Un albero per aula – 28/04/2005
Avevo provato a spiegarglielo a Levi, un ragazzino di dodici anni, che, insomma, io dell'esistenza di Dio non è che ne sia proprio convinto, e che proprio cattolico non sono sebbene venga dal paese dove sta il Vaticano e i recenti sviluppi – conclave e annessi – mi hanno reso ancora più sospettoso.
”Allora sei pagano”, mi risponde, con una sicurezza che azzera ogni mia possibilità di ribattere.
E io che già nutro dubbi su un Dio, figuriamoci cosa posso pensare dell'esistenza di un Pantheon, anche se l'idea degli Dei che bisticciano tra di loro sarebbe sicuramente più divertente da raccontare ai bambini, lasciando loro scegliere quello che preferiscono. Ma accetto la definizione: spiegare i concetti di “agnosticismo” e “ateismo” oggi pomeriggio pare impresa troppo ardua.
Strana faccenda la religiosità qui a Busia. Tutti, o quasi tutti, credono e praticano e appartengono ad una chiesa. La religione è un elemento costante nella vita quotidiana, nelle scuola, sul lavoro. Di chiese ce ne sono un'infinità; sui nostri questionari ne contiamo ventuno tra quelle considerate “maggiori” più un'altra miriade nella voce “altro”: c'è ovviamente la chiesa cattolica, ma è solo una tra le tante altre, emanazioni del proselitismo protestante anglo-sassone o diretta creazione locale. Dall' ufficio al “centro” vedo almeno una ventina di cartelli e le chiese sono tutte più o meno uguali, molte in strutture cadenti, prefabbricati o lamiere. Tutte uguali, tranne la moschea, con l'inconfondibile struttura, le donne spesso sedute davanti all'entrata e la voce del muezzin, eco che mi accompagna per lunghi tratti quando al tramonto percorro in bicicletta la strada principale.
Sembra che vi sia una competizione costante per attirare nuovi fedeli; una continua attività di marketing sacro, basata su cori o raccolte fondi, che trova il suo culmine nelle “crociate”: cerimonie organizzate nei week-end in cui qualche predicatore, pezzo grosso che in genere viene da Kisumu o Nairobi, dà prova per ore delle sua eloquenza. Qualche tempo fa mi è capitato di assistere ad un mega-evento in uno stadio, con un' organizzazione che in altri luoghi avrei associato ad uno di quei concerti estivi nelle arene: tendoni, palchi, sistema di amplificazione di ampio raggio. Il tutto per questo reverendo che, tra una raccolta fondi e l'altra, teneva prediche simultaneamente in inglese e kiswahili, una frase per idioma, una lezione perfetta per il mio apprendimento.
Qualche tempo fa mi era capitato di assistere ad una fellowship del gruppo con cui lavoro per uno dei progetti, un momento di 'comunione spirituale', con lettura delle Sacre Scritture e discussione. Da quello che capisco, le preghiere sono soprattutto frasi di ringraziamento.
Ringraziare sempre, nonostante tutto.
Mi ero sorpreso di come fossero proprio le persone più riservate a condurre il tutto, con grinta, determinazione e convinzione. E al mio arrivo in chiesa la voce di Roselyn, tonante nei cori pre-celebrazione, conferma questa impressione: un'energia e una leadership che difficilmente ritroverò il giorno dopo un ufficio.
Poi però emergono tanti dubbi, nodi difficili da sciogliere. L'influenza delle chiese qui è fortissima, è centrale nell' educazione e nel formare l' opinione delle persone su problematiche chiave come l'AIDS e la sua diffusione. I vari leader spirituali sono autorità, non confutabili, che possono esprimere i loro pareri su qualsiasi tema. E in fondo, almeno in questa zona del Kenya, questo sembra rispecchiare il limitato ruolo giocato della società civile, oltre che una limitatissima consapevolezza politica.