Il riformismo nel calcio italiano – Parte Prima
Domenica scorsa in Italia una persona è stata ammazzata in un Autogrill. Si trattava di un tifoso laziale al seguito della squadra, ucciso dal fuoco di un agente della polizia stradale.
In un momento difficile come questo, i nervi devono rimanere saldi.
Assaltare i commissariati per vendetta è evidentemente un tentativo eversivo, una dichiarazione di guerra alle istituzioni. Tuttavia la risposta dello Stato, ferma e decisa verso la violenza, non può confondere e dimenticare il dato di fatto: domenica scorsa, un tragico errore da parte di un agente della Polizia stradale, per il quale il colpevole pagherà secondo le leggi del nostro Stato, ha ammazzato un tifoso innocente.
La settimana precedente era stata festosa: valanghe di gol negli stadi e nuovi accordi tra le società per la distribuzione dei diritti tv.
Il calcio che fa skyfo, le truffe di calciopoli, la fuga dagli stadi violenti e scomodi, lo specchio di un Paese allo sbando, senza guida, in balia degli interessi dei più sporchi pareva potersi dolcemente dimenticare.
In questo momento, chissà come, succede la tragedia. Il poliziotto spara da una parte all'altra dell'autostrada e ammazza un ragazzo seduto nella propria auto. La reazione violenta come il volo di una freccia dal proprio arco e la violenza si impossessa delle nostre città. Assaltate caserme dei carabinieri a Roma e rivolte negli stadi dove si vuole che il calcio si fermi per rispettare il ricordo del morto. Così come accadde dopo i fatti di Catania e la tragedia dell'ispettore Raciti.
Purtroppo la nostra politica è debole, paurosa, intrappolata dal calcio e dall'opinione pubblica.
Occorre innanzitutto riflettere sulla bontà degli interventi che sono stati effettuati per fermare la violenza negli stadi.
Forse non è servito a nulla impedire l'acquisto di più di quattro biglietti per lo stadio, rendere obbligatorio il passaggio attraverso i tornelli, trasformare l'accesso alle partite di calcio dal vivo più complicato dell'invio di una dichiarazione fiscale. Forse è sbagliato perseverare in una politica che confonde i torti delle delinquenza nelle tifoserie con il valore del calcio come bene pubblico.
D'altra parte non è un segreto l'opinione del sottoscritto, in Italia non si cambierà mai niente se non si cambierà il calcio. Questa piovra che ci intrappola, chi in macchina alla caccia dei suoi sogni ad occhi aperti, chi davanti allo schermo televisivo, chi dentro la propria divisa, chi sulla propria poltrona ministeriale. Nel calcio, più che altrove, è possibile toccare con mano ogni maledetta domenica le distanze tra gli obiettivi del governo e la loro effettiva realizzazione.
La Repubblica italiana, oggi, dovrebbe chiedere scusa. I suoi difensori dell'ordine hanno ammazzato un innocente, lasciando la nostra grande famiglia umana nazionale più debole. Abbiamo perso un fratello, morto per il calcio, per il desiderio di divertirsi la domenica con il gioco più popolare del mondo.
Caro Ministro, la Repubblica italiana ha vissuto e superato momenti di tensione sociali ben più difficili. Gli anni di piombo, l'estremismo politico, i rapimenti. Quella mentalità civile, maturata trent'anni or sono, che si proponeva di tenere strette alle istituzioni le masse popolari per asciugare i serbatoi del terrorismo, non venga dimenticata dai compagni di governo. Occorre il dialogo, la coesione sociale, la giustizia, affinché i tanti ragazzi che ogni domenica popolano gli Autogrill e le curve degli stadi possano riconoscersi nelle istituzioni democratiche repubblicane,
Non la politica delle diffide, che si colloca al di là del limite dell'interpretazione costituzionale, con il principale risultato di allontanare molti ragazzi dalla logica del rispetto del diritto e della giustizia per vincolarli allo scontro con il potere inappellabile dell'autorità amministrativa.
Due anni fa un indulto ha liberato i carcerati e lasciato fuori dagli stadi i diffidati. Oggi che un tifoso è stato ammazzato da un poliziotto si risponde impedendo le trasferte. Quale giustizia sarebbe questa? Che genere di politica di riformismo sociale? Quali parole verso le persone che con il calcio si vogliono divertire? Quale rispetto dei diritti costituzionalmente riconosciuti?
A queste domande il Governo potrà non rispondere, purtroppo, per ragioni di ordine pubblico. La sconfitta di domenica, che è stata una sconfitta per tutti, diventerebbe così anche una sconfitta per una politica di riformismo ed inclusione sociale.