Come si possono ridurre gli sprechi in contesti nei quali ogni dollaro è importante? Come si può garantire che, in futuro, le ONG attuino quegli interventi più efficaci e che tale scelta si traduca, se non in più vite salvate, almeno in un impatto maggiore e che riguardi più persone?
Ognuno la pensi come crede. Io, un po' ogni giorno, sto provando a trovare le mie risposte.