“Figli di un bacco minore?”
No. Rispondendo al titolo della manifestazione organizzata da Slow Food, la risposta è negativa. Questo perché a giudicare dai vini presenti non si può considerare la manifestazione di Bagnacavallo (1-3 giugno) una vetrina sulle piccole realtà italiane.
O almeno, non solo.
Non si possono considerare piccole realtà il Terre Brune della cantina di Santadi, il Carignano che è diventato l’autentico simbolo del Sulcis, ne il Fontalloro di Felsina, sangiovese purissimo (meglio che in purezza).
Forse un tempo erano outsider, ma ora sono autentiche star.
Come sono da sempre dei Big i Baroli (Pira, Massolino, ecc.) e i Barbareschi presenti (Produttori di Barbaresco e altri).
Dando a Cesare quel che è di Cesare va osservato che a fianco di questi capolavori, erano presenti anche piccoli capolavori, piccole chicche dalle produzioni limitatissime e dalla promozione (scrivere marketing sarebbe eccessivamente fuori luogo) pressoché inesistente.
Come il Burson, di cui vi ho già parlato numeri addietro, vitigno che gioca in casa, una delle rare eccezioni di viticoltura di pianura di qualità: se vi fidate del Cantiniere, bevete l’Etichetta nera di Tenuta Uccellina, l’Etichetta Nera di Daniele Longanesi, l’Augustus di Poderi Morini e il Pis&Lov di Leone Conti, gli ultimi due caratterizzati da etichette decisamente eccentriche.
Come i vitigni autoctoni liguri, vini dai nomi improbabili, probabilmente bestemmie in dialetto dovute alle fatiche in vigne che danno a strapiombo sul mare
Come i vini valdostani, dove si hanno vigne forse ancora più estreme di quelle liguri, dove le influenze francesi si fanno sentire non solo nella lingua locale ma anche in cucina
Prodotti effettivamente sconosciuti.
Ho avuto la possibilità di bere anche due autentici prodigi: due biodinamici, uno emiliano e un sardo. Il primo è l’Ageno (Malvasia 60%, Ortrugo e Trebbiano 40%), un bianco dell’azienda piacentina La Stoppa, vino incredibilmente tannico e potente per essere un bianco, l’unico biodinamico dell’azienda o come preferisce chiamarlo la proprietaria da agricoltura naturale. Se passate dalle loro zone vi consiglio di fermarvi, hanno una produzione interessantissima, tra cui brilla in passito Vigna del Volta (Malvasia e Moscato). Il secondo è il Chimbanta, in sardo Cinquanta, “il regalo” di Alessandro Dettori al cinquantesimo compleanno del padre; si tratta di un Monica, uva Autoctona sarda, vino in cui, permettetemi per una volta di fare il poeta del vino, ho risentito i sapori che da pizzinno sentivo nei vini sardi bevuti di nascosto con cugini e amici, profumi che da anni non riuscivo più a trovare.
Figli di un bacco minore? Non solo.