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Scritto da nel Bologna, Numero 22 - 1 Agosto 2007 | 0 commenti

Il museo della memoria

Frutto della ristrutturazione di un vecchio capannone, per decenni adibito a rimessa degli autobus, lo scorso 27 giugno è stato inaugurato a Bologna il Museo della Memoria.

Protagonista di questa nuova nascita un'installazione di Christian Botlanski dedicata alle vittime della strage di Ustica. L'opera di Botlanski si riallaccia a quella che potrebbe definirsi l'arte della memoria, o meglio, l'arte dedicata alla memoria in cui si tenta di rendere tangibile, materiale, ciò che di per se stesso è di natura spirituale: il ricordo ed i sentimenti che ad esso sono legati. La storia narrata attraverso la banalità del reale, disadorna di ogni strumento retorico, la storia nella sua crudezza, nella sua ironia tragica e brutale.

L'installazione di Botlanski si pone il fine di ricordare gli 81 passeggeri di quel volo Bologna – Palermo del 27 giugno 1980, con quella semplicità, quel timido gioco di luci e immagini, che rappresentano una delle peculiarità della sua arte. Sono 81 le luci che si accendono e si spengono al ritmo di un sospiro, 81 gli altoparlanti che ripetono frasi di poco conto che rispecchiano i pensieri semplici e banali dei passeggeri, 81 gli specchi che ne ricordano le immagini ed allo stesso tempo riflettono quelle dei visitatori, perché la memoria, come rileva Cortellesa[1], non si risolva nel semplice atto di ricordare, ma in quello di commemorare. L'opera d'arte vera e propria, tuttavia è rappresentata dall'aereo. Collage di frammenti lentamente emersi dalla profondità delle acque, che nel loro costituirsi di spazi pieni e vuoti, di presenza e assenza, si elevano a simbolo del desiderio di memoria e contemporaneamente della minaccia di oblio. All'interno di questo grande puzzle, costruito dalle mani pazienti di chi ha voluto dare un volto alla tragedia di Ustica, dieci piccole scatole nere, dieci piccoli contenitori che racchiudono gli effetti personali delle vittime, ripescati insieme ai cadaveri. Oggetti che non si possono vedere, almeno non direttamente, ma di cui si è informati attraverso un libro, redatto da Beppe Sebaste, che i visitatori del museo ricevono all'ingresso e che quegli oggetti descrive, elenca, narra attraverso piccole fotografie sfocate.

Un modo, un'arte di ricordare che riconduce a quel teatro della memoria che vede in Marco Paolini uno dei personaggi di maggior spicco. Non a caso l'attore veneto, alcuni anni fa nell'affascinante scenario di P.za Santo Stefano, raccontò la stessa tragedia di Ustica accompagnato dalla voce della Marini, attraverso una ricostruzione storica che poco spazio lasciava al linguaggio patetico e retorico di tanta arte del novecento.

Storia che si fa arte, arte che si fa strumento di comunicazione della storia, attraverso uomini che fanno della propria implacabile asserzione del reale la loro più vera opera. Botlanski come Paolini è stato capace di commuovere una città, che ancora una volta dimostra di non dimenticare.


[1] Cfr. A. Cortellesa, Quest'opera ci appartiene, in “Specchio” 562, Torino, 2007.

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