La questione curda e i dilemmi della nuova Turchia
Il Kurdistan è uno stato virtuale, idealmente compreso tra Turchia, Iran, Iraq e Siria, un'area di circa 450.000 Kmq, abitata dalla popolazione di etnia curda, di religione musulmana (70% sunnita) e discendente dell'antico popolo dei Medi. Un po' di numeri per comprendere le dimensioni del popolo curdo: 14,2 milioni di persone in Turchia (20% della popolazione), 4,55 milioni in Iran (7%), 5,4 milioni in Iraq (20%), poco meno di 1 milione in Siria (5% circa), mezzo milione di persone costituiscono minoranze in Georgia, Armenia e Azerbaijan, mezzo milione circa di immigrati tra Germania e Svizzera; in totale più di 25 milioni[1]. Solo in Iraq, nella parte settentrionale, i Curdi sono riusciti ad ottenere una certa indipendenza in una sorta di stato federale, tanto che gli abitanti della regione utilizzano a tutti gli effetti il nome di Kurdistan.
In tutta la sua estensione il Kurdistan è una regione altamente strategica soprattutto dal punto di vista delle risorse naturali: include il Kermanshah iraniano ricco di petrolio, tutti i giacimenti petroliferi di Turchia e parte dei siriani, produce il 75% del petrolio iracheno; un territorio inoltre molto ricco di ferro, cromo e uranio e fondamentale per quanto riguarda le risorse idriche (diga dell'Eufrate). Le ragioni avverse al riconoscimento di un indipendente stato curdo non possono quindi che nascere da esigenze prevalentemente economiche.
Ma la questione curda è complicata innanzitutto per i numerosissimi attori coinvolti, solo tra i Curdi si distinguono differenti anime tra organizzazioni e partiti politici: il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) in Turchia, il Partito Democratico Curdo (KDP) e l'Unione Patriottica del Kurdistan (KPU) in Iraq, il Partito Democratico del Kurdistan ed il Partito per la Libertà del Kurdistan (PJAK) in Iran.
Ma è soprattutto in Turchia che la questione è particolarmente delicata, aggravatasi in seguito al riassetto dello stato iracheno e il riconoscimento di maggiore indipendenza per i Curdi della regione, accusati di sostenere i terroristi del PKK, con le conseguenti ritorsioni delle ultime settimane da parte dell'Esercito turco.
Nell'articolo “L'Iraq, la Turchia e la complessità degli affari internazionali”[2], Andrea Gilli analizza gli errori concettuali e strategici della guerra in Iraq, con le sue prevedibili (e previste!!!) drammatiche conseguenze. In particolare “…ciò che emerge chiaramente è che gli Stati Uniti, abbattendo Saddam Hussein, hanno servito nel peggior modo possibile i loro interessi. Hanno infatti liberato il loro più feroce nemico nell'area (l'Iran) dal suo più temibile nemico (Saddam appunto) e parallelamente hanno rafforzato l'avversario (i Curdi) del loro secondo più importante alleato regionale (la Turchia)”.
Le responsabilità non sono però da attribuire esclusivamente alle discutibili scelte dell'Amministrazione Bush, una situazione estremamente complessa in cui voglio particolarmente evidenziare i seguenti punti:
1- La politica estera turca ha messo in luce tutta la propria incapacità ad adattarsi alla nuova situazione regionale, abbandonando la tradizione kemalista di un non coinvolgimento negli affari mediorientali, con gravissime ripercussioni sulla politica interna.
2- La fine del regime di Saddam, ha contribuito ad una politicizzazione del movimento curdo nel Nord dell'Iraq, storicamente caratterizzato da disorganizzazione e divisioni interne, contagiando endemicamente tutta la popolazione e dando una spinta vitale al PKK.
3- Il terrorismo curdo risulta essere oltre che un problema di sicurezza, anche e soprattutto un problema politico, radicalizzando ulteriormente la contrapposizione tra Governo ed establishment kemalista (Esercito in primis). Da una parte l'Esecutivo filo-europeo di Erdogan che, per ambire all'ingresso nell'Unione deve risolvere in modo definitivo e incruento la questione curda; dall'altra l'Esercito, avverso al Governo e all'ascesa dell'Islam radicale nella politica[3], con storiche posizioni anti-curde e alla ricerca di drastiche soluzioni (militari), non tollerate dall'Europa.
All'offensiva militare turca credo si possa dare questo significato: un periodo di transizione caratterizzato dall'allontanamento dallo storico alleato statunitense, una temporanea resa all'euroscetticismo sempre più diffuso nella popolazione, l'intenzione di instaurare un nuovo rapporto di buon vicinato con l'Iran e la Siria.
Intanto la comunità internazionale preferisce trattare l'argomento sotto il profilo del rispetto dei diritti umani e di rischi di crisi umanitaria[4], senza voler destabilizzare ulteriormente le relazioni tra stati in Medio Oriente.
Per saperne di più si consiglia:
- Kurdistan Regional Government >>> http://www.krg.org/
- Turchia_Eurasianet.org >>> http://www.eurasianet.org
- Kurdistan_Wikipedia.org >>> http://en.wikipedia.org/wiki
- Turkey_Cia-The World Factbook >>> https://www.cia.gov
- PKK_Wikipedia.org >>> http://en.wikipedia.org
[1] Dati: Cia – The World Factbook https://www.cia.gov/
[3] Si veda: De Maria D., “La Turchia tra Europa e Islam”, N.11 – 16/02/2007, arengo.info