Status Quo
“Scegli, Beppe! Magari nascesse ufficialmente il tuo partito! I tuoi spettacoli diventerebbero a tutti gli effetti dei comizi politici e nessuno dei tuoi fan dovrebbe più pagare il biglietto d'ingresso. Oooops!”
Daniele Luttazzi, 12/09/2007
“Se desideri puoi sostenere i candidati alla segreteria del partito democratico con un SMS al 48399 indicando il cognome del candidato seguito da 1,2 o 5 euro”
3 COMUNICA, 31/08/2007
C'è un'Italia che sta male, che vive nel disagio causato da una politica distante dalla gente e dalla realtà. D'Alema ha sottolineato che «è in atto una crisi della credibilità della politica che tornerà a travolgere il paese con sentimenti come quelli che negli anni 90 segnarono la fine della prima Repubblica». Sartori ha parlato di una politica che per dieci, venti o trent'anni non ha ascoltato gli elettori ed ha quindi fallito nel proprio scopo: aiutare il paese.
Poi c'è un'Italia che sta bene, che ha il lavoro, che ha sistemato i figli, ha una bella casa e che di questo malessere non ne vede proprio l'ombra. Infatti ben pochi hanno mostrato interesse nei confronti delle persone che l'8 settembre a Bologna sono scese in Piazza Maggiore. Tutto il polverone alzato da Beppe Grillo è stato bollato come populista, privo di proposte concrete (come se la proposta di legge fosse qualcosa di astratto) da molti, in maniera assolutamente trasversale. Una trasversalità che avremmo voluto vedere quando si trattava di fare le riforme per il paese. Alcuni si sono indignati, altri hanno criticato e altri ancora hanno snobbato. Da Luttazzi a Casini, dallo stesso D'Alema a Cacciari, da Scalfari sulle colonne di Repubblica a Giorgino al TG1, gli atteggiamenti e le reazioni sono state nettamente contro. L'attacco al V-Day, o Vaffanculo-Day come nessuno ha avuto il coraggio di chiamarlo (eccetto Santoro su RAI2 nella puntata di “Anno Zero” andata in onda il 20 Settembre), è trasversale: il V-Day e le idee urlate in piazza sono contro tutto il sistema, contro tutte le mele marce, senza partito e bandiera. Allora è ovvio che tutto il sistema reagisca e lo etichetti come svitato e populista. È come se tutti questi signori avessero guardato il dito – Grillo – e fatto finta di non vedere dove si indicasse…
Ignorare questo malumore è da irresponsabili, accusare o sminuire – come hanno fatto in molti – è da folli. D'altro canto appoggiare questa protesta significa andare contro lo status quo, difeso dalla classe politica, dirigente, dai giornalisti e da tutti i poteri forti. D'altronde cambiando il punto di vista è facile capire che mantenere lo status quo è meglio che rischiare e provare a cambiare. Diciamocelo: se si sta bene si rifiuta di imbattersi in una avventura di questo tipo. Lo vedete, non dico un parlamentare qualsiasi, ma anche un affermato giornalista sostenere la battaglia e la proposta di legge del comico genovese? Il giornale va venduto, ed è meglio mantenere una linea soft e chiudere gli occhi.
Nelle considerazioni di chi respinge la protesta del V-day vedo lo snobismo dell'Italia che sta bene, che è inattaccabile e che si mostra, ancora una volta restia ad ogni tipo di cambiamento. E allora sussurrare un vaffanculo nell'orecchio di un politico è molto meno grave, ad esempio, che essere condannato e poter comunque legiferare in Parlamento. Se non si capisce questa differenza si è perso l'orientamento e ciò che dovrebbe essere normale diventa irrealizzabile, quello che invece è assurdo, diventa la normalità.
Non si tratta di esser contro il Governo per natura ma si tratta di prender atto che i Governi uscenti hanno sempre perso le elezioni. E questo deve essere è un grosso segnale di fallimento della politica. Ecco che allora una spallata al sistema, che non ha nulla di violento come qualcuno ha avuto il coraggio di affermare, è quello che ci vuole.
Ma che fare allora? Sperare che la politica si rinnovi da sola? Dare nuovamente fiducia ad un sistema marcio e inefficiente?
La politica non è più quella dei nostri genitori o dei nostri nonni: non esiste più una identificazione nel partito, non esiste più i colori politici ed è venuto meno il loro radicamento nel territorio-tessuto sociale. E non c'è più nemmeno una idea dietro ad un colore, ed è quindi normale che i partiti non occupino più la vita dei cittadini come un tempo. D'altronde le campagne elettorali sono guidate da esperti di marketing ed il motivo è semplice: non importa l'idea che si ha ma importa solo come la si vende. Figuriamoci se in un contesto simile si pensa ad applicarla e a mantenere le promesse. A questo punto non interessa più se questo modello è stato portato da Berlusconi o da chi altro perchè lassù nel cielo si è formato un grande nuvolone grigio e sotto ci arriva solo la grandine.