Capitolo 4 – And so, what? (parte settima)
Siamo negli anni Cinquanta, ma ormai conosciamo già i protagonisti principali della nostra storia. Il Brasile, patria del calcio e del sorriso, crocevia americano tra la bianca Europa calciofila e l'atletica Africa nera. L'Italia e la Germania, umiliate dal proprio nazifascismo e sconfitte sui campi di battaglia, in grado di riscattare il proprio orgoglio nella nuova democrazia europea e negli stadi mondiali.
Incontreremo altri attori che si ritaglieranno il proprio spazio nelle cronache e nei sogni dei bambini di tutto il mondo.
Si comincia con Pelè. Il migliore di tutti i tempi, almeno per qualche anno. Nel 1958 si gioca in Svezia. I padroni di casa si presentano all'appuntamento della finale dopo aver sconfitto URSS e Germania Ovest, ma i biondi scandinavi devono inchinarsi al cospetto di O'Rey, nuovo sovrano dalla pelle nera.
Anche in Italia impariamo a conoscere i nostri giocatori. Gli scudetti appartengono alle squadre di Milano e alla Juventus, che a Torino riesce a prendere il sopravvento sui colori granata. Le tre grandi del nostro campionato avviano la loro corsa verso il 2000, attraverso i legami con i gruppi dell'industria che si appresta al boom economico e con i sentimenti popolari di appartenenza ad una fede calcistica.
Gli altri giocatori che osserviamo si incontrano nelle aule parlamentari, le forze dell'antifascismo danno vita ai primi dibattiti sulla crescita italiana. Vincono i democristiani e dopo i fatti d'Ungheria anche i socialisti abbandonano l'Unione Sovietica di Kruscev e della destalinizzazione. I comunisti, sconfitti, non vogliono l'Europa.
Nel 1957 a Roma l'Europa dei 6 firma il Trattato, primo passo verso l'Unione dei popoli del Vecchio Continente. Ogni società che si rispetti ha sempre un proprio campionato di calcio e quest'Unione non può che celebrarsi nel segno del pallone. Nel 1960 i nostri concittadini possono giocare il primo Campionato europeo per squadre nazionali ma noi italiani facciamo gli spettatori radiotelevisivi. Solo allo stadio i comunisti riescono a vincere: l'URSS campione battezza l'unità europea del calcio e il popolo tifoso può accorgersi che le regole dello sport sono più democratiche della guerra fredda. A conferma di ciò l'anno successivo viene eretto il Muro di Berlino.
Gli anni Sessanta sono quelli del miracolo italiano. Miracolo in tutti i sensi, economico e calcistico.
Sono i giorni della crescita del Paese, sono i giorni della classe operaia che va in paradiso, sono i giorni in cui ci si asciuga il sudore dalla fronte e si lavora. Si lavora e basta. Anzi, errata corrige, si lavora e si va allo stadio.
Eh sì perché questo decennio è anche quello in cui il pallone spodesta definitivamente le altre attività sportive; prende a pugni il pugilato, batte in volata le due ruote e si conquista definitivamente un posto in tutte le case italiane. Caschi il mondo ma guai se non ci facessero vedere i goals puntuali come dei battenti svizzeri alle diciottoedieci, ogni maledetta domenica.
La nostra storia diventa ricca e famosa.
Ricco e famoso lo sta diventando anche qualche giovane brasiliano. Addirittura sta diventando O'Rey, dicevamo. Alla seconda edizione sudamericana la selecao non si lascia scappare il bis. In Cile la Cecoslovacchia è abbattuta: l'Europa dell'Est si inchina davanti al calcio samba. A distanza di tanti anni possiamo accertare come la profezia del Mondiale si sia avverata.
La colonna sonora dei giovani del dopoguerra si canta in inglese, i sottomarini diventano gialli e sui campi di fragole splende il sole. Le voci di Paul Mc Cartney e John Lennon impazzano gioia al di qua del Muro, mentre al di là piovono sangue e silenzio a soffocare la Primavera di Praga. La maledizione del Dio Pallone ha inizio.
Nel 1966 non si può giocare che nella musicale Inghilterra dei fratelli Charlton e il risultato non può che premiare i sudditi della Regina. Neppure l'arbitro può esimersi dal dovere verso la nostra storia di convalidare il gol contro i tedeschi. La sentenza del campo è la stessa dell'ultimo conflitto bellico: Londra resiste e vince solo dopo i tempi supplementari.
Anche per l'Italia il finale non cambia, ma siamo ormai noti per la nostra abilità nel recitare tra la tragedia e la farsa: la nostra nazionale ricca e famosa si inchina al cospetto del fior fiore del popolo nordcoreano. La Corea del Nord stabilisce un precedente mandandoci a casa derisi e umiliati. Allo stadio vincono i comunisti.
Due anni prima l'Unione Sovietica scendeva in campo a difendere l'onore della potenza comunista nel secondo campionato europeo, trascorsi per la prima volta i quattro anni della scadenza di questo importante trofeo.
Il risultato non fu lo stesso. Nel girone finale l'argento russo si vide soccombere innanzi all'oro della Spagna del Generalissimo Franco, estrema propaggine delle dittature fasciste.
L'edizione successiva della competizione continentale è per l'Italia l'occasione della riscossa dopo la beffa di quei musi gialli. E questa volta non sbagliamo, siamo sul tetto d'Europa! Gli azzurri di Zoff e Mazzola, di capitan Facchetti e di Gigi Riva, vincono la preziosa Coppa ai danni di Jugoslavia, Inghilterra e URSS nel girone finale disputato nel nostro Paese.
Il 1968 è anche l'anno della Primavera di Praga, dei sogni del comunismo dal volto umano che vengono soffocati nella culla.