La festa dell'U
Il 14 Ottobre le primarie del Partito Democratico hanno eletto a segretario Walter Veltroni: manca ancora il partito, ma in questa Seconda Repubblica non sono certo queste lungaggini burocratiche a fermare il vento della comunicazione di massa.
Non è semplice l'edificazione di questa casa del centro sinistra riformista italiano. La sfida del Governo è in pieno svolgimento e le tensioni tra le forze della maggioranza richiedono al principale partito della coalizione la forza d'animo e la proposta politica in grado di mantenere salda la barra riformista del timone.
Pare invece che il male della nostra Italia sia proprio la politica e quindi la gara a fare finta di non parlarne ci porta a discussioni semanticamente molto sviluppate, astrattamente infervoranti, politicamente inesistenti.
Eccoci dunque.
Dal dopoguerra ad oggi durante la stagione calda i paesi e i parchi delle Rosse terre d'Italia si popolano di feste dell'Unità. Questa festa, nata come festa dei comunisti, ha raggiunto una diffusione popolare tale da diventare, spesso, uno dei momenti principali della vita del paese, della città, uno dei preferiti luoghi d'incontro dei cittadini e di dibattito con i propri rappresentanti.
Nella fiera convinzione del valore dell'Unione Sovietica, nello sforzo volontario di sovvenzionare la stampa del Partito, il PCI si è collocato nel cuore e nella pancia del popolo. Quale migliore occasione di socialità se non un buon tortellino fatto a mano, un arrosto e un dolce per trascorrere una buona serata.
Ecco il problema. Adesso come si potrà mai fare? Bisognerà cambiare anche il nome di questa Festa? Come potranno i dirigenti del nuovo partito rimanere in equilibrio tra le passioni di una volta, l'attaccamento ai nomi ed ai colori sociali ed il mutato contesto politico? Come continuare a mantenere il nome di una Festa che non sovvenziona neanche più il giornale da cui prende il nome? Come potremmo sopravvivere se dovesse cambiare il nome anche della Festa dell'Unità?
Come spiegare ai compagni che durante questa svolta, che se a taluni pare semplice indolore ed obbligata per altri è l'effettivo momento di rottura con la tradizione comunista, potremo rimanere noi stessi?
La risposta che sembra così nascosta e impervia è invece sotto gli occhi e sulle labbra di tutti.
La U, lettera che nella nostra lingua nasce per seguire la Q, sventola invece fiera ed orgogliosa all'inizio della parola Unità. Parola di 5 lettere, 5 come le dita di una mano che si stringono fraternamente ad un'altra, che si serrano in un pugno di saluto. Una U omaggiata da un articolo determinativo e da un'apostrofo. L'eterna seconda, è femmina la U, che diventa prima, omaggiata, riverita. La rivincita, il riscatto dei secondi, degli oppressi, degli sfruttati. A questo siamo attaccati, quando si inghiotte il tortellino per correre a sentire il dibattito con gli esponenti del socialismo europeo e internazionale nella nostra città.
Questo porteremo con noi nella prossima U. L'Ulivo e la festa dell'Ulivo porteranno nel nome l'articolo, l'apostrofo, la U e le 5 lettere. Saranno sempre le stesse facce ma ce ne saranno di più se si vorranno guardare negli occhi, saranno sempre gli stessi dibattiti ma ci saranno idee nuove se si vorranno ascoltare le labbra muoversi. Sarà sempre la stessa festa se il Partito Democratico avrà il coraggio di portarla con sé nel futuro, quale che sia il nome, e di donarla alle nuove generazioni.